Un Percorso Didattico Per Le Arti Nel Territorio

ARTE E FEDE TRA SEICENTO E OTTOCENTO NEL CUNEESE


di Enrico Perotto
docente Liceo Artistico Cuneo


Un lavoro di ricognizione complessiva della storia artistica del territorio cuneese dal Seicento all'Ottocento non può che prendere le mosse da una positiva constatazione iniziale: da un lato, si assiste sempre più di frequente all'allestimento di esposizioni scientifiche in varie sedi cittadine, che documentano con precisione il progresso sia degli studi che degli interventi di catalogazione e restauro del patrimonio storico-artistico; dall'altro, è notevolmente in crescita lo sforzo che istituzioni pubbliche ed enti religiosi compiono per tutelare e promozione dei beni culturali diffusi nelle più diverse aree della cosiddetta Grande Provincia, anche con l'istituzione di nuovi musei d'arte legati a edifici sacri. Oltre alla pubblicazione in anni recenti di cataloghi di mostre dedicati a particolari fenomeni della civiltà figurativa sviluppatasi a Cuneo, Fossano, Saluzzo e Savigliano tra Sei e Settecento, si deve registare il fenomeno della diffusione di piccole, accurate guide per un primo contatto conoscitivo con le strutture e le presenze iconografiche nelle chiese delle diverse diocesi locali, senza dimenticare il successo dell'organizzazione di conferenze o corsi pluriennali tenuti da esperti, incentrati sul rapporto tra arte e religiosità a partire dall'area provinciale. Non resta che attendere un coinvolgimento più diretto del mondo della scuola nel campo non solo della conoscenza, ma anche della valorizzazione di queste testimonianze storiche del gusto e della fede del nostro passato, in forme didattiche diverse, cercando comunque di interagire con le amministrazioni locali o di partecipare a progetti istituiti da enti locali e fondazioni bancarie, come, ad esempio, a quello denominato "Adotta un piccolo Comune", che hanno lo scopo del tutto positivo di proporre agli studenti delle scuole medie superiori una serie concreta di attività teoriche e pratiche rivolte alla riscoperta e al rilancio turistico e culturale dei piccoli centri storici pedemontani.
La stagione del Barocco

Come un'onda marina maestosa e travolgente, come una piega di tessuto esibita ad arte, come un'aria cantata o suonata con grazia e ispirazione, il Barocco, per lo scrittore spagnolo Eugenio D'Ors, è uno stile espressivo dal carattere tipicamente dualistico, sintesi feconda di naturale e soprannaturale, tanto che la "naturalezza del soprannaturale" espressa da Gian Lorenzo Bernini nel suo lavoro scultoreo, dal fare così duttile e spontaneamente facile, è considerata dallo studioso come una traduzione costante e fedele degli Esercizi spirituali di Ignazio de Loyola (1491-1556), da avvicinare ai modi creativi di Mozart. Apoteosi di corpi martiri e appassionati, da santa Teresa a sant'Ignazio, da sant'Alfonso Maria de' Liguori a san Francesco Saverio, santi che si potevano vedere ancora in vita e forse anche toccare con le mani, e che poi si andava a contemplare, dopo la loro morte, nelle rappresentazioni artistiche. Apoteosi di voci sante predicanti, come quella del grande Saverio. Glorie di cupole, che Jacob Burckhardt nel suo Cicerone del 1855 criticò a causa di quel "lussureggiare" di "paradisi, ascensioni, visioni" dipinte, il cui emblema più alto resta il Trionfo del nome di Gesù di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, nella chiesa del Gesù a Roma: "il grande affresco nella navata del Gesù a Roma", ha dichiarato Burckhardt, "con colori e scorci estremamente abili; con ogni mezzo l'artista vorrebbe farci credere che le sue schiere celesti fossero penetrate in volo attraverso la cornice, in direzione dell'altar maggiore". Apoteosi di musica profana, come quelle intitolate a Corelli e a Lulli composte da François Couperin; e trionfi architettonici di linee curve, come nel Palazzo Carignano di Torino. Apologie e divinizzazioni di santi trionfanti in gorghi prospettici di figure volanti e forme architettoniche, assorbite da punti luminosi che irraggiano dal centro di una cupola ("là su", ha scritto il poeta Giacomo Lubrano in una sua lirica del 1690, "nel Bel d'un Dio infinito"), come nel caso dell'Ingresso di Sant'Ignazio in Paradiso di Andrea Pozzo nella volta della chiesa di Sant'Ignazio a Roma.

Il Barocco nel Cuneese


1.L'architettura barocca: committenza, architetti e maestranze locali

Da un punto di vista generale, l'architettura barocca racchiude in sé una doppia valenza culturale: da un lato, è espressione della volontà di una determinata committenza concettualmente agguerrita; dall'altro, è un risultato materiale, una dimostrazione pratica della capacità tecnica delle maestranze, che determinava l'impronta o il modo d'essere caratteristico delle costruzioni nell'ambito territoriale in cui operavano e ne esibiva l'eventuale impegno nella sperimentazione, che nel cantiere poteva essere tramandato di padre in figlio. È importante ricordare poi la presenza delle cave in territorio cuneese, le più famose delle quali sono quelle dell'alabastro di Busca, della pietra bigia di Frabosa, dei marmi della Val Varaita, oltre che di Valdieri, Limone e Valcasotto. Si trattava di materiali ricercati, che gli architetti piemontesi utilizzavano in tutti i loro principali cantieri, che si inauguravano per volere di uno Stato, quello Sabaudo, intenzionato a celebrarsi attraverso le opere di architettura, in forma di fastose residenze principesche, come, per esempio, la residenza di campagna detta la Venaria Reale, dove lavorarono, a partire dal 1658, i massimi architetti del Piemonte, da Amedeo di Castellamonte a Michelangelo Garove, da Filippo Juvarra a Benedetto Alfieri a Giovanni Battista Piacenza. Tra i grandi cantieri barocchi, quello della costruzione del Santuario di Vicoforte è certamente il più emblematico. Il cantiere era regolamentato in modo molto rigoroso. Tutte le attività terminavano il 30 ottobre e riprendevano ai primi di marzo dell'anno successivo. La causa di questa rigida distribuzione dei tempi di lavoro era dovuta al fatto che la "calcina", il legante che unito alla sabbia era usato nelle murature, per gli intonaci e se mescolata alla polvere di marmo per fare gli stucchi, non si poteva utilizzare alle basse temperature. Con il passare degli anni, inoltre, si introdussero aggiornamenti, cambiarono le scelte estetiche, giunsero nuove influenze che modificarono la cultura barocca piemontese. Rimasero comunque, alcuni punti fermi, come il problema delle facciate, dei campanili e delle cupole, che imponevano soluzioni strutturali e formali di certo non prive di vincoli.

2.Il cantiere degli Angeli a Cuneo

Il Santuario della Madonna degli Angeli rappresenta un caso significativo di cantiere interessato a continue trasformazioni nel corso dei secoli. Considerato il santuario per eccellenza dei cuneesi, questo edificio è sempre stato accompagnato da un'intensa devozione alla Vergine degli Angeli e al beato Angelo Carletti, le cui spoglie sono conservate al suo interno. L'annesso convento, inoltre, ospita I'unica comunità

francescana presente in città. Nel dicembre 1996 la chiesa fu drammaticamente colpita dal crollo del tiburio ottagonale e della cupola, impedendo per lungo tempo alla città di disporre di una parte importante della loro storia religiosa. I lavori di ricostruzione sono ora terminati e l'edificio è tornato ad essere meta di devozione e di visite culturali al grande patrimonio artistico e architettonico che vi è presente, ma ancora ci si interroga sul futuro dell'edificio e sulla sopravvivenza dei Francescani in Cuneo. Il convento della Madonna degli Angeli venne fondato nella prima metà del XV secolo come nucleo di terziari francescani: nel 1450 divenne sede del primo convento francescano dell'Osservanza a Cuneo. A questo periodo risale con probabilità la cappella gotica rinvenuta durante i lavori di restauro del complesso compiuti nei primi anni novanta, di cui rimangono estesi brani di decorazione pittorica assegnabili all'ambito figurativo dei fratelli Mattreo e Tommaso Biazaci.

Nel 1525 si costruì la cappella del beato Angelo nel medesimo luogo dove si trova oggi, ovvero a sinistra dell'altare maggiore della chiesa. Qui fu trasferito il corpo di Angelo Carletti, importante figura di francescano osservante vissuto nel Quattrocento, acclamato beato dal popolo immediatamente dopo la morte. Questo fatto permise al convento degli Osservanti di garantirsi una frequenza di visitatori sempre crescente. Interventi di ampliamento importanti si ebbero soltanto quando, nel 1630, a seguito di un voto fatto dalla cittadinanza in occasione della peste, si espresse la volontà di costruire un sacello per la conservazione della reliquia del beato Angelo, che fosse di facile accesso per i pellegrini. Il progetto venne realizzato soltanto più tardi, verso la fine del secolo, sulla spinta insistente della comunità cuneese, all'interno del convento francescano, probabilemte secondo i disegni di Michel Angelo Garove. La cappella fu poi arredata e decorata con lo stemma cittadino. Il primo agosto 1700, infine, avvenne la traslazione del corpo del Carletti. Nel 1753, per intervento diretto di Carlo Emanuele III di Savoia, si provvide anche a procurare una nuova urna per il corpo del beato, che fu realizzata in argento e bronzo da Andrea Boucheron e Francesco Ladatte, artisti di corte attivi negli stessi anni anche a Vicoforte.

Successivamente, la chiesa e il convento vennero ricostruiti secondo le volontà dei potenti conti Caisotti di Chiusano, fieri detentori del patronato sulla chiesa, e l'edificio assunse un aspetto simmetrico, con due grandi cappelle ai lati del coro, quella del beato Angelo e quella dell'Immacolata Concezione, oggi cappella Galimberti, e altre due meno evidenti sulla navata. L'intervento più rilevante interessò il presbiterio e il coro, con Ia costruzione della grande macchina marmorea dell'altare, derivata da disegni di Filippo Juvarra (1726-28) eseguiti soltanto a partire dal 1750 sotto la direzione di Bernardo Antonio Vittone e per opera dei mastri Giovan Angelo e Giosuè Buzzi. Lo scultore Ignazio Perucca, su disegno di Claudio Francesco Beaumont, realizzò la statua della Madonna.

Interventi posteriori di particolare importanza avvenuti nel santuario furono il nuovo allestimento della cappella del Beato nel 1899 e la completa trasformazione della cappella dell'Immacolata Concezione in cappella funeraria della famiglia Galimberti negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, con l'intervento dello scultore Edoardo Rubino. Tra le testimonianze figurative seicentesche esistenti nel santuario cuneese sono da menzionare la pala di San Diego d'Alcalà, capolavoro di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, e la tela del Sant'Antonio, di pittore ignoto; per il Settecento si devono citare le due tele di Michele Antonio Milocco con L'Assunzione della Vergine e con Il beato Angelo in gloria (in cui è visibile in basso lo skyline della città di quel tempo).

3.La società: tra grande crescita religiosa e splendori artistici

Durante i secoli XVII e XVIII ogni località grande o piccola che fosse si attrezzò al massimo livello di una varietà straordinaria di edifici religiosi e di strutture per le esigenze del culto. Tutto ciò oggi si fa spesso fatica a comprendere e viene di conseguenza dimenticato o tristemente trascurato. Rispetto ai grandi monasteri romanici e ai conventi degli Ordini Mendicanti del periodo gotico, l'architettura sacra barocca trovò una figura tipica di edificio emblematico di una nuova presenza comunitaria nel Collegio dei Gesuiti, ma anche case di altre comunità religiose caratteristiche della riforma cattolica. Il collegio era la "casa" della congregazione dei Gesuiti, dove i religiosi risiedevano però in una parte minima rispetto a quella riservata allo svolgimento di attività formative o pastorali ben precise. Il confine tra residenza e collegio, al di là della differenza giuridica, nei Gesuiti è molto vago: la costruzione doveva servire per una missione ed era anche abitata, quindi si caratterizzava come un nuovo edificio che andava a inserirsi nelle nostre città accanto ad una chiesa, un po' come nel caso dei vecchi monasteri, ma con una sua fisionomia ben precisa, non tanto per la vita dei religiosi, quanto soprattutto per tutta una serie di attività che vi si svolgevano. A Mondovì, come a Cuneo, hanno la chiesa in un isolato e il collegio in un altro. Di questi collegi ai nostri giorni è purtroppo impossibile leggere le condizioni strutturali preesistenti, perché sono stati per così dire "riciclati" per altre funzioni, come quella a sede municipale in Cuneo.

Tutte le case dei Gesuiti in Piemonte facevano riferimento a Milano. Esisteva una circolazione di direttive e di verifiche, di impostazione delle case, che arrivava da Milano e non da Torino. Questo significò molto per le scelte architettoniche. In provincia di Cuneo, i collegi edificati sono stati solo tre: quello di Mondovì, il primo del Piemonte, sorto nel 1561, progettato dal rettore Antonio Falletti di Barolo (1713-1716); quello di Cuneo del 1628, anche se era stato già proposto nel 1576, in quanto era una zona di eresie, in cui i Savoia volevano garantire una migliore presenza religiosa; quello di Saluzzo, del 1660 e quello di Savigliano, del 1693, che manterrà la destinazione di residenza.

Gli istituti religiosi esercitarono una particolare influenza nell'indirizzare la devozione popolare. Il popolo cristiano venne coinvolto totalmente in un'esistenza ritmata dai sacramenti come tappe fondamentali della sua appartenenza alla chiesa. Il tempo della giornata, della settimana, delle stagioni e dell'anno era scandito da richiami e segni che rendevano più sopportabile la fatica quotidiana e permettevano una condivisione comunitaria delle gioie e dei dolori provocati dai momenti salienti della vita. La pietà popolare del Seicento non va intesa solo come manifestazione teatrale della vita liturgica e devozionale; bisogna comprendere il valore educativo che risiedeva nel coinvolgimento corale durante i riti e che era ottenuto con la predicazione, col canto e con le processioni. Esistevano poi forme di appartenenza a gruppi di devozione, scelti in base al luogo, al lavoro, all'età, al sesso o al grado di responsabilità sociale, che conferivano solidità e un forte senso di appartenenza e partecipazione alla vita sociale. La comunità cristiana interagiva quindi con la società, partecipava alla sua evoluzione, ma si poneva anche in tensione con essa.

Gli edifici sacri con la loro funzione simbolica e con l'apparato di segni e immagini devozionali vennero gradualmente adattati a questi valori. Grazie all'influenza esercitata nel Cinquecento soprattutto dalla Compagnia di Gesù, si impose l'uso di chiese a grande aula, un modello che prevalse nettamente per le forme degli edifici sacri costruiti nel Cuneese tra Sei e Settecento. Gli altari e le cappelle in precedenza affidate a famiglie private con diritto di patronato cominciarono peraltro a diminuire. Si cercò allora di favorire il passaggio degli altari dal patronato delle famiglie a quello delle nuove compagnie devozionali o a sodalizi di categorie di lavoratori con i relativi santi patroni. Si affermarono le Compagnie del Santissimo Sacramento presso l'altare maggiore, richiesta dai vescovi, poi si ebbe la Compagnia del Rosario e quella del Suffragio, che presero posto nelle prime due cappelle vicine al presbiterio. In qualche chiesa, agli inizi del Settecento, si affiancò l'altare di San Giuseppe, patrono degli agonizzanti e poi anche dei falegnami. Nel corso del Settecento si diffuse l'altare di San Magno per i contadini, nei centri maggiori si ebbero l'altare dei fabbri e dei mulattieri, dedicato a Sant'Eligio, quello dei tessitori dedicato Sant'Agata, o dei mugnai con San Martino, dei calzolai con i santi Crispino e Crispiniano o dei sarti con San Omobono.

La forma dell'altare in età barocca mutò profondamente: da mensa per la celebrazione eucaristica, protetta nelle basiliche più importanti da un tiburio, l'altare divenne gradualmente la struttura per la conservazione e l'adorazione dell'Eucarestia. Al disopra si pose il tabernacolo fisso, secondo le disposizioni del Concilio di Trento. Per rispondere alle esigenze delle celebrazioni delle Quarant'ore si allestì sul tabernacolo il tronetto per l'esposizione eucaristica e lo si dotò di gradini su cui porre candelabri, fiori ed anche reliquiari. Si trattò di strutture all'inizio mobili, ma ben presto divennero in marmo o anche solo in muratura e stucco marmorizzato. Talvolta si ricorreva a "macchine d'altare", vere e proprie scenografie teatrali allestite per le Quarant'ore o per qualche festa particolare.

Il dipinto, che costituiva in precedenza la pala o l'ancona di epoca gotica e rinascimentale, si saldò all'altare con un'architettura scenografica complessa, che comprendeva l'apparato di esposizione del Santissimo Sacramento. Intorno al 1670 a Cuneo si ebbe l'affermazione più vistosa di questi altari con dossale architettonico, con le cappelle laterali della chiesa di Santa Maria della Pieve, già dei Gesuiti, su indicazioni presenti nelle opere di Andrea Pozzo. Sono solo quattro gli altari maggiori con dossale architettonico, in cui si fondono tra loro il tronetto, il baldacchino e il portale, fino al capolavoro progettato da Filippo Juvarra per Santa Maria degli Angeli.

L'apparato decorativo degli ambienti barocchi si caratterizzò per la fusione delle strutture architettoniche, dei rilievi in stucco e dei riquadri dipinti, come nelle cappelle laterali della chiesa dei Gesuiti a Cuneo e di quelle di Santa Maria del Bosco, di San Francesco o ancora della cappella superiore di San Dalmazzo a Borgo San Dalmazzo.

Le pareti del presbiterio di molte parrocchiali esponevano tele secentesche o affreschi raffiguranti l'Adorazione dei pastori e l'Ultima Cena, come richiamo alle due feste più solenni dell'anno liturgico: Natale e Pasqua. Per quanto riguarda la figura di Cristo, si privilegiano le vicende della sua passione, descritte in molte tele di confraternite o rese popolari nelle Vie Crucis, diffuse ovunque a metà Settecento. Abbondavano, infine, raffigurazioni dei "misteri" della Passione. Molto rare sono invece le tele dei Trionfi della Croce e i riquadri affrescati dei Profeti con le profezie della salvezza attraverso la Croce, presenti nella confraternita di Santa Croce in Cuneo.

Nell'iconografia mariana, dalla fine del Cinquecento prevalse la figura della Madre con Gesù Bambino in braccio, come Vergine del Rosario, attorniata dai 15 misteri, o Madonna del Carmelo, poi sostituite nel Settecento dalla Madonna sola, presentata come l'Immacolata e in seguito anche come Assunta, rappresentate altresì in numerosi esemplari di scultura lignea.

Nel Seicento si diffusero i cicli dell'Apostolato, presenti quasi in ogni parrocchia, come strumenti collegati all'insegnamento del Credo, o simbolo degli Apostoli. Una bellissima serie di Profeti è visibile nelle piccole figure in legno scolpito del pulpito di Limone, già appartenenti all'arredo del coro della Certosa di Pesio. Nel Settecento prevarranno i gruppi statuari processionali del Cristo nella sua passione.

Molto caratteristici erano gli emblemi e le allegorie sia dipinti che rappresentati in figure plastiche, diffuse specialmente nel Seicento. Tra le figure allegoriche meritano maggior considerazione le 24 statue in stucco degli altari laterali e della facciata della chiesa dei Gesuiti in Cuneo e le otto statue con allegorie delle Beatitudini nell'Annunziata sempre a Cuneo. Più complessa è la decifrazione della simbologia di trofei e candelabre, piutosto ricorrenti come nel coro della chiesa già dei Gesuiti a Cuneo. Si tratta di forme tipiche di un linguaggio raffinato, destinato a un pubblico di iniziati.

Per la provincia di Cuneo può sembrare scontato che, percentualmente parlando, le emergenze artistiche di età barocca siano più elevate rispetto a quelle romaniche (circa il 2%) o a quelle gotiche (circa il 10-15%). In realtà, non è proprio così. A Cuneo, per esempio, tra le chiese barocche più ragguardevoli che si sono conservate integre si annoverano soltanto più quelle di Santa Maria, Sant'Ambrogio, San Sebastiano e Santa Croce. Altre fabbriche religiose hanno subito trasformazioni o distruzioni più o meno pesanti: l'edificio di San Giovanni Decollato fu trasformato da tribunale in magazzino, poi da convitto civico a di nuovo magazzino, fino al crollo rovinoso avvenuto nel 1984; Santa Chiara subì modifiche e ridipinture, come l'Annunziata, che attraversò anche un periodo di incuria; la chiesa di Santa Maria del Bosco, infine, venne risistemata nel XIX secolo, dopo che divenne Cattedrale nel 1817.

Un certo interesse ha suscitato in questi uitimi anni il recupero degli stucchi barocchi in città, un capitolo poco noto di quel periodo e con alcuni esiti piuttosto interessanti, come in San Francesco, San Giovanni, Santa Croce o Santa Chiara, che testimoniano il passaggio di cantieri diversi succedutisi nel tempo e i mutamenti dei modi stilistici. A causa dell'economicità della tecnica dello stucco, sostitutiva del marmo, è comprensibile la sua diffusione anche in piccole cappelle di minore importanza. Di fronte a questi casi di rinnovata attenzione critica, si può osservare che non tutto sul Barocco cuneese a tutt'oggi è stato scoperto, studiato, catalogato e riconsiderato alla luce delle condizioni visive originarie.

4.Pittori caravaggeschi tra Savigliano e Fossano: Molineri, Claret e Boetto

La vicenda artistica del pittore saviglianese Giovanni Antonio Molineri si svolse in parallelo con l'attività degli altri pittori caravaggeschi piemontesi, ovvero Tanzio da Varallo, Niccolò Musso e Giuseppe Vermiglio. Dopo il loro ritorno da Roma in Piemonte, che avvenne intorno agli anni 1616-1620, tali artisti diventeranno i fautori della fortuna del caravaggismo in Piemonte con caratteristiche proprie ben distinte. La critica però non ha destinato a Molineri la stessa attenzione mostrata per gli altri caravaggeschi piemontesi, sebbene la sua pittura abbia esercitato una forte influenza stilistica sul territorio piemontese. Molineri portò con sé da Roma il grido delle novità del realismo caravaggesco, aggiornando il linguaggio figurativo locale in senso naturalistico e imprimendo una svolta in provincia che si protrarrà per oltre mezzo secolo, con l'attività del fossanese Giovenale Boetto e del fiammingo Giovanni Claret, e che giunge a uno dei vertici più alti nel ciclo di affreschi di Palazzo Taffini d'Acceglio a Savigliano. Alla Corte di Torino, Molineri preferirà sempre il lavoro nella provincia, perché qui sapeva di poter contare su un'accoglienza sicura da parte di committenti, letterati e artisti, mediatori e garanti del successo del suo linguaggio naturalista. Le opere del Molineri, in effetti, sono rimaste nella provincia cuneese (territorio strettamente Sabaudo) e questo ha impedito a Molineri di essere conosciuto tanto quanto gli altri caravaggeschi, dei quali invece è nota la produzione di opere anche al di fuori del Piemonte. Altro punto che ha giocato a sfavore di una piena comprensione dell'attività artistica del pittore, risede inoltre nella scarsa conoscenza del suo itinerario biografico. Gli atti notarili, conservati nell'Archivio di Stato di Cuneo, hanno permesso di ricostruire la rete delle parentele (soprattutto quella con la famiglia dei pittori Dolce a Savigliano) e il contesto in cui operò il pittore. I documenti lo ricordano sicuramente a Roma nel 1609, un anno prima della drammatica scomparsa del Caravaggio. Una procura romana del 1616 testimonia del rapporto inedito con Bartolomeo Manfredi (uno dei primi seguaci di Caravaggio) e sempre nel 1616 Molineri ritornò in Piemonte per rimanervi fino alla morte accertata nel 1631. Il rinvenimento di questa data, che in precedenza si pensava attestata intorno al 1640-45, ha costretto la critica a riportare tutta la produzione artistica del Molineri in quindici anni di attività e a togliere dal catalogo delle sue opere l'importante ciclo di affreschi di Palazzo Taffini d'Acceglio in Savigliano.

Tra le prove più rappresentative della maniera naturalistica del pittore si possono citare la Madonna con Bambino con i Santi Giuseppe e Carlo Borromeo, nella chiesa di Santa Maria della Pieve a Savigliano, commissionata dal Municipio nel 1615, in atto di devozione fatto per "ottenere la pace e salute dei serenissimi principi in tempo dell'assedio della città di Asti", e restaurata nel 1659 da Costanzo Arbaudi, allievo di Molineri, con gesti ed espressioni nel gruppo della Madonna di spiccato realismo e toccante semplicità popolana; l'Orazione di Gesù nell'orto, composta tra il 1618-19 per la cappella prospiciente della Santa Croce nella medesima Pieve; il Martirio di san Paolo e il Martirio di san Pietro sulle pareti laterali del presbiterio dell'abbazia di San Pietro a Savigliano, firmati e datati 1621; la Crocefissione,firmata e datata, commissionata dalla confraternita di San Sebastiano a Cuneo nel 1625 e posta sull'altare maggiore della chiesa nel 1626, oltre agli affreschi con gli Evangelisti per i pennacchi della cupola (1625-1628), in parte rifatti; e la tela con San Marziano vescovo, datata intorno al 1630-1631, nella Parrocchiale di Genola.

Le prime opere documentate del fiammingo Giovanni Claret (Hertogenbosch 1599? - Savigliano 1679) si conservano nel presbiterio della chiesa agostiniana di Santa Maria delle Grazie a Carignano e raffigurano la Madonna con Bambino e i santi Rocco, Remigio e Giovanni Battista e l'Adorazione dei Magi. Furono eseguite da Claret in collaborazione con Francesco Pistone tra il 1632-1633, su commmissione della comunità di Carignano. Si tratta di opere che rivelano vistosi punti di contatto con i dipinti di Molineri, sia sul piano stilistico che su quello iconografico. Claret si appropriò dei forti accenti chiaroscurali di Molineri, ma i suoi colori appaiono più lucidi, smaltati, e le sue figure si stagliano nettamente dal fondo. Importanti affreschi di Claret decorano la cappella del Rosario della Parrocchiale di Mondovì Carassone (La Sconfitta degli Albigesi,1642-1645, in rapporto, negli stessi anni, con la tela custodita nella sacrestia di Sant'Andrea a Bra, raffigurante La battaglia di Lepanto, immagine piuttosto cara a Pietro Paolo Operti, un pittore braidese del Settecento, virtuoso e rispettabile autore di dipinti e affreschi religiosi e profani, tra Bra, Cherasco, La Morra e Saluzzo), seguiti da opere firmate quali l'Ultima Cena del 1644 nella sacrestia del Duomo di Fossano e l'Estasi di san Francesco del 1645 presso Santa Maria della Pieve a Savigliano. Agli anni Cinquanta appartiene la vasta produzioni di dipinti devozionali, così intrisi di sentimento naturalistico molineriano e apprezzati dagli ordini religiosi, tra i quali si possono ricordare le pale per il Santuario di Cussanio (Fossano), eseguite su commissione dei padri Agostiniani di Cavallermaggiore e la Crocefissione della Confraternita della Santa Croce di Marene. 

Il fossanese Giovenale Boetto (1603/1604 - 1678), architetto e ingegnere ducale dal 1631, fu un personaggio di spicco a Corte e svolse un prezioso ruolo di intermediario tra Torino e la provincia, mostrandosi particolarmente abile nella pratica dell'incisione. Nelle immagini dei Santi Cassinesi, provenienti dal convento di San Pietro di Savigliano e ora conservate alla Galleria Sabauda di Torino, si evidenziano i tratti stilistici distintivi del sodalizio tra Boetto e Claret, caratterizzati dalla nitidezza degli effetti luministici, dalla precisione delle ambientazioni e dalla definizione essenziale di alcuni volti. Interessante è il fenomeno delle pitture cosiddette "bamboccianti", elaborate a Roma in ambito caravaggesco e giunte come novità nel territorio di Savigliano intorno al terzo decennio del Seicento. Ne sono un'attestazione gli affreschi della chiesa del convento domenicano di Savigliano (oggi non più esistente), scoperti negli anni Settanta del Novecento, purtroppo in stato di degrado. Questo filone dei "bamboccianti" risulta essere conosciuto anche dalle maestranze che operarono agli affreschi di Palazzo Taffini con scene di battaglie a cui partecipò Vittorio Amedeo I, per i quali è ipotizzabile la partecipazione di Claret con Boetto. Tra il 1655 e il 1662, sotto la regia di Boetto incisore e architetto e affiancato dagli interventi degli stuccatori luganesi Rusca, Claret realizzò pitture murali lungo la volta della navata della chiesa superiore nella Certosa di Chiusa Pesio, in cui sono raffigurate scene evangeliche e della vita di san Brunone, che ne rivelano la vena di vivace narratore, sapientemente in bilico tra idealizzazioni classicheggianti e robusto linguaggio realistico. 

5.Andrea Pozzo in provincia di Cuneo

Andrea Pozzo nasce a Trento nel 1642, ma la sua formazione fu tutta milanese, legata alla Compagnia di Gesù, nella quale entrò nel 1665 come "fratello laico", presso il Collegio di San Fedele a Milano. Svolse il Noviziato in Piemonte, probabilmente a Chieri, e la sua attività di pittore prese le mosse proprio in terra piemontese. Padre Pozzo, pur unito all'Ordine, si dimostrò un pittore autonomo. Nel 1675 giunse a Mondovi per un sopralluogo nel cantiere della chiesa di San Francesco Saverio in piazza Maggiore. L'edificio, fatto erigere dai Gesuiti su progetto di Boetto, venne innalzato a partire dal 1665. I lavori di Pozzo inizieranno l'anno seguente e lo impegneranno per sedici mesi, insieme ad altri tre collaboratori. La decorazione ad affresco di Fratel Andrea Pozzo si qualifica per il suo visionario e potente illusionismo e per la sua intima connessione all'architettura, fino al punto di intervenire con correzioni e modifiche sulla struttura, sulle decorazioni e sulle aperture di luce, per migliorare in ogni in tutti i modi l'effetto prospettico perseguito. Vertigini di architetture scorciate nella finta cupola all'incrocio dei bracci, che inquadra la Gloria di san Francesco Saverio, profondità di spazi aperti tra volumi archiettonici nel catino absidale, con la scena del battesimo degli infedeli, e imponente invenzione di una macchina d'altare, in cui una semplice tela con l'effigie del santo in estasi è incorniciata da un ciborio, che è un raro modello di apparato per il teatro sacro, debordante di architettura effimera. Esiste una leggenda tramandata da Filippo Baldinucci, secondo la quale Boetto fu messo in cattiva luce e considerato colpevole di aver costruito un edificio difettoso e meritevole di essere demolito, evitato soltanto grazie all'intervento illusionistico di Pozzo. Da una sua lettera al rettore del Collegio del 14 luglio 1676 risulta invece che Boetto apprezzava le pitture, che le voleva vedere finite al più presto e salutava con entusiasmo il pittore gesuita. L'impresa decorativa si concluderà nel 1678, anno in cui la chiesa di San Francesco Saverio venne inaugurata dal Vescovo di Mondovi, Domenico Trucchi.

Nel 1677, la duchessa Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours inoltrò al superiore dei Gesuiti la richiesta di poter disporre di Pozzo per la chiesa dei Santi Martiri di Torino. Superate le resistenze dell'artista, i lavori iniziarono tra la fine del 1677 e l'inizio del 1678 e si protrassero fino al 1680. Della decorazione, tuttavia, restano oggi soltanto pochissime tracce in controfacciata. Padre Pozzo non era intenzionato a lavorare per i Duchi e questa sua decisione divenne ancora più sorprendente quando nel 1685 giunse a Cuneo, per l'altare maggiore della Collegiata di Santa Maria del Bosco, la grande tela con la Madonna col Bambino, San Michele, San Giovanni Battista e angeli, ottenuta dal Comune, nonostante gli impegni del pittore e l'opposizione del padre generale dell'Ordine. L'opera, sfavillante di luci e di colori timbrici, diventerà un esempio di tecnica coloristica Sebastiano Taricco.

Intorno al 1673, a Cuneo Pozzo aveva già inviato due dipinti per la chiesa dei Gesuiti, intitolata al "Nome di Gesù", oggi Parrocchia di Santa Maria della Pieve, ovvero la bella pala con San Giuseppe, che, offrendogli un frutto, chiama per nome Gesù, presentatogli da Maria, e la tela con San Francesco Borgia che accoglie Stanislao Kostka, ora presso l'Ospedale di Santa Croce, ma verosimilmente collocato in origine nella cappella della chiesa dei Gesuiti dedicata a San Stanislao Kostka. Per la Cattedrale di Mondovi arrivò ancora L'Annunciazione, che riporta sul retro le indicazioni importanti dell'anno (1692), della provenienza (Roma) e del committente (il canonico Luigi Trombetta). In seguito, tra il 1693 e il 1703, Pozzo invierà a Torino altre tele, alcune autografe e altre attribuite alla sua bottega, per la Congregazione dei Banchieri e dei Mercanti, ma nessuna raggiunse più la provincia di Cuneo.

6.Sebastiano Tarico

L'inizio documentato dell'attività pittorica di Sebastiano Taricco (Cherasco 1641 - Torino 1710) data al 1668, al tempo del suo impegno, con Giacomo Duprà e Giuseppe Nuvolone, nella realizzazione degli appartamenti progettati da Giovenale Botto per l'ingresso a Savigliano di Madama Reale Maria Giovanna Battista. Si tratta di un esordio poco appariscente, a cui però si affianca un dipinto che attesta la sua formazione presso i cantieri di corte e a contatto con una cultura figurativa aggiornata, al tempo in cui la Grande Provincia non offriva modelli importanti di riferimento, ovvero della tela con la Madonna col Bambino e i santi Dalmazzo e Biagio, realizzata per la cappella superiore della Parrocchiale di Borgo San Dalmazzo, forse già nel 1669, anno in cui si svolse una visita pastorale che descrive l'opera. Seguono principalmente le tele per l'altare della Trinità di Fossano, che rivelano un linguaggio più impostato e controllato, anche nella resa cromatica, e gli interventi ad affresco nel Salone di palazzo Gotti di Salerano a Cherasco, databili agli inizi degli anni Ottanta, che dimostrano l'avvenuto incontro rinvigorente con la pittura di Pozzo, tra il 1676 e il 1678, durante i lavori agli affreschi della chiesa di San Francesco Saverio di Mondovì. Nel primo decennio del Settecento, Taricco è documentato ancora a Borgo San Dalmazzo, Chiusa Pesio e Cuneo.

Presenza fisica forte nel tracciato regolare della città, la chiesa della Madonna del Popolo a Cherasco, situata ai bordi dell'abitato e dalla mole frontale proiettata nel cielo con articolazione di membrature dagli effetti scenografici singolari, è attribuita tradizionalmente a Taricco e sembra riflettere il mondo della pittura e della quadratura più che quello degli architetti. La chiesa, dall'ampia aula centrale ottagonale, venne costruita tra il 1693 e il 1702 per gli Agostiniani, seguendo gli schemi architettonici tipici della tradizione locale, dalle finestre serliane all'ampio tamburo, diffusi da Boetto, che proprio a Cherasco costruì la chiesa per la confraternita di Sant'Agostino (1672-1675), affrescata dallo stesso Taricco nel 1676. L'interno è rivestito da un trionfo di decorazione a stucco, che il luganese Domenico Beltramelli portò a termine negli 1703-1709 e che segnò una tappa fondamentale della sua intensissima attività di stuccatore, operoso in molti cantieri del cuneese, compresa la chiesa di Santa Croce a Cuneo.

7.Santa Croce a Cuneo

La chiesa della Confraternita di Santa Croce a Cuneo, appartenente al complesso dell'ospedale omonimo, è un edificio che ha risalto per la notevole monumentalità della facciata e del fianco. Venne progettato dal primo ingegnere civile e militare del duca Antonio Bertola nel 1708, coadiuvato dal fratello Giovan Giulio Bertola e dal giovane Francesco Gallo, che affrontò qui le sue prime esperienze pratiche come architetto.

Sia in pianta che in alzato, la chiesa si impone per la nitidezza con cui si identificano le parti che ne compongono l'architettura: il vano ovoidale dell'aula, quello trasversale ellittico del coro, l'innesto del campanile, la facciata, autonoma e rientrata.

La facciata concava è a doppio ordine, chiusa in alto dal frontone ricurvo. Il grande vano interno della navata focalizza le tensioni verso l'alto, comunicando una sensazione di unità dello spazio, grazie allo scarso rilievo delle lesene e dei rispettivi risalti sulla trabeazione, che non interrompe il senso di continuità della parete. Su tutte le superfici disponibili dell'interno, Domenico Beltramelli lavorò, diretto da Gallo (ma solo per la volta), tra il 1713 e il 1715, realizzando un'elegante decorazione a stucco bianco, che dona lucentezza alla chiesa, destinata non solo ad accogliere fedeli in preghiera, ma anche ad essere un luogo per incontri. Le pitture parietali spettano al luganese Francesco Gaggini, affiancato dal quadraturista Pietro Antonio Pozzo. Le due finte tribune dipinte del coro, con papa e cardinale affacciati dalla balconata, sono attribuite al pittore astigiano Giovanni Carlo Aliberti.

Percorsi devozionali in provincia di Cuneo

Il territorio cuneese ha conosciuto una tipologia progettuale di Sacri Monti indipendente dal modello originario di Varallo Sesia, fondato tra il 1486 e il 1491 dal Padre francescano Bernardino Caimi con l'intento di ricreare su uno sperone roccioso una "Nuova Gerusalemme" o una "Terra Santa in miniatura", nucleo originario di quel grande complesso scenografico che tra Cinque e Seicento sarebbe diventato, come ha scritto Rudolph Wittkower, "una delle più straordinarie imprese della storia della fede cattolica". L'invenzione spettacolare di un insieme di corpi architettonici distribuiti in spazi paesaggistici suggestivi, sorti per evocare realisticamente i fatti della vita, della passione e della morte di Gesù, si trasformò, a partire dal XVI secolo, in progetti assai meno ambiziosi di vie sacre processionali, incentrate piuttosto sulla vita di Maria o di altre figure di santi e destinate ad una devozione itinerante più formale e interiorizzata. Lo schema-guida dell'itinerario di culto incentrato sulla corona dei misteri mariani è rappresentato dal Sacro Monte di Varese (1604). A questo luogo si ispirò monsignor Ghilardi, vescovo di Mondovì, per il suo grandioso progetto di una via del Rosario che unisse Mondovì Piazza al santuario di Vicoforte, segnalato in una Lettera pastorale del 1869. Dal XVIII secolo, nelle zone rurali del Cuneese si diffusero numerosi percorsi devozionali indirizzati ai santuari, costituiti da piccoli oratori, edicole e piloni dedicati ai misteri del Rosario o alle stazioni della Via Crucis. Un esempio notevole è quello della via del Rosario dal cimitero di Dogliani al vicino santuario della Madonna delle Grazie, lungo la quale si snodano quattordici piloni dedicati ai Misteri del Rosario (1872), opere in stile neogotico dell'architetto eclettico doglianese Giovanni Battista Schellino. In particolare, la Via del Rosario che unisce Mondovì Piazza con il santuario di Vicoforte, se pure in rapporto con la tipologia dei Sacri Monti, si caratterizza più propriamente comepercorso devozionale. La prima fase della costruzione delle cappelle risale alla fine del XVII secolo, ma solo nella seconda metà dell'Ottocento vennero edificate le cinque cappelle esistenti (l'ultimo dei tre piloni elevati lungo il percorso fu tuttavia terminato solo nel 1911). Protagonista di questa seconda fase fu Schellino, a cui il vescovo di Mondovì si rivolse per i progetti, purtroppo non realizzati, ma di cui restano alcune belle tavole ad acquerello e le lettere inviate al vescovo, che documentano le idee dell'artista in merito al percorso. Consideriamo ora due santuari esemplari: quello della Natività di Maria Santissima a Vicoforte Mondovì e quello della Madonna del Pilone a Moreta di Saluzzo.

1.Il santuario della Natività di Maria Santissima a Vicoforte Mondovì

Devozione e arte s'incontrano in un connubio felice al cospetto del santuario della Madonna di Vicoforte, il più importante centro di culto mariano presente in provincia di Cuneo. Frutto di una committenza diretta della corte sabauda, a cominciare dal Duca Carlo Emanuele I, la grande fabbrica sacra impegnò la creatività dei maggiori artefici del Barocco piemontese. Stando alle fonti più antiche, l'origine del pilone decorato con l'immagine votiva della Madonna col Bambino risale al terzo quarto del Quattrocento e l'affresco mariano è attribuito a Segurano Cigna, un pittore attivo in area monregalese nella seconda metà del XV secolo. La fede popolare sorta intorno ai poteri taumaturgici dell'immagine sacra, violata nel 1592 dallo sparo di un fucile da caccia, accrebbe da subito considerevolmente, costringendo già due anni dopo il vescovo Castrucci ad acconsentire al restauro della piccola cappella. I devoti sempre più numerosi venivano assistiti da una comunità di padri Gesuiti e di Cistercensi riformati, chiamati a stanziarsi a Vicoforte per rispondere alle loro necessità. Tra i pellegrini, che si affidavano all'intercessione di Maria, portando doni di ogni genere, secondo le proprie possibilità, molti erano i malati e gli invalidi e numerosi gli esponenti di confraternite e compagnie, che svolgevano di fronte al pilone le loro pratiche, come le pubbliche flagellazioni.

L'anno di nascita del santuario coincise con il 1595, quando la folla accorsa risultò enorme e la fama proveniente dal luogo attirò anche l'attenzione di personalità sempre più importanti, fino a coinvolgere direttamente lo stesso Duca Carlo Emanuele I, che raggiunse Vico due volte nel 1596, in veste di umile pellegrino. La fama del luogo lo convinse a farsi promotore della costruzione a Vicoforte di un vero e proprio santuario, che avrebbe accolto al suo interno il mausoleo dei membri di casa Savoia. L'impegno ducale coinvolse le figure più importanti di architetti ed ingegneri contemporanei attivi per la Corte, che inviarono progetti da ogni parte d'Italia, come Ercole Negro di Sanfront, Giovan Battista Clarici e Ascanio Vitozzi, al quale spettò da ultimo di realizzare l'edificio. Le idee del Vitozzi, che prevedevano un impianto classico basilicale a tre navate e transetto integrato con la rivoluzionaria soluzione ellittica della pianta, non trovarono completa accoglienza e subirono modificazioni imposte dall'ambiente monregalese, dal vescovo Castrucci e dal duca stesso, che rifiutarono la scelta di forme inventive e libere, favorendo quelle più chiare e convenzionali.

Il cantiere della "gran fabbrica" di Vicoforte conobbe un flusso continuo di validi architetti, pittori, scultori e maestranze artigiane, che arricchirono l'ambiente interno di cappelle, altari, tombe e dipinti di grande livello qualitativo, anche se la corte sabauda, tra la fine del Seicento e l'inizio del secolo successivo, mutò i propri interessi nei confronti del santuario, scegliendo con Vittorio Amedeo II di spostare a Superga il pantheon dei membri della casata. Non venne però mai meno la devozione popolare, con il seguito ininterrotto ancora ai nostri giorni di pellegrinaggi, voti e doni alla Madonna di Vico. Tra gli interventi più significativi presenti all'interno del santuario, si deve ricordare senz'altro la cappella di san Bernardo, che costituisce il modello di ideazione vitozziana delle cappelle funerarie volute da Carlo Emanuele I, la cui tomba, ornata con le figure allegoriche di Minerva e della Sapienza, è conservata al suo interno. I lavori della decorazione marmorea, con intonazioni variate di bianchi e neri, in funzione funeraria, furono realizzati dai luganesi Domenico Rusca, Antonio Scala e Giacomo Vanillo a partire dal 1603, mentre la tomba ducale, scolpita da Ignazio e Filippo Collino in uno stile già neoclassico, venne inaugurata nel 1792. ll sacello è ornato con una tela realizzata da Sebastiano Taricco verso il 1688, raffigurante San Bernardo in meditazione sulla maternità di Maria, un soggetto che illustra il tema iconografico della Lactatio Virginis, e la volta è affrescata con la Gloria del Santo, opera compiuta dai comaschi Giovanni Paolo e Raffaele Recchi nel 1680.

L'antistante cappella di san Benedetto rappresenta una delle migliori realizzazioni artistiche del santuario. L'intervento decorativo, affidato alla direzione di Sebastiano Taricco e completato nella seconda metà del Seicento, comprende la volta affrescata tra il 1683 e il 1686 su committenza dell'abate Marcantonio Carretto, con un volo di Angeli e putti che portano in cielo la croce di Cristo e il lenzuolo della Sindone (un'iconografia che esalta la massima reliquia sabauda e quindi in rapporto diretto con Casa Savoia), insieme ai peducci con i profeti Isaia, Davide, Geremia e Osea. La composizione prospettica termina con un'inquadratura ottagonale di una porzione di cielo aperto, ricollegandosi alle scene dipinte da Andrea Pozzo tra il 1675 e il 1679 nella chiesa della Missione a Mondovì Piazza. L'impresa del pittore di Cherasco è considerata dalla critica come uno degli esiti migliori della sua carriera e si completa iconograficamente con le due tele dipinte da Taricco nel 1687 e raffiguranti l'una la Deposizione di Cristo dalla croce e l'altra la Deposizione di Cristo nel sepolcro. La cappella ospita il monumento dedicato a Margherita di Savoia, figlia del Duca Carlo Emanuele I, la cui bella effigie marmorea è opera dello scultore genovese Giuseppe Gagini (1709).

Agli inizi del Settecento, entrò in scena la figura preminente di Francesco Gallo, autore della vastissima cupola (1728-1733), quell'ardita costruzione "ovata", ovvero in forma ellittica, di più di 6000 metri quadrati, che ha reso famoso il santuario in tutto il mondo. L'enorme estensione dell'intradosso della cupola causò notevoli difficoltà ai frescanti figuristi e quadraturisti, che si alternarono nella tormentata vicenda della sua decorazione pittorica. Dopo Pietro Paolo Pozzo, Giuseppe Galli Bibiena, Sebastiano Galeotti e Alessandro Ferretti, nel 1745 arrivò finalmente un pittore veneto, Mattia Bortoloni, che, assisitito dal quadraturista lombardo Felice Biella, affrescò con scene mariane l'ampia superficie a disposizione tra il 1746 e il 1748, dipingendo prima la calotta con il cupolino, quindi il tamburo e poi le rimanenti figure, con un risultato stilistico di acuta sensibilità per il colore e di meravigliosa felicità inventiva. Nel medesimo periodo gli scultori Andrea Boucheron e Francesco Ladatte erano impegnati nella lavorazione a sbalzo e cesello della fastosa custodia in bronzo e argento parzialmente dorati, che avvolge l'affresco votivo e la struttura del pilone, progettata dal Gallo, insieme al baldacchino marmoreo sovrastante, punto focale dell'intero complesso, e alle sei sculture (quattro Angeli e due figure allegoriche, rappresentanti la Speranza e la Carità) in marmo bianco di Carrara, eseguite da Bartolomeo Solaro.

2.Il santuario della Madonna del Pilone a Moretta di Saluzzo

Il santuario della Madonna del Pilone a Moretta di Saluzzo è indicato nella Descrizione di santuari del Piemonte più distinti per l'antichità della loro venerazione e per la sontuosità dei loro edifici, scritto da Modesto Paroletti per Re Carlo Felice nel 1822. La chiesa, iniziata nel 1684, è una delle rare opere autografe progettate dall'architetto Francesco Baroncelli, collaboratore di Amedeo di Castellamonte e di Guarino Guarini, dai quali assimila soluzioni e stilemi formali specifici, come la colonna binata in facciata e lungo i fianchi e il timpano ricurvo e spezzato sopra la finestra serliana. Francesco Gallo disegnò il campanile e gli edifici attigui (1728-1742), che si integrano armoniosamente con il progetto del Baroncelli. All'interno è inglobato un antico pilone che recava I'immagine della Madonna col Bambino in braccio, sul modello della Madonna di Oropa invocata per la protezione della campagna e degli animali. Il 23 luglio 1684 il pilone improvvisamente si mise a oscillare per tre giorni consecutivi, richiamando devoti e pellegrini dai dintorni e motivando così l'elevazione della chiesa e il conseguente processo ecclesiastico per studiare la natura del fenomeno. A testimonianza di questi fatti, nel presbiterio sono conservati due bassorilievi in stucco di pregevole fattura, scolpiti nel 1783 da Giovanbattista Bernero, che raffigurano a destra Emanuele Filiberto di Savoia Carignano con l'architetto Baroncelli e l'arcivescovo Beggiamo e a sinistra Maria Beltramo che ringrazia per la guarigione delle dodici mucche, documento visivo del miracolo avvenuto pochi giorni prima del fatto che il pilone iniziasse a muoversi. I lavori dello scultore neoclassico, interprete raffinato per la corte e per l'aristocrazia piemontese del gusto neoellenistico più squisito, si intonano con il disegno delI'altare maggiore che racchiude il pilone, opera dell'architetto Giovanni Battista Borra (1768). Allievo del Vittone e autore della facciata e del salone di Diana nel castello di Racconigi, Borra innestò il proprio neoclassicismo di ispirazione anglosassone nella tradizione barocca delle macchine d'altare intarsiate di marmi policromi, vivacizzati dai decori scultorei in legno laccato di bianco di Ignazio Perucca. Alla fine del Settecento nel santuario furono presenti i più raffinati artisti ed artigiani della corte torinese, chiamati dal mecenate conte Solaro della Moretta e diretti dall'architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco (1775), autore del disegno del pavimento, della tribuna, della cassa dell'organo, della bussola e del rifacimento del pulpito del 1695, con intagli dello scultore Giuseppe Pellengo, in stile Luigi XVI.

L'Ottocento rappresentò il periodo migliore per la storia della produzione artistica del santuario. Personaggi di primo piano come il conte Faraone Solaro di Moretta e il teologo Sebastiano Morello, prevosto del santuario, permisero che si potesse completare la decorazione pittorica e scultorea e si costruisse il coro sotto la direzione dell'architetto Giuseppe Leoni. L'architetto Ferdinando Caronesi, che progettò nel 1834 la sistemazione della facciata della chiesa di San Carlo a Torino, fornì il disegno delle cappelle laterali intitolate a san Francesco di Sales e a sant' Anna (1840), dotandole di altari di equilibrate linee neoclassiche, e commissionò al pittore saviglianese Pietro Ayres le due pale d'altare con L'educazione della Vergine e San Francesco di Sales (1840-1843), che costituiscono gli esempi migliori della pittura sacra ottocentesca.

Ayres realizzò anche il dipinto murale nella volta del presbiterio raffigurante La Vergine Assunta (1847) e i due tondi laterali con L'Annunciazione. La decorazione fu completata con gli otto bassorilievi in stucco scolpiti dal professore dell'Accademia Albertina Silvestro Simonetta (1854-1865), che illustrano gli episodi della vita della Madonna.

Enrico Perotto
Borgo San Dalmazzo, 29 Maggio 2005
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