Un Percorso Didattico Per Le Arti Nel Territorio
ARTE E FEDE TRA SEICENTO E OTTOCENTO NEL CUNEESE
di Enrico Perotto
docente Liceo Artistico Cuneo
Un lavoro di ricognizione
complessiva della storia artistica del territorio cuneese dal Seicento
all'Ottocento non può che prendere le mosse da una positiva constatazione
iniziale: da un lato, si assiste sempre più di frequente all'allestimento di
esposizioni scientifiche in varie sedi cittadine, che documentano con
precisione il progresso sia degli studi che degli interventi di catalogazione e
restauro del patrimonio storico-artistico; dall'altro, è notevolmente in
crescita lo sforzo che istituzioni pubbliche ed enti religiosi compiono per
tutelare e promozione dei beni culturali diffusi nelle più diverse aree della
cosiddetta Grande Provincia, anche con l'istituzione di nuovi musei d'arte
legati a edifici sacri. Oltre alla pubblicazione in anni recenti di cataloghi
di mostre dedicati a particolari fenomeni della civiltà figurativa sviluppatasi
a Cuneo, Fossano, Saluzzo e Savigliano tra Sei e Settecento, si deve registare
il fenomeno della diffusione di piccole, accurate guide per un primo contatto
conoscitivo con le strutture e le presenze iconografiche nelle chiese delle
diverse diocesi locali, senza dimenticare il successo dell'organizzazione di
conferenze o corsi pluriennali tenuti da esperti, incentrati sul rapporto tra
arte e religiosità a partire dall'area provinciale. Non resta che attendere un
coinvolgimento più diretto del mondo della scuola nel campo non solo della
conoscenza, ma anche della valorizzazione di queste testimonianze storiche del
gusto e della fede del nostro passato, in forme didattiche diverse, cercando
comunque di interagire con le amministrazioni locali o di partecipare a
progetti istituiti da enti locali e fondazioni bancarie, come, ad esempio, a
quello denominato "Adotta un piccolo Comune", che hanno lo scopo del tutto
positivo di proporre agli studenti delle scuole medie superiori una serie
concreta di attività teoriche e pratiche rivolte alla riscoperta e al rilancio
turistico e culturale dei piccoli centri storici pedemontani.
La stagione del Barocco
Come un'onda marina maestosa e travolgente, come una
piega di tessuto esibita ad arte, come un'aria cantata o suonata con grazia e
ispirazione, il Barocco, per lo scrittore spagnolo Eugenio D'Ors, è uno stile
espressivo dal carattere tipicamente dualistico, sintesi feconda di naturale e
soprannaturale, tanto che la "naturalezza del soprannaturale" espressa da Gian
Lorenzo Bernini nel suo lavoro scultoreo, dal fare così duttile e
spontaneamente facile, è considerata dallo studioso come una traduzione
costante e fedele degli Esercizi spirituali di Ignazio de Loyola
(1491-1556), da avvicinare ai modi creativi di Mozart. Apoteosi di corpi
martiri e appassionati, da santa Teresa a sant'Ignazio, da sant'Alfonso Maria
de' Liguori a san Francesco Saverio, santi che si potevano vedere ancora in
vita e forse anche toccare con le mani, e che poi si andava a contemplare, dopo
la loro morte, nelle rappresentazioni artistiche. Apoteosi di voci sante
predicanti, come quella del grande Saverio. Glorie di cupole, che Jacob
Burckhardt nel suo Cicerone del 1855 criticò a causa di quel
"lussureggiare" di "paradisi, ascensioni, visioni" dipinte, il cui emblema più
alto resta il Trionfo del nome di Gesù di Giovan Battista Gaulli, detto
il Baciccio, nella chiesa del Gesù a Roma: "il grande affresco nella navata del
Gesù a Roma", ha dichiarato Burckhardt, "con colori e scorci estremamente
abili; con ogni mezzo l'artista vorrebbe farci credere che le sue schiere
celesti fossero penetrate in volo attraverso la cornice, in direzione
dell'altar maggiore". Apoteosi di musica profana, come quelle intitolate a
Corelli e a Lulli composte da François Couperin; e trionfi architettonici di linee
curve, come nel Palazzo Carignano di Torino. Apologie e divinizzazioni di santi
trionfanti in gorghi prospettici di figure volanti e forme architettoniche,
assorbite da punti luminosi che irraggiano dal centro di una cupola ("là su",
ha scritto il poeta Giacomo Lubrano in una sua lirica del 1690, "nel Bel d'un
Dio infinito"), come nel caso dell'Ingresso di Sant'Ignazio in
Paradiso di Andrea Pozzo nella volta della chiesa di Sant'Ignazio a Roma.
Il Barocco nel Cuneese
1.L'architettura
barocca: committenza, architetti e maestranze locali
Da un punto di vista generale, l'architettura barocca
racchiude in sé una doppia valenza culturale: da un lato, è espressione della
volontà di una determinata committenza concettualmente agguerrita; dall'altro,
è un risultato materiale, una dimostrazione pratica della capacità tecnica
delle maestranze, che determinava l'impronta o il modo d'essere caratteristico
delle costruzioni nell'ambito territoriale in cui operavano e ne esibiva
l'eventuale impegno nella sperimentazione, che nel cantiere poteva essere
tramandato di padre in figlio. È importante ricordare poi la presenza delle
cave in territorio cuneese, le più famose delle quali sono quelle
dell'alabastro di Busca, della pietra bigia di Frabosa, dei marmi della Val Varaita,
oltre che di Valdieri, Limone e Valcasotto. Si trattava di materiali ricercati, che gli architetti piemontesi
utilizzavano in tutti i loro principali cantieri, che si inauguravano per
volere di uno Stato, quello Sabaudo, intenzionato a celebrarsi attraverso le
opere di architettura, in forma di fastose residenze principesche, come, per
esempio, la residenza di campagna detta la Venaria Reale, dove lavorarono, a
partire dal 1658, i massimi architetti del Piemonte, da Amedeo di Castellamonte
a Michelangelo Garove, da Filippo Juvarra a Benedetto Alfieri a Giovanni
Battista Piacenza. Tra i grandi cantieri barocchi, quello della costruzione del
Santuario di Vicoforte è certamente il più emblematico. Il cantiere era
regolamentato in modo molto rigoroso. Tutte le attività terminavano il 30
ottobre e riprendevano ai primi di marzo dell'anno successivo. La causa di
questa rigida distribuzione dei tempi di lavoro era dovuta al fatto che la
"calcina", il legante che unito alla sabbia era usato nelle murature, per gli
intonaci e se mescolata alla polvere di marmo per fare gli stucchi, non si
poteva utilizzare alle basse temperature. Con il passare degli anni, inoltre,
si introdussero aggiornamenti, cambiarono le scelte estetiche, giunsero nuove
influenze che modificarono la cultura barocca piemontese. Rimasero comunque,
alcuni punti fermi, come il problema delle facciate, dei campanili e delle
cupole, che imponevano soluzioni strutturali e formali di certo non prive di
vincoli.
2.Il cantiere degli
Angeli a Cuneo
Il Santuario della Madonna degli Angeli rappresenta
un caso significativo di cantiere interessato a continue trasformazioni nel
corso dei secoli. Considerato il santuario per eccellenza dei cuneesi, questo
edificio è sempre stato accompagnato da un'intensa devozione alla Vergine degli
Angeli e al beato Angelo Carletti, le cui spoglie sono conservate al suo
interno. L'annesso convento, inoltre, ospita I'unica comunità
francescana
presente in città. Nel dicembre 1996 la chiesa fu drammaticamente colpita dal
crollo del tiburio ottagonale e della cupola, impedendo per lungo tempo alla
città di disporre di una parte importante della loro storia religiosa. I lavori
di ricostruzione sono ora terminati e l'edificio è tornato ad essere meta di
devozione e di visite culturali al grande patrimonio artistico e architettonico
che vi è presente, ma ancora ci si interroga sul futuro dell'edificio e sulla
sopravvivenza dei Francescani in Cuneo. Il convento della Madonna degli Angeli
venne fondato nella prima metà del XV secolo come nucleo di terziari
francescani: nel 1450 divenne sede del primo convento francescano
dell'Osservanza a Cuneo. A questo periodo risale con probabilità la cappella
gotica rinvenuta durante i lavori di restauro del complesso compiuti nei primi
anni novanta, di cui rimangono estesi brani di decorazione pittorica
assegnabili all'ambito figurativo dei fratelli Mattreo e Tommaso Biazaci.
Nel 1525 si costruì la cappella del beato Angelo nel
medesimo luogo dove si trova oggi, ovvero a sinistra dell'altare maggiore della
chiesa. Qui fu trasferito il corpo di Angelo Carletti, importante figura di
francescano osservante vissuto nel Quattrocento, acclamato beato dal popolo
immediatamente dopo la morte. Questo fatto permise al convento degli Osservanti
di garantirsi una frequenza di visitatori sempre crescente. Interventi di
ampliamento importanti si ebbero soltanto quando, nel 1630, a seguito di un
voto fatto dalla cittadinanza in occasione della peste, si espresse la volontà
di costruire un sacello per la conservazione della reliquia del beato Angelo,
che fosse di facile accesso per i pellegrini. Il progetto venne realizzato
soltanto più tardi, verso la fine del secolo, sulla spinta insistente della
comunità cuneese, all'interno del convento francescano, probabilemte secondo i
disegni di Michel Angelo Garove. La cappella fu poi arredata e decorata con lo
stemma cittadino. Il primo agosto 1700, infine, avvenne la traslazione del
corpo del Carletti. Nel 1753, per intervento diretto di Carlo Emanuele III di
Savoia, si provvide anche a procurare una nuova urna per il corpo del beato,
che fu realizzata in argento e bronzo da Andrea Boucheron e Francesco Ladatte,
artisti di corte attivi negli stessi anni anche a Vicoforte.
Successivamente, la chiesa e il convento vennero
ricostruiti secondo le volontà dei potenti conti Caisotti di Chiusano, fieri
detentori del patronato sulla chiesa, e l'edificio assunse un aspetto
simmetrico, con due grandi cappelle ai lati del coro, quella del beato Angelo e
quella dell'Immacolata Concezione, oggi cappella Galimberti, e altre due meno
evidenti sulla navata. L'intervento più rilevante interessò il presbiterio e il
coro, con Ia costruzione della grande macchina marmorea dell'altare, derivata
da disegni di Filippo Juvarra (1726-28) eseguiti soltanto a partire dal 1750
sotto la direzione di Bernardo Antonio Vittone e per opera dei mastri Giovan
Angelo e Giosuè Buzzi. Lo scultore Ignazio Perucca, su disegno di Claudio
Francesco Beaumont, realizzò la statua della Madonna.
Interventi posteriori di particolare importanza
avvenuti nel santuario furono il nuovo allestimento della cappella del Beato
nel 1899 e la completa trasformazione della cappella dell'Immacolata Concezione
in cappella funeraria della famiglia Galimberti negli anni Trenta e Quaranta
del Novecento, con l'intervento dello scultore Edoardo Rubino. Tra le
testimonianze figurative seicentesche esistenti nel santuario cuneese sono da
menzionare la pala di San Diego d'Alcalà, capolavoro di Guglielmo
Caccia, detto il Moncalvo, e la tela del Sant'Antonio, di pittore
ignoto; per il Settecento si devono citare le due tele di Michele Antonio
Milocco con L'Assunzione della Vergine e con Il beato Angelo in
gloria (in cui è visibile in basso lo skyline della città di quel
tempo).
3.La società: tra
grande crescita religiosa e splendori artistici
Durante i secoli XVII e XVIII ogni località grande o
piccola che fosse si attrezzò al massimo livello di una varietà straordinaria
di edifici religiosi e di strutture per le esigenze del culto. Tutto ciò oggi
si fa spesso fatica a comprendere e viene di conseguenza dimenticato o
tristemente trascurato. Rispetto ai grandi monasteri romanici e ai conventi
degli Ordini Mendicanti del periodo gotico, l'architettura sacra barocca trovò
una figura tipica di edificio emblematico di una nuova presenza comunitaria nel
Collegio dei Gesuiti, ma anche case di altre comunità religiose caratteristiche
della riforma cattolica. Il collegio era la "casa" della congregazione dei
Gesuiti, dove i religiosi risiedevano però in una parte minima rispetto a
quella riservata allo svolgimento di attività formative o pastorali ben
precise. Il confine tra residenza e collegio, al di là della differenza
giuridica, nei Gesuiti è molto vago: la costruzione doveva servire per una
missione ed era anche abitata, quindi si caratterizzava come un nuovo edificio
che andava a inserirsi nelle nostre città accanto ad una chiesa, un po' come
nel caso dei vecchi monasteri, ma con una sua fisionomia ben precisa, non tanto
per la vita dei religiosi, quanto soprattutto per tutta una serie di attività
che vi si svolgevano. A Mondovì, come a Cuneo, hanno la chiesa in un isolato e
il collegio in un altro. Di questi collegi ai nostri giorni è purtroppo
impossibile leggere le condizioni strutturali preesistenti, perché sono stati
per così dire "riciclati" per altre funzioni, come quella a sede municipale in
Cuneo.
Tutte le case dei Gesuiti in Piemonte facevano
riferimento a Milano. Esisteva una circolazione di direttive e di verifiche, di
impostazione delle case, che arrivava da Milano e non da Torino. Questo
significò molto per le scelte architettoniche. In provincia di Cuneo, i collegi
edificati sono stati solo tre: quello di Mondovì, il primo del Piemonte, sorto
nel 1561, progettato dal rettore
Antonio Falletti di Barolo (1713-1716); quello di Cuneo del 1628, anche se era
stato già proposto nel 1576, in quanto era una zona di eresie, in cui i Savoia
volevano garantire una migliore presenza religiosa; quello di Saluzzo, del 1660
e quello di Savigliano, del 1693, che manterrà la destinazione di residenza.
Gli istituti religiosi esercitarono una particolare
influenza nell'indirizzare la devozione popolare. Il popolo cristiano venne
coinvolto totalmente in un'esistenza ritmata dai sacramenti come tappe fondamentali
della sua appartenenza alla chiesa. Il tempo della giornata, della settimana,
delle stagioni e dell'anno era scandito da richiami e segni che rendevano più
sopportabile la fatica quotidiana e permettevano una condivisione comunitaria
delle gioie e dei dolori provocati dai momenti salienti della vita. La pietà
popolare del Seicento non va intesa solo come manifestazione teatrale della
vita liturgica e devozionale; bisogna comprendere il valore educativo che
risiedeva nel coinvolgimento corale durante i riti e che era ottenuto con la
predicazione, col canto e con le processioni. Esistevano poi forme di
appartenenza a gruppi di devozione, scelti in base al luogo, al lavoro,
all'età, al sesso o al grado di responsabilità sociale, che conferivano
solidità e un forte senso di appartenenza e partecipazione alla vita sociale.
La comunità cristiana interagiva quindi con la società, partecipava alla sua
evoluzione, ma si poneva anche in tensione con essa.
Gli edifici sacri con la loro funzione simbolica e
con l'apparato di segni e immagini devozionali vennero gradualmente adattati a
questi valori. Grazie all'influenza esercitata nel Cinquecento soprattutto
dalla Compagnia di Gesù, si impose
l'uso di chiese a grande aula, un modello che prevalse nettamente per le forme
degli edifici sacri costruiti nel Cuneese tra Sei e Settecento. Gli altari e le
cappelle in precedenza affidate a famiglie private con diritto di patronato
cominciarono peraltro a diminuire. Si cercò allora di favorire il passaggio
degli altari dal patronato delle famiglie a quello delle nuove compagnie
devozionali o a sodalizi di categorie di lavoratori con i relativi santi
patroni. Si affermarono le Compagnie del Santissimo Sacramento presso l'altare
maggiore, richiesta dai vescovi, poi si ebbe la Compagnia del Rosario e quella
del Suffragio, che presero posto nelle prime due cappelle vicine al
presbiterio. In qualche chiesa, agli inizi del Settecento, si affiancò l'altare
di San Giuseppe, patrono degli agonizzanti e poi anche dei falegnami. Nel corso
del Settecento si diffuse l'altare di San Magno per i contadini, nei centri
maggiori si ebbero l'altare dei fabbri e dei mulattieri, dedicato a
Sant'Eligio, quello dei tessitori dedicato Sant'Agata, o dei mugnai con San
Martino, dei calzolai con i santi Crispino e Crispiniano o dei sarti con San
Omobono.
La forma dell'altare in età barocca mutò
profondamente: da mensa per la celebrazione eucaristica, protetta nelle
basiliche più importanti da un tiburio, l'altare divenne gradualmente la
struttura per la conservazione e l'adorazione dell'Eucarestia. Al disopra si
pose il tabernacolo fisso, secondo le disposizioni del Concilio di Trento. Per
rispondere alle esigenze delle
celebrazioni delle Quarant'ore si allestì sul tabernacolo il tronetto per
l'esposizione eucaristica e lo si dotò di gradini su cui porre candelabri,
fiori ed anche reliquiari. Si trattò di strutture all'inizio mobili, ma ben
presto divennero in marmo o anche solo in muratura e stucco marmorizzato.
Talvolta si ricorreva a "macchine d'altare", vere e proprie scenografie
teatrali allestite per le Quarant'ore o per qualche festa particolare.
Il dipinto, che costituiva
in precedenza la pala o l'ancona di epoca gotica e rinascimentale, si saldò
all'altare con un'architettura scenografica complessa, che comprendeva
l'apparato di esposizione del Santissimo Sacramento. Intorno al 1670 a Cuneo si
ebbe l'affermazione più vistosa di questi altari con dossale architettonico,
con le cappelle laterali della chiesa di Santa Maria della Pieve, già dei Gesuiti,
su indicazioni presenti nelle opere di Andrea Pozzo. Sono solo quattro gli
altari maggiori con dossale architettonico, in cui si fondono tra loro il
tronetto, il baldacchino e il portale, fino al capolavoro progettato da Filippo
Juvarra per Santa Maria degli Angeli.
L'apparato decorativo
degli ambienti barocchi si caratterizzò per la fusione delle strutture
architettoniche, dei rilievi in stucco e dei riquadri dipinti, come nelle
cappelle laterali della chiesa dei Gesuiti a Cuneo e di quelle di Santa Maria
del Bosco, di San Francesco o ancora della cappella superiore di San Dalmazzo a
Borgo San Dalmazzo.
Le pareti del presbiterio
di molte parrocchiali esponevano tele secentesche o affreschi raffiguranti
l'Adorazione dei pastori e l'Ultima Cena, come richiamo alle due feste più
solenni dell'anno liturgico: Natale e Pasqua. Per quanto riguarda la figura di
Cristo, si privilegiano le vicende della sua passione, descritte in molte tele
di confraternite o rese popolari nelle Vie Crucis, diffuse ovunque a metà
Settecento. Abbondavano, infine, raffigurazioni dei "misteri" della Passione.
Molto rare sono invece le tele dei Trionfi della Croce e i riquadri affrescati
dei Profeti con le profezie della salvezza attraverso la Croce, presenti nella
confraternita di Santa Croce in Cuneo.
Nell'iconografia mariana,
dalla fine del Cinquecento prevalse la figura della Madre con Gesù Bambino in
braccio, come Vergine del Rosario, attorniata dai 15 misteri, o Madonna del
Carmelo, poi sostituite nel Settecento dalla Madonna sola, presentata come
l'Immacolata e in seguito anche come Assunta, rappresentate altresì in numerosi
esemplari di scultura lignea.
Nel Seicento si diffusero
i cicli dell'Apostolato, presenti quasi in ogni parrocchia, come strumenti
collegati all'insegnamento del Credo, o simbolo degli Apostoli. Una bellissima
serie di Profeti è visibile nelle piccole figure in legno scolpito del pulpito
di Limone, già appartenenti all'arredo del coro della Certosa di Pesio. Nel
Settecento prevarranno i gruppi statuari processionali del Cristo nella sua
passione.
Molto caratteristici erano
gli emblemi e le allegorie sia dipinti che rappresentati in figure plastiche,
diffuse specialmente nel Seicento. Tra le figure allegoriche meritano maggior
considerazione le 24 statue in stucco degli altari laterali e della facciata
della chiesa dei Gesuiti in Cuneo e le otto statue con allegorie delle
Beatitudini nell'Annunziata sempre a Cuneo. Più complessa è la decifrazione
della simbologia di trofei e candelabre, piutosto ricorrenti come nel coro
della chiesa già dei Gesuiti a Cuneo. Si tratta di forme tipiche di un
linguaggio raffinato, destinato a un pubblico di iniziati.
Per la provincia di Cuneo
può sembrare scontato che, percentualmente parlando, le emergenze artistiche di
età barocca siano più elevate rispetto a quelle romaniche (circa il 2%) o a
quelle gotiche (circa il 10-15%). In realtà, non è proprio così. A Cuneo, per
esempio, tra le chiese barocche più ragguardevoli che si sono conservate
integre si annoverano soltanto più quelle di Santa Maria, Sant'Ambrogio, San
Sebastiano e Santa Croce. Altre fabbriche religiose hanno subito trasformazioni
o distruzioni più o meno pesanti: l'edificio di San Giovanni Decollato fu
trasformato da tribunale in magazzino, poi da convitto civico a di nuovo
magazzino, fino al crollo rovinoso avvenuto nel 1984; Santa Chiara subì
modifiche e ridipinture, come l'Annunziata, che attraversò anche un periodo di
incuria; la chiesa di Santa Maria del Bosco, infine, venne risistemata nel XIX
secolo, dopo che divenne Cattedrale nel 1817.
Un certo interesse ha suscitato in questi uitimi anni
il recupero degli stucchi barocchi in città, un capitolo poco noto di quel
periodo e con alcuni esiti piuttosto interessanti, come in San Francesco, San
Giovanni, Santa Croce o Santa Chiara, che testimoniano il passaggio di cantieri
diversi succedutisi nel tempo e i mutamenti dei modi stilistici. A causa
dell'economicità della tecnica dello stucco, sostitutiva del marmo, è
comprensibile la sua diffusione anche in piccole cappelle di minore importanza.
Di fronte a questi casi di rinnovata attenzione critica, si può osservare che
non tutto sul Barocco cuneese a tutt'oggi è stato scoperto, studiato,
catalogato e riconsiderato alla luce delle condizioni visive originarie.
4.Pittori caravaggeschi tra Savigliano e Fossano: Molineri, Claret e
Boetto
La vicenda artistica del pittore saviglianese Giovanni Antonio Molineri si svolse
in parallelo con l'attività degli altri
pittori caravaggeschi piemontesi, ovvero Tanzio da Varallo, Niccolò Musso e
Giuseppe Vermiglio. Dopo il loro ritorno da Roma in Piemonte, che avvenne
intorno agli anni 1616-1620, tali artisti diventeranno i fautori della fortuna
del caravaggismo in Piemonte con caratteristiche proprie ben distinte. La
critica però non ha destinato a
Molineri la stessa attenzione mostrata per gli altri caravaggeschi piemontesi,
sebbene la sua pittura abbia esercitato una forte influenza stilistica sul
territorio piemontese. Molineri portò con sé da Roma il grido delle novità del
realismo caravaggesco, aggiornando il linguaggio figurativo locale in senso
naturalistico e imprimendo una svolta in provincia che si protrarrà per oltre
mezzo secolo, con l'attività del fossanese Giovenale Boetto e del fiammingo
Giovanni Claret, e che giunge a uno dei vertici più alti nel ciclo di affreschi
di Palazzo Taffini d'Acceglio a Savigliano. Alla Corte di Torino, Molineri
preferirà sempre il lavoro nella provincia, perché qui sapeva di poter contare
su un'accoglienza sicura da parte di committenti, letterati e artisti,
mediatori e garanti del successo del suo linguaggio naturalista. Le opere del
Molineri, in effetti, sono rimaste nella provincia cuneese (territorio
strettamente Sabaudo) e questo ha impedito a Molineri di essere conosciuto
tanto quanto gli altri caravaggeschi, dei quali invece è nota la produzione di
opere anche al di fuori del Piemonte. Altro punto che ha giocato a sfavore di
una piena comprensione dell'attività artistica del pittore, risede inoltre
nella scarsa conoscenza del suo itinerario biografico. Gli atti notarili,
conservati nell'Archivio di Stato di Cuneo, hanno permesso di ricostruire la
rete delle parentele (soprattutto quella con la famiglia dei pittori Dolce a
Savigliano) e il contesto in cui operò il pittore. I documenti lo ricordano
sicuramente a Roma nel 1609, un anno prima della drammatica scomparsa del
Caravaggio. Una procura romana del 1616 testimonia del rapporto inedito con
Bartolomeo Manfredi (uno dei primi seguaci di Caravaggio) e sempre nel 1616
Molineri ritornò in Piemonte per rimanervi fino alla morte accertata nel 1631.
Il rinvenimento di questa data, che in precedenza si pensava attestata intorno
al 1640-45, ha costretto la critica a riportare tutta la produzione artistica
del Molineri in quindici anni di attività e a togliere dal catalogo delle sue
opere l'importante ciclo di affreschi di Palazzo Taffini d'Acceglio in
Savigliano.
Tra le prove più rappresentative della maniera
naturalistica del pittore si possono citare la Madonna con Bambino con i
Santi Giuseppe e Carlo Borromeo, nella chiesa di Santa Maria della Pieve a
Savigliano, commissionata dal Municipio nel 1615, in atto di devozione fatto
per "ottenere la pace e salute dei serenissimi principi in tempo dell'assedio
della città di Asti", e restaurata nel 1659 da Costanzo Arbaudi, allievo di
Molineri, con gesti ed espressioni nel gruppo della Madonna di spiccato
realismo e toccante semplicità popolana; l'Orazione di Gesù nell'orto,
composta tra il 1618-19 per la cappella prospiciente della Santa Croce nella
medesima Pieve; il Martirio di san Paolo e il Martirio di san Pietro
sulle pareti laterali del presbiterio dell'abbazia di San Pietro a Savigliano,
firmati e datati 1621; la Crocefissione,firmata e datata,
commissionata dalla confraternita di San Sebastiano a Cuneo nel 1625 e posta
sull'altare maggiore della chiesa nel 1626, oltre agli affreschi con gli Evangelisti
per i pennacchi della cupola (1625-1628), in parte rifatti; e la tela con San
Marziano vescovo, datata intorno al 1630-1631, nella Parrocchiale di
Genola.
Le prime opere documentate del fiammingo Giovanni
Claret (Hertogenbosch 1599? - Savigliano 1679) si conservano nel presbiterio
della chiesa agostiniana di Santa Maria delle Grazie a Carignano e raffigurano
la Madonna con Bambino e i santi Rocco, Remigio e Giovanni Battista e l'Adorazione
dei Magi. Furono eseguite da Claret in collaborazione con Francesco Pistone
tra il 1632-1633, su commmissione della comunità di Carignano. Si tratta di
opere che rivelano vistosi punti di contatto con i dipinti di Molineri, sia sul
piano stilistico che su quello iconografico. Claret si appropriò dei forti
accenti chiaroscurali di Molineri, ma i suoi colori appaiono più lucidi,
smaltati, e le sue figure si stagliano nettamente dal fondo. Importanti
affreschi di Claret decorano la cappella del Rosario della Parrocchiale di
Mondovì Carassone (La Sconfitta degli Albigesi,1642-1645, in
rapporto, negli stessi anni, con la tela custodita nella sacrestia di
Sant'Andrea a Bra, raffigurante La battaglia di Lepanto, immagine
piuttosto cara a Pietro Paolo Operti, un pittore braidese del Settecento,
virtuoso e rispettabile autore di dipinti e affreschi religiosi e profani, tra
Bra, Cherasco, La Morra e Saluzzo), seguiti da opere firmate quali l'Ultima
Cena del 1644 nella sacrestia del Duomo di Fossano e l'Estasi di san Francesco del 1645 presso Santa Maria della Pieve a
Savigliano. Agli anni Cinquanta appartiene la vasta produzioni di dipinti
devozionali, così intrisi di sentimento naturalistico molineriano e apprezzati
dagli ordini religiosi, tra i quali si possono ricordare le pale per il
Santuario di Cussanio (Fossano), eseguite su commissione dei padri Agostiniani
di Cavallermaggiore e la Crocefissione della Confraternita della Santa
Croce di Marene.
Il fossanese Giovenale Boetto (1603/1604 - 1678),
architetto e ingegnere ducale dal 1631, fu un personaggio di spicco a Corte e
svolse un prezioso ruolo di intermediario tra Torino e la provincia,
mostrandosi particolarmente abile nella pratica dell'incisione. Nelle immagini dei
Santi Cassinesi, provenienti dal convento di San Pietro di Savigliano e
ora conservate alla Galleria Sabauda di Torino, si evidenziano i tratti
stilistici distintivi del sodalizio tra Boetto e Claret, caratterizzati dalla
nitidezza degli effetti luministici, dalla precisione delle ambientazioni e
dalla definizione essenziale di alcuni volti. Interessante è il fenomeno delle
pitture cosiddette "bamboccianti", elaborate a Roma in ambito caravaggesco e
giunte come novità nel territorio di Savigliano intorno al terzo decennio del
Seicento. Ne sono un'attestazione gli affreschi della chiesa del convento
domenicano di Savigliano (oggi non più esistente), scoperti negli anni Settanta
del Novecento, purtroppo in stato di degrado. Questo filone dei "bamboccianti"
risulta essere conosciuto anche dalle maestranze che operarono agli affreschi
di Palazzo Taffini con scene di battaglie a cui partecipò Vittorio Amedeo I,
per i quali è ipotizzabile la partecipazione di Claret con Boetto. Tra il 1655
e il 1662, sotto la regia di Boetto incisore e architetto e affiancato dagli
interventi degli stuccatori luganesi Rusca, Claret realizzò pitture murali
lungo la volta della navata della chiesa superiore
nella Certosa di Chiusa Pesio, in cui sono raffigurate scene evangeliche e
della vita di san Brunone, che ne rivelano la vena di vivace narratore,
sapientemente in bilico tra idealizzazioni classicheggianti e robusto
linguaggio realistico.
5.Andrea Pozzo in
provincia di Cuneo
Andrea Pozzo nasce a Trento nel 1642, ma la sua formazione
fu tutta milanese, legata alla Compagnia di Gesù, nella quale entrò nel 1665
come "fratello laico", presso il Collegio di San Fedele a Milano. Svolse il
Noviziato in Piemonte, probabilmente a Chieri, e la sua attività di pittore
prese le mosse proprio in terra piemontese. Padre Pozzo, pur unito all'Ordine,
si dimostrò un pittore autonomo. Nel 1675 giunse a Mondovi per un sopralluogo
nel cantiere della chiesa di San Francesco Saverio in piazza Maggiore.
L'edificio, fatto erigere dai Gesuiti su progetto di Boetto, venne innalzato a
partire dal 1665. I lavori di Pozzo inizieranno l'anno seguente e lo
impegneranno per sedici mesi, insieme ad altri tre collaboratori.
La decorazione ad affresco di Fratel Andrea Pozzo si
qualifica per il suo visionario e potente illusionismo e per la sua intima
connessione all'architettura, fino al punto di intervenire con correzioni e
modifiche sulla struttura, sulle decorazioni e sulle aperture di luce, per
migliorare in ogni in tutti i modi l'effetto prospettico perseguito. Vertigini
di architetture scorciate nella finta cupola all'incrocio dei bracci, che
inquadra la Gloria di san Francesco Saverio, profondità di spazi aperti
tra volumi archiettonici nel catino absidale, con la scena del battesimo degli
infedeli, e imponente invenzione di una macchina d'altare, in cui una semplice
tela con l'effigie del santo in estasi è incorniciata da un ciborio, che è un
raro modello di apparato per il teatro sacro, debordante di architettura
effimera. Esiste una leggenda tramandata da Filippo Baldinucci, secondo la
quale Boetto fu messo in cattiva luce e considerato colpevole di aver costruito
un edificio difettoso e meritevole di essere demolito, evitato soltanto grazie
all'intervento illusionistico di Pozzo. Da una sua lettera al rettore del
Collegio del 14 luglio 1676 risulta invece che Boetto apprezzava le pitture,
che le voleva vedere finite al più presto e salutava con entusiasmo il pittore
gesuita. L'impresa decorativa si concluderà nel 1678, anno in cui la chiesa di
San Francesco Saverio venne inaugurata dal Vescovo di Mondovi, Domenico
Trucchi.
Nel 1677, la duchessa Maria Giovanna Battista di
Savoia-Nemours inoltrò al superiore dei Gesuiti la richiesta di poter disporre
di Pozzo per la chiesa dei Santi Martiri di Torino. Superate le resistenze
dell'artista, i lavori iniziarono tra la fine del 1677 e l'inizio del 1678 e si
protrassero fino al 1680. Della decorazione, tuttavia, restano oggi soltanto
pochissime tracce in controfacciata. Padre Pozzo non era intenzionato a
lavorare per i Duchi e questa sua decisione divenne ancora più sorprendente
quando nel 1685 giunse a Cuneo, per l'altare maggiore della Collegiata di Santa
Maria del Bosco, la grande tela con la Madonna col Bambino, San Michele, San
Giovanni Battista e angeli, ottenuta dal Comune, nonostante gli impegni del
pittore e l'opposizione del padre generale dell'Ordine. L'opera, sfavillante di
luci e di colori timbrici, diventerà un esempio di tecnica coloristica Sebastiano Taricco.
Intorno al 1673, a Cuneo Pozzo aveva già inviato due
dipinti per la chiesa dei Gesuiti, intitolata al "Nome di Gesù", oggi
Parrocchia di Santa Maria della Pieve, ovvero la bella pala con San Giuseppe,
che, offrendogli un frutto, chiama per nome Gesù, presentatogli da Maria, e la
tela con San Francesco Borgia che accoglie Stanislao Kostka, ora presso
l'Ospedale di Santa Croce, ma verosimilmente collocato in origine nella
cappella della chiesa dei Gesuiti dedicata a San Stanislao Kostka. Per la
Cattedrale di Mondovi arrivò ancora L'Annunciazione, che riporta sul
retro le indicazioni importanti dell'anno (1692), della provenienza (Roma) e
del committente (il canonico Luigi Trombetta). In seguito, tra il 1693 e il
1703, Pozzo invierà a Torino altre tele, alcune autografe e altre attribuite
alla sua bottega, per la Congregazione dei Banchieri e dei Mercanti, ma nessuna
raggiunse più la provincia di Cuneo.
6.Sebastiano Tarico
L'inizio documentato dell'attività pittorica di
Sebastiano Taricco (Cherasco 1641 - Torino 1710) data al 1668, al tempo del suo
impegno, con Giacomo Duprà e Giuseppe Nuvolone, nella realizzazione degli
appartamenti progettati da Giovenale Botto per l'ingresso a Savigliano di
Madama Reale Maria Giovanna Battista. Si tratta di un esordio poco
appariscente, a cui però si affianca un dipinto che attesta la sua formazione
presso i cantieri di corte e a contatto con una cultura figurativa aggiornata,
al tempo in cui la Grande Provincia non offriva modelli importanti di
riferimento, ovvero della tela con la Madonna col Bambino e i santi Dalmazzo
e Biagio, realizzata per la cappella superiore della Parrocchiale di Borgo
San Dalmazzo, forse già nel 1669, anno in cui si svolse una visita pastorale
che descrive l'opera. Seguono principalmente le tele per l'altare della Trinità
di Fossano, che rivelano un linguaggio più impostato e controllato, anche nella
resa cromatica, e gli interventi ad affresco nel Salone di palazzo Gotti di
Salerano a Cherasco, databili agli inizi degli anni Ottanta, che dimostrano
l'avvenuto incontro rinvigorente con la pittura di Pozzo, tra il 1676 e il
1678, durante i lavori agli affreschi della chiesa di San Francesco Saverio di
Mondovì. Nel primo decennio del Settecento, Taricco è documentato ancora a
Borgo San Dalmazzo, Chiusa Pesio e Cuneo.
Presenza fisica forte nel tracciato regolare della
città, la chiesa della Madonna del Popolo a Cherasco, situata ai bordi
dell'abitato e dalla mole frontale proiettata nel cielo con articolazione di
membrature dagli effetti scenografici singolari, è attribuita tradizionalmente
a Taricco e sembra riflettere il mondo della pittura e della quadratura più che
quello degli architetti. La chiesa, dall'ampia aula centrale ottagonale, venne
costruita tra il 1693 e il 1702 per gli Agostiniani, seguendo gli schemi
architettonici tipici della tradizione locale, dalle finestre serliane
all'ampio tamburo, diffusi da Boetto, che proprio a Cherasco costruì la chiesa
per la confraternita di Sant'Agostino (1672-1675), affrescata dallo stesso
Taricco nel 1676. L'interno è rivestito
da un trionfo di decorazione a stucco, che il luganese Domenico Beltramelli
portò a termine negli 1703-1709 e che segnò una tappa fondamentale della sua
intensissima attività di stuccatore, operoso in molti cantieri del cuneese,
compresa la chiesa di Santa Croce a Cuneo.
7.Santa Croce a Cuneo
La chiesa della Confraternita di Santa Croce a Cuneo,
appartenente al complesso dell'ospedale omonimo, è un edificio che ha risalto
per la notevole monumentalità della facciata e del fianco. Venne progettato dal
primo ingegnere civile e militare del duca Antonio Bertola nel 1708, coadiuvato
dal fratello Giovan Giulio Bertola e dal giovane Francesco Gallo, che affrontò
qui le sue prime esperienze pratiche come architetto.
Sia in pianta che in alzato, la chiesa si impone per
la nitidezza con cui si identificano le parti che ne compongono l'architettura:
il vano ovoidale dell'aula, quello trasversale ellittico del coro, l'innesto
del campanile, la facciata, autonoma e rientrata.
La
facciata concava è a doppio ordine, chiusa in alto dal frontone ricurvo. Il
grande vano interno della navata focalizza le tensioni verso l'alto,
comunicando una sensazione di unità dello spazio, grazie allo scarso rilievo
delle lesene e dei rispettivi risalti sulla trabeazione, che non interrompe il
senso di continuità della parete. Su tutte le superfici disponibili
dell'interno, Domenico Beltramelli lavorò, diretto da Gallo (ma solo per la
volta), tra il 1713 e il 1715, realizzando un'elegante decorazione a stucco
bianco, che dona lucentezza alla chiesa, destinata non solo ad accogliere
fedeli in preghiera, ma anche ad essere un luogo per incontri. Le pitture
parietali spettano al luganese Francesco Gaggini, affiancato dal quadraturista
Pietro Antonio Pozzo. Le due finte tribune dipinte del coro, con papa e cardinale
affacciati dalla balconata, sono attribuite al pittore astigiano Giovanni Carlo
Aliberti.
Percorsi devozionali in provincia di Cuneo
Il territorio cuneese ha conosciuto una tipologia
progettuale di Sacri Monti indipendente dal modello originario di Varallo
Sesia, fondato tra il 1486 e il 1491 dal Padre francescano Bernardino Caimi con
l'intento di ricreare su uno sperone roccioso una "Nuova Gerusalemme" o una
"Terra Santa in miniatura", nucleo originario di quel grande complesso
scenografico che tra Cinque e Seicento sarebbe diventato, come ha scritto
Rudolph Wittkower, "una delle più straordinarie imprese della storia della fede
cattolica". L'invenzione spettacolare di un insieme di corpi architettonici
distribuiti in spazi paesaggistici suggestivi, sorti per evocare
realisticamente i fatti della vita, della passione e della morte di Gesù, si
trasformò, a partire dal XVI secolo, in progetti assai meno ambiziosi di vie
sacre processionali, incentrate piuttosto sulla vita di Maria o di altre figure
di santi e destinate ad una devozione itinerante più formale e interiorizzata.
Lo schema-guida dell'itinerario di culto incentrato sulla corona dei misteri
mariani è rappresentato dal Sacro Monte di Varese (1604). A questo luogo si
ispirò monsignor Ghilardi, vescovo di Mondovì, per il suo grandioso progetto di
una via del Rosario che unisse Mondovì Piazza al santuario di Vicoforte,
segnalato in una Lettera pastorale del 1869. Dal XVIII secolo, nelle
zone rurali del Cuneese si diffusero numerosi percorsi devozionali indirizzati
ai santuari, costituiti da piccoli oratori, edicole e piloni dedicati ai
misteri del Rosario o alle stazioni della Via Crucis. Un esempio notevole è
quello della via del Rosario dal cimitero di Dogliani al vicino santuario della
Madonna delle Grazie, lungo la quale si snodano quattordici
piloni dedicati ai Misteri del Rosario (1872),
opere in stile neogotico dell'architetto eclettico doglianese Giovanni Battista
Schellino. In particolare, la Via del Rosario che unisce Mondovì Piazza con il
santuario di Vicoforte, se pure in rapporto con la tipologia dei Sacri Monti,
si caratterizza più propriamente comepercorso devozionale. La prima fase della
costruzione delle cappelle risale alla fine del XVII secolo, ma solo nella
seconda metà dell'Ottocento vennero edificate le cinque cappelle esistenti
(l'ultimo dei tre piloni elevati lungo il percorso fu tuttavia terminato solo
nel 1911). Protagonista di questa seconda fase fu Schellino, a cui il vescovo
di Mondovì si rivolse per i progetti, purtroppo non realizzati, ma di cui restano alcune belle tavole ad acquerello e
le lettere inviate al vescovo, che documentano le idee dell'artista in merito
al percorso. Consideriamo ora due santuari esemplari: quello della
Natività di Maria Santissima a
Vicoforte Mondovì e quello della Madonna del
Pilone a Moreta di Saluzzo.
1.Il santuario della
Natività di Maria Santissima a Vicoforte Mondovì
Devozione e arte s'incontrano in un connubio felice
al cospetto del santuario della Madonna di Vicoforte, il più importante centro
di culto mariano presente in provincia di Cuneo. Frutto di una committenza
diretta della corte sabauda, a cominciare dal Duca Carlo Emanuele I, la grande
fabbrica sacra impegnò la creatività dei maggiori artefici del Barocco
piemontese. Stando alle fonti più antiche, l'origine del pilone decorato con
l'immagine votiva della Madonna col Bambino risale al terzo quarto del
Quattrocento e l'affresco mariano è attribuito a Segurano Cigna, un pittore
attivo in area monregalese nella seconda metà del XV secolo. La fede popolare
sorta intorno ai poteri taumaturgici dell'immagine sacra, violata nel 1592
dallo sparo di un fucile da caccia, accrebbe da subito considerevolmente,
costringendo già due anni dopo il vescovo Castrucci ad acconsentire al restauro
della piccola cappella. I devoti sempre più numerosi venivano assistiti da una
comunità di padri Gesuiti e di Cistercensi riformati, chiamati a stanziarsi a
Vicoforte per rispondere alle loro necessità. Tra i pellegrini, che si
affidavano all'intercessione di Maria, portando doni di ogni genere, secondo le
proprie possibilità, molti erano i malati e gli invalidi e numerosi gli
esponenti di confraternite e compagnie, che svolgevano di fronte al pilone le
loro pratiche, come le pubbliche flagellazioni.
L'anno di nascita del santuario coincise con il 1595,
quando la folla accorsa risultò enorme e la fama proveniente dal luogo attirò
anche l'attenzione di personalità sempre più importanti, fino a coinvolgere
direttamente lo stesso Duca Carlo Emanuele I, che raggiunse Vico due volte nel
1596, in veste di umile pellegrino. La fama del luogo lo convinse a farsi
promotore della costruzione a Vicoforte di un vero e proprio santuario, che
avrebbe accolto al suo interno il mausoleo dei membri di casa Savoia. L'impegno
ducale coinvolse le figure più importanti di architetti ed ingegneri
contemporanei attivi per la Corte, che inviarono progetti da ogni parte
d'Italia, come Ercole Negro di Sanfront, Giovan Battista Clarici e Ascanio
Vitozzi, al quale spettò da ultimo di realizzare l'edificio. Le idee del
Vitozzi, che prevedevano un impianto classico basilicale a tre navate e
transetto integrato con la rivoluzionaria soluzione ellittica della pianta, non
trovarono completa accoglienza e subirono modificazioni imposte dall'ambiente
monregalese, dal vescovo Castrucci e dal duca stesso, che rifiutarono la scelta
di forme inventive e libere, favorendo quelle più chiare e convenzionali.
Il cantiere della "gran fabbrica" di Vicoforte
conobbe un flusso continuo di validi architetti, pittori, scultori e maestranze
artigiane, che arricchirono l'ambiente interno di cappelle, altari, tombe e
dipinti di grande livello qualitativo, anche se la corte sabauda, tra la fine
del Seicento e l'inizio del secolo successivo, mutò i propri interessi nei confronti
del santuario, scegliendo con Vittorio Amedeo II di spostare a Superga il
pantheon dei membri della casata. Non venne però mai meno la devozione
popolare, con il seguito ininterrotto ancora ai nostri giorni di pellegrinaggi,
voti e doni alla Madonna di Vico. Tra gli interventi più significativi presenti
all'interno del santuario, si deve ricordare senz'altro la cappella di san
Bernardo, che costituisce il modello di ideazione vitozziana delle cappelle
funerarie volute da Carlo Emanuele I, la cui tomba, ornata con le figure
allegoriche di Minerva e della Sapienza, è conservata al suo interno. I lavori
della decorazione marmorea, con intonazioni variate di bianchi e neri, in
funzione funeraria, furono realizzati dai luganesi Domenico Rusca, Antonio Scala
e Giacomo Vanillo a partire dal 1603, mentre la tomba ducale, scolpita da
Ignazio e Filippo Collino in uno stile già neoclassico, venne inaugurata nel
1792. ll sacello è ornato con una tela realizzata da Sebastiano Taricco verso
il 1688, raffigurante San Bernardo in meditazione sulla maternità di Maria,
un soggetto che illustra il tema iconografico della Lactatio Virginis, e
la volta è affrescata con la Gloria del Santo, opera compiuta dai
comaschi Giovanni Paolo e Raffaele Recchi nel 1680.
L'antistante cappella di san Benedetto rappresenta
una delle migliori realizzazioni artistiche del santuario. L'intervento
decorativo, affidato alla direzione di Sebastiano Taricco e completato nella
seconda metà del Seicento, comprende la volta affrescata tra il 1683 e il 1686
su committenza dell'abate Marcantonio Carretto, con un volo di Angeli e
putti che portano in cielo la croce di Cristo e il lenzuolo della Sindone
(un'iconografia che esalta la massima reliquia sabauda e quindi in rapporto
diretto con Casa Savoia), insieme ai peducci con i profeti Isaia, Davide,
Geremia e Osea. La composizione prospettica termina con
un'inquadratura ottagonale di una porzione di cielo aperto, ricollegandosi alle
scene dipinte da Andrea Pozzo tra il 1675 e il 1679 nella chiesa della Missione
a Mondovì Piazza. L'impresa del pittore di Cherasco è considerata dalla critica
come uno degli esiti migliori della sua carriera e si completa
iconograficamente con le due tele dipinte da Taricco nel 1687 e raffiguranti
l'una la Deposizione di Cristo dalla croce e l'altra la Deposizione
di Cristo nel sepolcro. La cappella ospita il monumento dedicato a
Margherita di Savoia, figlia del Duca Carlo Emanuele I, la cui bella effigie
marmorea è opera dello scultore genovese Giuseppe Gagini (1709).
Agli inizi del Settecento, entrò in scena la figura
preminente di Francesco Gallo, autore della vastissima cupola (1728-1733),
quell'ardita costruzione "ovata", ovvero in forma ellittica, di più di 6000
metri quadrati, che ha reso famoso il santuario in tutto il mondo. L'enorme
estensione dell'intradosso della cupola causò notevoli difficoltà ai frescanti
figuristi e quadraturisti, che si alternarono nella tormentata vicenda della
sua decorazione pittorica. Dopo Pietro Paolo Pozzo, Giuseppe Galli Bibiena, Sebastiano
Galeotti e Alessandro Ferretti, nel 1745 arrivò finalmente un pittore veneto,
Mattia Bortoloni, che, assisitito dal quadraturista lombardo Felice Biella,
affrescò con scene mariane l'ampia superficie a disposizione tra il 1746 e il
1748, dipingendo prima la calotta con il cupolino, quindi il tamburo e poi le
rimanenti figure, con un risultato stilistico di acuta sensibilità per il
colore e di meravigliosa felicità inventiva. Nel medesimo periodo gli scultori
Andrea Boucheron e Francesco Ladatte erano impegnati nella lavorazione a sbalzo
e cesello della fastosa custodia in bronzo e argento parzialmente dorati, che
avvolge l'affresco votivo e la struttura del pilone, progettata dal Gallo,
insieme al baldacchino marmoreo sovrastante, punto focale dell'intero
complesso, e alle sei sculture (quattro Angeli e due figure allegoriche,
rappresentanti la Speranza e la Carità) in marmo bianco di Carrara, eseguite da
Bartolomeo Solaro.
2.Il santuario della Madonna del Pilone a
Moretta di Saluzzo
Il
santuario della Madonna del Pilone a Moretta di Saluzzo è indicato nella
Descrizione
di santuari del Piemonte più distinti per l'antichità della loro venerazione e
per la sontuosità dei loro edifici, scritto da Modesto Paroletti per Re
Carlo Felice nel 1822. La chiesa, iniziata nel 1684, è una delle rare opere
autografe progettate dall'architetto Francesco Baroncelli, collaboratore di
Amedeo di Castellamonte e di Guarino Guarini, dai quali assimila soluzioni e
stilemi formali specifici, come la colonna binata in facciata e lungo i fianchi
e il timpano ricurvo e spezzato sopra la finestra serliana. Francesco Gallo
disegnò il campanile e gli edifici attigui (1728-1742), che si integrano
armoniosamente con il progetto del Baroncelli. All'interno è inglobato un
antico pilone che recava I'immagine della
Madonna col Bambino in braccio,
sul modello della Madonna di Oropa invocata per la protezione della campagna e
degli animali. Il 23 luglio 1684 il pilone improvvisamente si mise a oscillare
per tre giorni consecutivi, richiamando devoti e pellegrini dai dintorni e
motivando così l'elevazione della chiesa e il conseguente processo
ecclesiastico per studiare la natura del fenomeno. A testimonianza di questi
fatti, nel presbiterio sono conservati due bassorilievi in stucco di pregevole
fattura, scolpiti nel 1783 da Giovanbattista Bernero, che raffigurano a destra
Emanuele
Filiberto di Savoia Carignano con l'architetto Baroncelli e l'arcivescovo
Beggiamo e a sinistra
Maria Beltramo che ringrazia per la guarigione
delle dodici mucche, documento visivo del miracolo avvenuto pochi giorni
prima del fatto che il pilone iniziasse a muoversi. I lavori dello scultore
neoclassico, interprete raffinato per la corte e per l'aristocrazia piemontese
del gusto neoellenistico più squisito, si intonano con il disegno delI'altare
maggiore che racchiude il pilone, opera dell'architetto Giovanni Battista Borra
(1768). Allievo del Vittone e autore della facciata e del salone di Diana nel
castello di Racconigi, Borra innestò il proprio neoclassicismo di ispirazione
anglosassone nella tradizione barocca delle macchine d'altare intarsiate di
marmi policromi, vivacizzati dai decori scultorei in legno laccato di bianco di
Ignazio Perucca.
Alla fine del Settecento nel santuario furono
presenti i più raffinati artisti ed artigiani della corte torinese, chiamati
dal mecenate conte Solaro della Moretta e diretti dall'architetto Francesco
Valeriano Dellala di Beinasco (1775), autore del disegno del pavimento, della
tribuna, della cassa dell'organo, della bussola e del rifacimento del pulpito
del 1695, con intagli dello scultore Giuseppe Pellengo, in stile Luigi XVI.
L'Ottocento rappresentò il periodo migliore per la
storia della produzione artistica del santuario. Personaggi di primo piano come
il conte Faraone Solaro di Moretta e il teologo Sebastiano Morello, prevosto
del santuario, permisero che si potesse completare la decorazione pittorica e
scultorea e si costruisse il coro sotto la direzione dell'architetto Giuseppe
Leoni. L'architetto Ferdinando Caronesi, che progettò nel 1834 la sistemazione
della facciata della chiesa di San Carlo a Torino, fornì il disegno delle
cappelle laterali intitolate a san Francesco di Sales e a sant' Anna (1840),
dotandole di altari di equilibrate linee neoclassiche, e commissionò al pittore
saviglianese Pietro Ayres le due pale d'altare con L'educazione della
Vergine e San Francesco di Sales (1840-1843), che costituiscono gli
esempi migliori della pittura sacra ottocentesca.
Ayres realizzò anche il dipinto murale nella volta
del presbiterio raffigurante La Vergine Assunta (1847) e i due tondi
laterali con L'Annunciazione. La decorazione fu completata con gli otto
bassorilievi in stucco scolpiti dal professore dell'Accademia Albertina
Silvestro Simonetta (1854-1865), che illustrano gli episodi della vita della
Madonna.
Enrico Perotto
Borgo San Dalmazzo, 29 Maggio 2005
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