IL GRANDE LIBRO: COME PROPORNE LA LETTURA AI GIOVANI?

Rosa Castellaro, UCIIM


Il progetto che l'UCIIM intende sviluppare nei prossimi anni, in collaborazione con un gruppo – campione di Scuole Secondarie di Secondo grado del Piemonte, è motivato dalla considerazione che la conoscenza critica della Bibbia costituisce uno degli elementi fondanti della cultura occidentale, e come tale non sopprimibile nella formazione di giovani capaci di comprendere il mondo di ieri e quello di oggi.

Figure e temi biblici, inoltre, sono comuni non solo alla tradizione israelitica e a quella cristiana, ma anche a quella islamica: perché privare dunque i nostri studenti della loro conoscenza?

Ricordiamo che il critico canadese Northrop Frye ha affermato che la Bibbia costituisce il "Grande Codice" del pensiero occidentale, non solo nel versante artistico – letterario, ma anche in quello dei rapporti tra gli uomini nella società e dei popoli tra loro.

Nel successivo saggio Mito, metafora, simbolo, del 1989, Frye vede nel "mito" il fondamento archetipico della letteratura e rintraccia i temi e i miti centrali della letteratura occidentale proprio nella Bibbia e nei poemi omerici.

Le storie narrate nei 46 libri dell'Antico Testamento si ritrovano infatti nei capolavori letterari delle più diverse culture ed espressioni artistiche (pensiamo alle figure di Ester, di Giuditta, di Saul), e può costituire una proposta di lavoro molto accattivante quella di individuare i sentieri che si incrociano all'interno delle diverse letterature nella rappresentazione di queste figure.

Se vogliamo però evitare il rischio dell'erudizione, possiamo far leva non tanto sulla continuità tematica tra il discorso biblico e quello delle letterature moderne, quanto piuttosto sulla contiguità di pensiero, rilevando nel Grande Libro la presenza di riflessioni sul destino dell'uomo che si ritrovano in pensatori e moralisti di ogni epoca, e anche di quelle più vicine a noi.

In molti passi della Bibbia, per esempio, è possibili individuare echi che rimandano al pessimismo esistenziale moderno e soprattutto alla sfiducia nella capacità comunicativa della parola, tipica di tanti scrittori e poeti del secolo scorso, da Pirandello a Kafka, a Montale, per limitarci agli autori che i nostri giovani con maggiore probabilità conoscono.

Letta con queste "lenti"la Bibbia può permettere allora ai giovani non solo di riconoscere la continuità tra passato e presente nella produzione letteraria e artistica, ma anche di comprendere di essere partecipi delle stesse pene che le generazioni più lontane hanno affrontato e superato.

Proprio per dare evidenza a questo possibile percorso, potremmo partire da alcuni versetti tratti dal libro di Qohelet:

Qohelet, 1, 4 - 11

4. Una generazione passa via,
una generazione entra
su una terra eternamente ferma

5. Sorge il sole; tramonta il sole affannandosi
verso quel luogo da cui rispunterà.

6. Soffia il vento dal sud, gira a settentrione,
passa girando e rigirando il vento
e sui suoi giri ritorna il vento.

7. Tutti i fiumi scorrono verso il mare
eppure mai il mare si colma;
alla foce scorrono i fiumi
e di là essi riprendono a scorrere.

8. Tutte le parole sono logore
e l'uomo non può più usarle.
Mai l'occhio è sazio di vedere,
mai l'orecchio è sazio di sentire.

9. Quel che è stato sarà,
quel che si è fatto si rifarà:
assolutamente niente di nuovo sotto il sole!

10. Di certe cose si dice:
"Guarda, ecco una novità!".
Ed invece sono già accadute
nei secoli che sono alle nostre spalle.

11. Non c'è memoria degli antichi
ma neppure dei posteri:
di loro non ci sarà memoria
presso i posteri.

traduzione. Gianfranco Ravasi
in Qohelet, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1988

La voce di Qohelet che arriva a noi dalla seconda metà del III sec. a. C. si confonde davvero con quella di tanti poeti del nostro tempo che gridano la disperazione dell'uomo in cerca di risposte che sembrano non poter più arrivare, come si rileva dai tre esempi di poeti italiani che seguono:
Potremmo cominciare con questo frammento di Giuseppe Ungaretti:

L'uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni,
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti.
Attaccato alla sua tela di ragno,
non teme e non seduce
se non il proprio grido.
La pietà

L'eco della voce di Qohelet è ben riconoscibile in questi versi di Eugenio Montale:

I grandi fiumi sono l'immagine del tempo,
crudele e impersonale. Osservati da un ponte
dichiarano la loro nullità inesorabile.
Solo l'ansa esitante di qualche paludoso
giuncheto, qualche specchio
che riluca tra folte sterpaglie e borracina
può svelare che l'acqua come noi pensa se stessa
prima di farsi vortice e rapina.
L'Arno a Rovezzano, in Satura

La riflessione sulla vanità del tempo e del nostro stesso esistere si coglie chiaramente in questi versi di Camillo Sbarbaro:

Talor, mentre cammino per le strade
della città tumultuosa solo,
mi dimentico il mio destino d'essere
uomo tra gli altri, e, come smemorato,
anzi tratto fuor di me stesso, guardo
la gente con aperti estranei occhi.

M'occupa allora un puerile, un vago
senso di sofferenza e d'ansietà
come per mano che m'opprima il cuore.
Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
occhi di bimbi, facce consuete
di nati a faticare e a riprodursi,
facce volpine stupide beate,
facce ambigue di preti, pitturate
facce di meretrici, entro il cervello
mi s'imprimono dolorosamente.
E conosco l'inganno pel quale vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l'inutilità della loro vita
amara e il lor destino ultimo, il buio.

Ché ciascuno di loro porta seco
la condanna d'esistere: ma vanno
dimentichi di ciò e di tutto, ognuno
occupato dall'attimo che passa,
distratto dal suo vizio prediletto.

Provo un disagio simile a chi veda
inseguire farfalle lungo l'orlo
d'un precipizio, od una compagnia
di strani condannati sorridenti.
E se poco ciò dura, io veramente
in quell'attimo dentro m'impauro
a vedere che gli uomini son tanti.
da Pianissimo

Il "buio", come destino ultimo dell'uomo, apre infine questa poesia di Thomas Stearns Eliot:

O buio, buio, buio. Tutti vanno nel buio,
nei vuoti spazi interstellari, il vuoto va nel vuoto,
i capitani, gli uomini d'affari, gli eminenti letterati,
i generosi patroni dell'arte, gli uomini di stato e i governanti,
i capitani d'industria e i piccoli imprenditori,
tutti vanno nel buio,
e bui il Sole e la Luna...
e freddo il senso e perduto il motivo dell'azione
e tutti noi andiamo con loro, nel funerale silenzioso...
E quello che non sapete è la sola cosa che sapete
e quello che avete è ciò che non avete
e dove siete è là dove non siete.
da Quattro quartetti, Milano, Garzanti, 1972

Si deve anche tenere presente che tra gli obiettivi specifici di apprendimento per l'Italiano della nuova scuola secondaria di secondo grado, è indicata la conoscenza delle basi delle tradizioni letterarie europee, da acquisire anche attraverso lo studio delle letterature del Vicino Oriente e della Bibbia.

La collocazione della Bibbia tre le grandi opere che gli studenti devono leggere per formarsi una cultura letteraria è senz'altro lodevole, anche perché confuta la convinzione, presente in molti insegnanti, dell'inopportunità di far leggere quel Libro a scuola, in quanto ritenuto espressione di uno specifico pensiero religioso, mentre la scuola dovrebbe guidare i giovani a libere scelte, specialmente in un settore così delicato. Si deve tuttavia osservare che questo atteggiamento ha ottenuto come risultato proprio la compromissione della libertà di scelta da parte dei giovani, in quanto li ha lasciati nell'ignoranza di uno dei più importanti strumenti interpretativi della nostra cultura. Questo risultato appare deprecabile soprattutto oggi, quando è più che mai viva l'esigenza di trovare nelle proprie radici culturali gli strumenti adatti a dialogare con le altre culture che si affacciano al nostro mondo, in un processo ininterrotto di arricchimento reciproco. Figure e temi biblici, come sappiamo, sono comuni alla tradizione israelitica, a quella cristiana, a quella islamica: perché privare dunque i nostri giovani della loro conoscenza approfondita, che vada al di là dei vaghi ricordi del catechismo appreso nell'infanzia?

Dalla conoscenza, e non dall'ignoranza nutrita di pregiudizi, verrà ai giovani la possibilità di fare della Bibbia uno strumento per aprirsi alla trascendenza o per giungere alla comprensione critica della realtà del passato o degli stessi nostri giorni.

I nostri giovani mostrano una ferma volontà di conoscere il mondo, e anche per questo viaggiano moltissimo; attraversano centri storici millenari, vedono statue e cattedrali, ma quale può essere la loro effettiva comprensione di questi documenti dell'ingegno umano se non sanno nulla dello spirito che li ha animati?

E' molto interessante, a questo proposito, fare riferimento all'esperienza citata dalla scrittrice francese Anne - Marie Pellettier nel suo libro La bibbia e l'Occidente (EDB, Bologna): una studentessa liceale, in visita d'istruzione a un museo nel quale erano esposte numerose Madonne col Bambino, aveva chiesto stupita alla sua insegnante perché mai in quel museo si trovassero raffigurate tante baby-sitter.

Tocca ora agli insegnanti cogliere l'occasione della riforma per introdurre i giovani alla lettura della Bibbia, cercando il modo di coinvolgerli e di mostrare loro tutta la ricchezza del Grande Libro.

La vastità e la difficoltà di lettura dell'Antico Testamento ne sconsigliano una lettura "ingenua", cioè affidata unicamente alle capacità di comprensione degli studenti di 15-16 anni; il rischio che si presenterebbe è che ben presto gli studenti si stancherebbero di una lettura che richiede troppa pazienza e continui rimandi a note esplicative.

Appare opportuno, piuttosto, un approccio selettivo, attraverso una scelta di episodi e di passi che permettano un primo inserimento nel mondo biblico. Questo modalità di lettura aiuta anche ad evitare il pericolo di cadere nell'erudizione; in questa fase di studio il discorso sulla struttura e sulla storia interpretativa della Bibbia può essere appena accennato, a favore di temi che stimolino la curiosità e la partecipazione emotiva ed intellettuale dei ragazzi.

Se il problema delle scelte didattiche coinvolge tutti gli insegnanti, quelli tra essi che partono da una visione cristiana della vita se ne trovano di fronte altri: è consigliabile ed esauriente considerare la Bibbia semplicemente un classico, da collocare in libreria accanto ai poemi di Gilgamesh, all'Iliade, all'Odissea? Quali opportunità di ordine spirituale e religioso è possibile cogliere da questo primo approccio con il Grande Libro? Quali accostamenti operare tra Antico e Nuovo Testamento?

Per tentare di dare una risposta, necessariamente approssimativa, a questi insegnanti, si propone qui, tra i moltissimi possibili (le grandi figure bibliche: Mosè, Giuseppe, Esther...; il tema della sapienza e della ricerca della verità; il tema del dolore e dell'obbedienza a Dio; il "sistema religioso" del popolo israelitico....), un percorso che parte dalla Bibbia, si collega ad altre dimensioni della cultura e dell'agire umano, e si conclude con la Bibbia. Al centro del percorso è il tema della convivenza tra i popoli alla luce dell'insegnamento biblico.

La storia del popolo d'Israele è, come sappiamo, segnata più dalla guerra che dalla pace, più dall'oppressione che dalla libertà, ed è quindi ovvio che nella Bibbia siano numerosi i riferimenti alle lotte che questo popolo ha dovuto sostenere per difendere il suo stesso diritto ad esistere.

Nella presentazione del percorso agli studenti, potremmo partire quindi da una sintetica presentazione della storia di Israele, quale è proposta dalla Bibbia, fermandoci a leggere gli episodi più densi di significato: l'esodo, o uscita dall'Egitto, la conquista della terra di Canaan, la deportazione a Babilonia, la conquista di Gerusalemme da parte di Antioco IV Epifane, ecc.

Alla luce di questi eventi, ci si potrà fermare ad analizzare con attenzione lo splendido Salmo 17, il canto di trionfo di Davide (ne citiamo alcuni versetti: "29. Tu, O Signore, sei luce alla mia lampada; / il mio Dio rischiara le mie tenebre. 30. Con te mi lancerò contro le schiere, / con il mio Dio scavalcherò le mura. 31 La via di Dio è diritta, / la parola del Signore è provata al fuoco; /egli è scudo per chi vi si rifugia.... 38. Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, / non sono tornato senza averli annientati. 39. Li ho colpiti e non si sono rialzati, / sono caduti sotto i miei piedi". (La Sacra Bibbia, Edizione ufficiale della CEI)

Questa lettura si presta a considerazioni centrali nel rapporto uomo – Dio, ma induce anche a domandarci se la fede può accettare la logica della guerra, se è davvero impossibile pregare per ottenere non la vittoria, ma la pace. L'"altro" che si scontra con noi, è solo e sempre il "nemico" da abbattere?

Questa domanda aprirà ovviamente un dibattito sull'influenza della religione nella storia dell'umanità. e ad esso dovremo dare una risposta serena, ma non imprudentemente ottimistica, dolorosa ma non disperata.

Per allargare il discorso a una dimensione più ampia rispetto a quella della realtà contingente, potremmo portarci in ambito letterario, e prendere in considerazione alcune opere che si collocano alle origini della cultura occidentale, quali la Chanson de Roland o il Cantar de mio Cid, per arrivare ai grandi capolavori della letteratura italiana, come la Gerusalemme Liberata di T. Tasso.

Il tema centrale di queste opere è appunto la guerra contro chi è ritenuto infedele, e minaccia le nostre terre o la nostra fede. Lo spirito eroico e la forza poetica che le animano non possono tuttavia far dimenticare la realtà tragica che è alla loro base storica.

Ma tutta la letteratura è grondante del sangue di innumerevoli battaglie; non è certo difficile per i docenti scegliere pagine lontane o vicine rispetto al nostro tempo che parlino di guerre, di battaglie, di duelli. Se volessimo poi focalizzare il nostro sguardo sul sec. XX, potremmo far leggere ai nostri ragazzi due opere esemplari: Nulla di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque e Se questo è un uomo, di Primo Levi.

Dalla trasfigurazione letteraria dei fatti storici si potrà poi riportare i giovani all'analisi degli eventi dei nostri giorni, analizzando alcuni dei conflitti che tormentano oggi la nostra umanità, e che cercano una loro giustificazione in motivazioni religiose.

La fede in Dio, da sola, non può dunque salvare gli uomini dall'annientamento reciproco?

Questo doloroso interrogativo potrà introdurre l'ultima parte del percorso, che vede la sua conclusione non nello sconforto, ma nella Parola chiarificatrice di Gesù: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore" Giov. 14,27.

Dunque quella pace che sulla scena del mondo appare un'impossibile meta, è disponibile invece nella coscienza di chi agisce con giustizia e cerca la verità, rigettando la prevaricazione e l'odio.

Se l'Antico Testamento racconta la storia di un popolo in cammino verso la pace, il Nuovo Testamento dà l'annuncio di questa pace, ma richiede la nostra partecipazione per realizzarla concretamente nel mondo.

Il rifiuto della violenza come mezzo per la risoluzione dei conflitti è d'altra parte indicato esplicitamente da Gesù al momento della sua Passione: "Pensi forse che io non possa pregare il padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture secondo le quali così deve avvenire? (Mt. 26, 53,54).

E' bene chiarire che la lettura della Bibbia non può essere utilizzata per spingere i giovani a troppo facili illusioni; dobbiamo piuttosto sviluppare in loro la consapevolezza che nel mondo è certo presente il male, ma è anche avvenuto il suo riscatto, ad opera di Cristo.

Nonostante queste proposte didattiche, l'UCIIM non presume certo di possedere una risposta adeguata per un problema tanto grande, qual è quello della lettura della Bibbia nella Scuola Secondaria, e proprio per questo ritiene indispensabile la collaborazione dei docenti che partecipano al progetto.