PRESENTAZIONE DEL PERCORSO
IL VIAGGIO: DALLA TERRA PROMESSA AL
MONDO
Dovendo muovermi in un ambito così complesso e così
ricco, ho pensato di proporre alcuni "assaggi" di storie
bibliche che dovrebbero essere ben conosciute perché fanno
parte del nostro immaginario e della nostra cultura e che invece,
spesso, i nostri studenti ignorano completamente: ho cercato, in modo
particolare, di far cogliere come la
Bibbia sia un testo
storico che racconta le vicende di un popolo, quello ebraico,
seguendo la diffusione del monoteismo che questo popolo praticava nel
mondo orientale, fino alla venuta di colui che una parte del mondo
giudaico, prima, e del mondo in genere, poi, ha identificato con il
Messia e che ha predicato l'
Evangelo, la "buona
novella", sulla base della quale si è diffuso in tutto
il mondo il credo cristiano.
Le
storie sono quelle di Abramo, di Mosè, di Paolo di Tarso, tre
storie, se vogliamo di "viaggi", tre storie che ci
portano in momenti storici diversi: l'epoca dei patriarchi
nell'oriente antico (intorno al 1850 circa a.C.); la schiavitù
d'Egitto e l'esodo verso la Terra promessa (dal 1250
circa a.C.); i tre viaggi apostolici di san Paolo dal 46 al 58, fino
all'arrivo a Roma e al martirio nel 67 d.C.
Da una parte, quindi, la Palestina, la Terra promessa, verso cui i
patriarchi si muovono e con cui l'ebraismo ha sempre conservato
un rapporto fortissimo ("L'anno prossimo a Gerusalemme"
è l'augurio che gli ebrei osservanti si scambiano in
occasione della Pasqua, dovunque si trovino) fino allo sviluppo del
sionismo e alla costituzione dello stato di Israele, dall'altra
parte il mondo tutto verso cui il messaggio cristiano si indirizza
("Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo"
Mt
28, 19)
Proponendo queste "storie" agli studenti si dovrebbe
riuscire a interessarli in particolare agli aspetti storici che esse
presentano (e quindi riuscire a collegare la
Bibbia con lo
studio delle civiltà antiche) facendo capire che la
Bibbia,
anche se per i credenti è parola di Dio, è in realtà
stata scritta da uomini ("gli scrittori sacri", come
venivamo chiamati un tempo) che hanno trasferito nelle pagine il loro
modo di vedere le cose, il loro "mondo".
Se quel modo di vedere le cose ha influenzato i secoli successivi
e influenza ancora il nostro immaginario collettivo, se ne deve
concludere che la
Bibbia sia quanto mai attuale.
IL
VIAGGIO DI ABRAMO
La storia di Abramo si trova nel primo libro della
Bibbia,
la
Genesi, dal capitolo 12 al capitolo 25. E' la storia
della fedeltà di un uomo alla missione che gli è stata
affidata, quella di abbandonare la sua terra e di compiere un viaggio
verso una terra straniera, prestando fede a ciò che il testo
biblico presenta come il volere di Dio. Ma è anche la storia
delle popolazioni nomadi che vivevano tra la Mesopotamia, la Siria,
la Palestina e che si muovevano alla continua ricerca di pascoli,
scontrandosi con le popolazioni, nomadi spesso anch'esse, che
abitavano quei luoghi.
Abramo era, secondo quanto dice la
Genesi, figlio di Terach
e fratello di Nacor e di Aran, da cui nacque Lot (cfr.
Gn 11,
27). La famiglia di Terach era originaria di Ur dei Caldei ("Aran
poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra
natale, in Ur dei Caldei" –
Gn 11, 28).
"Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran,
figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram
suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel
paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono."
(
Gn 11, 31)
A Carran Terach morì (
Gn 11, 32)
Il
testo biblico indica una serie di nomi di persona e di luoghi che
appartengono all'area della Mesopotamia occidentale. Terach,
Abramo e Lot partirono da Ur Kasdim (Ur dei Caldei), arrivarono a
Carran ed ebbero come traguardo la terra di Canaan.
L'identificazione precisa di Ur Kasdim è dibattuta:
la tradizione e la letteratura divulgativa la identificano nella
sumerica Ur, nella parte meridionale estrema della terra tra i due
fiumi, al centro dell'antica Sumer. In realtà, se così
fosse, bisognerebbe pensare ad uno spostamento molto ampio per
giungere a Carran (Harran), che si trova nell'area nord
occidentale della Mesopotamia. Le popolazioni nomadi compivano certo
spostamenti di ampio raggio ed è possibile che gruppi di
pastori nomadi attraversassero tutta la Mesopotamia, anche se un
movimento del genere non appare del tutto convincente. C'è
però una possibile interpretazione del passo che limiterebbe
il movimento del gruppo di Abramo: nella
Bibbia si parla di Ur
dei Caldei solo in
Gn 11, 28 e 15, 17; il testo greco dei LXX,
di contro al testo ebraico, legge non "da Ur (
‘r)
dei Caldei" ma "dalla terra (
‘rs) dei
Caldei". Un qualche copista avrebbe trascurato una lettera
portando ad un fraintendimento di quello che era stato il luogo di
partenza del gruppo di Abramo: non l'antica terra dei Sumeri,
ma più in generale la terra dei Caldei, cioè l'ambiente
babilonese. (Su questi aspetti si può vedere utilmente
Siegfried Hermann,
Storia di Israele, Brescia, Queriniana,
1977; pp. 69-70)
Di contro a questa tesi, che mette in discussione l'origine
del gruppo di Abramo da Ur, si pone, come detto, la tradizione
ripresa dalla
Bibbia di Gerusalemme: "Ur dei Caldei è
nella bassa Mesopotamia. Carran è a nord-ovest della
Mesopotamia. La storicità di questa prima migrazione è
discussa. Essa però è attestata da tradizioni antiche
(
Gn 11, 28; 15, 7) redatte in un'epoca in cui Ur era
caduta nell'oblio. Essa era invece un centro importante
all'inizio del II millennio e aveva già legami religiosi
e commerciali con Carran. Bisogna almeno riconoscere la possibilità
di questa prima migrazione: solo la menzione dei caldei sarebbe una
precisazione aggiunta in epoca neo babilonese." (
Bibbia di
Gerusalemme, Bologna, Edizioni dehoniane, nota a
Gn 11,
31).
Un'analisi
di questo genere in classe può essere utile per diversi
aspetti:
- si
può sottolineare l'elemento storico che sta alla base
del racconto biblico e le difficoltà dell'identificazione
dei riferimenti che la Bibbia ci ha trasmesso
- si può riflettere sul
problema della trasmissione del testo, della sua stratificazione,
facendo magari un cenno al problema del testo masoretico e alla
traduzione greca dei LXX
- si può proporre una
riflessione sull'uso dell'onomastica per identificare le
aree da cui un gruppo ha origine (in effetti i nomi Serug e Nacor,
antenati di Abramo, Terach, Haran e Lot sembrano richiamare l'area
della Mesopotamia nord-occidentale)
Ma la storia delle migrazioni di
gruppi nomadi nell'Oriente antico, trova nel racconto della
Bibbia una motivazione di tipo religioso. Abramo lascia Carran, in
Mesopotamia, prestando fede alle parole del Signore:
"Vàttene
dal tuo paese, dalla tua patria
e
dalla casa di tuo padre,
verso
il paese che io ti indicherò.
Farò
di te un grande popolo
e ti
benedirò,
renderò
grande il tuo nome
e
diventerai una benedizione.
Benedirò
coloro che ti benediranno
e
coloro che ti malediranno maledirò
e in
te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra." (
Gen. 12, 1-3)
Il suo gruppo è un gruppo numeroso, comprende la moglie, il
figlio di suo fratello, i servi e gli animali. Dopo un viaggio che
possiamo immaginare lungo e faticoso (Abramo aveva settantacinque
anni –dice la
Bibbia - quando gli fu rivolta la parola
del Signore) su strade carovaniere che non dovevano essere molto
diverse da quelle attuali, la famiglia di Abramo arrivò nel
paese di Canaan, abitato allora dai Cananei. Ma il Signore parlò
nuovamente ad Abramo e gli disse: "Alla tua discendenza io darò
questo paese" (
Gen. 12,7).
E'
possibile, a questo punto, provare a riflettere in modo generico con
gli studenti sul significato che la Terra Promessa ha avuto per
l'ebraismo: certo il significato di Terra Promessa è
profondamente mutato nei secoli, ma pensare che le tradizioni più
antiche (i capitoli 12-13 del libro della
Genesi costituiscono
un racconto jahvista, con alcune aggiunte sacerdotali – secondo
la critica di fine Ottocento, molto discussa, sarebbero stati messi
per iscritto nel secolo IX in Giuda) sottolineano più volte il
legame di un gruppo – destinato a diventare un popolo –
con una determinata regione non può che far meditare alla luce
degli avvenimenti che oppongono palestinesi ad israeliani ai giorni
nostri. La Terra Promessa per il popolo ebraico è la terra che
Dio ha voluto per il suo popolo: i tratti dell'utopia si
mescolano così con la realtà in un legame inscindibile.
Stanziarsi nella Terra Promessa, lavorarla, farla fruttificare,
renderla una terra fertile è stato un ideale per le
popolazioni nomadi di allevatori che a poco a poco si sono
trasformate in agricoltori, un ideale ripreso dal sionismo
dell'Ottocento, che ha fortemente voluto il ritorno in
Palestina. E poi le persecuzioni razziali, i pogrom, la shoà
hanno reso il ritorno in Palestina inevitabile e sempre più
problematico...
Un
elemento interessante su cui soffermarsi con gli studenti dopo aver
letto anche pochi versetti del libro della
Genesi è il
rapporto tra mito, leggenda e storia nella
Bibbia. In effetti
negli studenti può essere comune l'idea che la
Bibbia
racconti vicende leggendarie, quando addirittura non proponga una
serie di miti. Può essere utile, a questo proposito, leggere
il capitolo dedicato a questa questione da J. Alberto Soggin
nell'
Introduzione all'Antico Testamento edita da
Paideia (Brescia, 1968). Soggin sottolinea come l'Antico
Testamento "ha spesso seguito nei riguardi del mito una
cosciente e coerente pratica di demitizzazione" (p. 84): gli
scrittori biblici per la loro mentalità storica, pur con
qualche limitazione, hanno eliminato la visione mitica del mondo.
Nella
Bibbia rimangono tracce – specie in alcune parti
poetiche - di una mitologia che Israele possedeva all'origine
della sua esistenza e che a poco a poco ha abbandonato: in effetti,
mentre il mito è l'opposto della storia, è la
narrazione di imprese di dei ed eroi "indipendenti da un
qualche contesto storico-geografico e cronologico perché di
solito, almeno nelle origini, legati allo schema ciclico della natura
e della sua fertilità" (p. 82), il mondo ebraico,
invece, sperimenta la realtà del divino nella storia.
Il
termine
leggenda, d'altra parte, non deve essere
giudicato in modo negativo, secondo l'accezione vulgata di
"narrazione fantastica": la "leggenda" è
"il ricordo di un fatto realmente avvenuto, di un'esistenza
realmente vissuta o di persone realmente esistite, ma in un'epoca
preistorica, della quale possediamo materiali tradizionali di tipo
popolare" (p. 86). Come le leggende dell'
Iliade ci
permettono di risalire al mondo miceneo-egeico, così le
leggende dei Patriarchi ci permettono di risalire al mondo al quale
appartenevano, il mondo dei nomadi semiti che si muovevano nell'area
mesopotamica.
Ma
se la
Bibbia ci racconta le leggende dei Patriarchi, come si
può parlare di un libro storico? In effetti, anche la storia
di Abramo è vera storia dal momento che le leggende dei
Patriarchi affondano le proprie radici in esperienze storiche reali
che, pur trasformate dalla tradizione popolare, conservano una forte
impronta delle origini. Le scoperte archeologiche contemporanee e, in
particolare, i testi rinvenuti nelle città mesopotamiche di
Mari e Nuzi ci hanno, in effetti, rivelato come alcuni passi in
apparenza poco chiari siano in realtà del tutto evidenti alla
luce dei costumi e delle usanze del mondo mesopotamico.
Nel capitolo 15, ai versetti
2-3, Abramo risponde a Dio che in visione gli ha promesso una
"ricompensa molto grande" dicendo: "Mio Signore
Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della
mia casa è Eliezer di Damasco". E ancora: "Ecco a
me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio
erede". Ora le scoperte e gli studi hanno messo in luce come le
usanze del mondo mesopotamico volessero che il maggiordomo di una
casa senza eredi fosse ufficialmente l'erede dei beni del
padrone: per questo Abramo, lamentando la mancanza di figli che
possano ereditare i suoi beni, fa riferimento a Eliezer di Damasco,
suo maggiordomo.
La
leggenda trova senso alla luce delle fonti storiche: la
Bibbia,
quindi, si rivela un libro "storico".
Per
tornare alla storia di Abramo, il libro della
Genesi racconta
le vicende del patriarca dal capitolo 11, v. 23 al capitolo 25, v.
10. Abramo, dopo aver seguito la chiamata del Signore, si accampa nel
deserto del Negheb (
Gn 12, 9); passa poi in Egitto per
sfuggire ad una carestia (
Gn 12, 10-20). Torna in seguito nel
Negheb e si separa da Lot: "Abram si stabilì nel paese
di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle (del
Giordano)" (
Gn 13, 12).
"Allora
il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: ‘Alza
gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il
settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente.
Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua
discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la
polvere della terra: se uno può contare la polvere della
terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati,
percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò
a te.'" (
Gn 13, 14-17)
Dopo
aver ricordato la guerra di quattro re contro cinque re, la prigionia
di Lot e la sua liberazione per mano di Abramo - "Piombò
sopra di essi di notte, lui con i suoi servi, li sconfisse e proseguì
l'inseguimento fino a Coba, a settentrione di Damasco. Recuperò
così tutta la roba e anche Lot, suo parente, i suoi beni, con
le donne e il popolo." (
Gn 14, 15-16) –, si
ricorda come Melchisedek, re di Salem, sacerdote di Dio altissimo,
benedisse Abramo e offrì pane e vino (
Gn 14, 18-20).
Si
tratta di un passo molto famoso, che è stato interpretato
dalla tradizione giudaica e patristica in chiave allegorica. Leggendo
questi pochi versi è quindi possibile proporre un rapido
excursus sull'interpretazione allegorica della
Bibbia
in generale.
"Intanto
Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del
Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
‘Sia benedetto Abram dal
Dio altissimo,
creatore del cielo e della
terra,
e benedetto sia il Dio
altissimo,
che
ti ha messo in mano i tuoi nemici.'" (
Gn 14,
18-20)
Il salmo 76, 3 interpreta Salem come abbreviazione di Gerusalemme,
"città di pace" (
shalom) e la tradizione
giudaica vede in Melchisedek un re-sacerdote sul cui modello sarà
proposta la figura del re Davide e la figura del Messia. Il salmo
110, salmo messianico, al versetto 4 recita: "Il Signore ha
giurato e non si pente; ‘ Tu sei sacerdote per sempre al modo
di Melchisedek.'"
L'interpretazione del primo cristianesimo vede in
Melchisedek una figura di Cristo "divenuto sommo sacerdote per
sempre alla maniera di Melchisedek" (
Eb 6, 20). "Questo
Melchisedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò
incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo
benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa; innanzitutto il
suo nome tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche
re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza
madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di
vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno."
(
Eb 7, 1-3) La
Lettera agli ebrei prosegue
sottolineando l'abrogazione, ad opera di Cristo, della legge
antica e del sacerdozio giudaico, e l'instaurazione del
sacerdozio di Cristo, il sacerdozio perfetto.
L'interpretazione
patristica sottolinea, poi, come l'offerta del pane e del vino
sia figura dell'eucaristia: questa interpretazione è
ricordata anche nel Canone romano della Messa.
Allegoria è "leggere un episodio in un altro
modo", in un modo cioè non letterale (e storico): in
particolare nell'episodio di Melchisedek la lettura allegorica
che ne fanno i Padri della Chiesa è "tipologica",
quella lettura allegorica che si ha quando i personaggi e gli episodi
dell'Antico Testamento anticipano le realtà del Nuovo
Testamento e trovano nuova luce nella chiave dell'Evangelo.
La storia di Abramo prosegue ancora ricordando i dubbi di Abramo
che, privo figli, non riesce a comprendere il senso della promessa di
Dio: "Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico
sarà mio erede" (
Gn 15, 3). Ma Dio si rivolge di
nuovo ad Abramo: "'Non costui sarà il tuo erede,
ma uno nato da te sarà il tuo erede'. Poi lo condusse
fuori e gli disse: ‘Guarda in cielo e conta le stelle, se
riesci a contarle' e soggiunse: ‘Tale sarà la tua
discendenza'. Egli credette al Signore, che glielo accreditò
come giustizia." (
Gn 15, 4-6)
Come
detto, la storia di Abramo è la storia di un uomo che ha
prestato fiducia alla parola di Dio. Lo scrittore ha voluto proprio
mettere in luce questo aspetto di Abramo e lo ha proposto agli uomini
del suo tempo e a tutti coloro che, nei tempi, hanno letto questi
passi. La storia dell'Antico Testamento è la storia
dell'incontro tra l'uomo e Dio, è la storia
dell'uomo che, fra mille incertezze e debolezze, ha prestato
ascolto alla voce di Dio e l'ha seguita.
Abramo, che non ha avuto figli dalla moglie Sarai, genera un
figlio da una schiava egiziana, Agar, e gli dà nome Ismaele
(
Gn 16). Anche in questo caso le testimonianze storiche
supportano il racconto della
Genesi: secondo il diritto
mesopotamicouna sposa sterile poteva dare a suo marito una
schiava per moglie e riconoscere come propri i figli di quest'unione.
Per questo Sarai dice ad Abramo: "Ecco, il Signore mi ha
impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò
aver figli" (
Gn 16, 2).
Poi, quando Abramo aveva – dice la
Bibbia novantanove
anni gli apparve Dio e gli parlò, stabilendo con lui
un'alleanza, ponendo la circoncisione come segno di essa e
promettendo ad Abramo un figlio:
"'Eccomi
la
mia alleanza è con te
e
sarai padre
di
una moltitudine di popoli.
Non
ti chiamerai più Abram
ma ti
chiamerai Abraham
perché
padre di una moltitudine
di
popoli ti renderò.
E ti
renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni
e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e
con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come
alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo
di te. Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese
dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne;
sarò il vostro Dio.'" (
Gn 17, 4-8)
"Quanto
a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la
benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò
e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei."
(
Gn 17, 15-16)
Leggendo
i due brani proposti è importante sottolineare due aspetti
presenti in essi: da una parte il cambiamento dei nomi, dall'altra,
ancora una volta, il legame con il paese di Canaan.
Per quanto riguarda il problema dei nomi, bisogna ricordare come
nella concezione antica il nome determini la natura delle persone:
cambiare il nome vuol dire, quindi, cambiare il proprio destino.
D'altra parte attribuire il nome alle cose è una forma
di dominio: Adamo, nel Paradiso terrestre, dà il nome "a
tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie
selvatiche" (
Gn 2, 20), per sottolineare la condizione
di superiorità dell'uomo sulle creature. Il fatto che
Dio cambi il nome ad Abramo e a Sara è quindi segno che il
loro destino muta dal momento in cui si affidano a Dio, ascoltano le
sue parole, osservano i suoi comandi. Abram e Abraham sono due forme
dialettali del medesimo nome e significano "Egli è
grande quanto a suo padre, è di stirpe nobile", ma il
termine Abraham presenta un'assonanza con
‘ab hamon,
"padre di moltitudini". (cfr.
La Bibbia di
Gerusalemme, nota a
Gn 17, 5).
Anche nel Nuovo Testamento troviamo un cambiamento famoso di nome;
nel Vangelo di Matteo Gesù dice a Pietro: "Beato te,
Simone figlio di Giona, perché né la carne né il
sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli
(Pietro ha definito Gesù "il Cristo, il Figlio del Dio
vivente"). E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia chiesa." (
Mt 16, 17-18) Il
destino di Pietro cambia – da pescatore diviene apostolo
dell'Evangelo – e con il destino cambia anche il suo
nome, diviene
Petros in greco o
Kefa in aramaico,
"roccia", un termine che fino ad allora non era mai stato
utilizzato come nome di persona, proprio per sottolineare la sua
nuova vocazione.
Il
racconto della storia di Abramo prosegue con alcuni episodi famosi,
che possono essere utilmente oggetto di lettura in classe:
- l'apparizione
di Mamre (Gn 18, 1-15): tre uomini appaiono ad Abramo e a sua
moglie Sara e annunciano loro che avranno un figlio – a
partire da questo episodio si può proporre un confronto con
l'Annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38) e una riflessione
sul fatto che nel brano si parla di tre uomini, ma poi si usa il
singolare "Il Signore rispose" (un'apparizione di
Dio accompagnato da due angeli o un riferimento alle tre persone
della Trinità, come propone una lettura dei Padri della
Chiesa?)
- il
tentativo di Abramo di allontanare da Sodoma e Gomorra, città
corrotte, la distruzione imminente (Gn 18, 16-33)
- la
distruzione di Sodoma e Gomorra a cui Lot sfugge per volere di Dio
("Così, quando Dio distrusse le città della
valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla
catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva
abitato") (Gn 19, 29): la ricerca storico-archeologica
ha cercato di identificare le due città (nella zona
meridionale del Mar Morto?) e di individuare il cataclisma che le ha
distrutte (un terremoto?) – anche in questo caso il racconto
della Bibbia sembra fondarsi sul ricordo di avvenimenti
storici...
- il
soggiorno di Abramo a Gerar (Gn 20, 1-18): Abimèlech,
re di Gerar, dal momento che Abramo aveva presentato la moglie Sara
come sua sorella, manda a prendere Sara. Ma Dio lo visita in sogno e
gli dice: "Ecco stai per morire a causa della donna che tu hai
presa: essa appartiene a suo marito" (Gn 20, 3).
Abimelech allora fa chiamare Abramo e gli restituisce Sara con
greggi, armenti e schiavi. Interessante è notare come questa
pericope, di tradizione elohista (Dio, infatti, viene chiamato
Elohim), faccia parte dei capp. 20 e 21 che comprendono una serie di
tradizioni locali, che fanno centro nell'asse Bersabea-Gerara
e che sviluppano il culto di ‘El ‘Olam
identificato con l'Elohe ‘Abraham, il Dio di
Abramo, di origine nordica. Chiaramente il problema
dell'identificazione di divinità locali con il Dio di
Abramo è problema complesso da trattare in classe, ma si
potrebbe insistere invece utilmente sull'aspetto della
ripresa, da parte del redattore, di materiali antichi di tradizione
popolare. Nel testo, ad esempio, risulta evidente un intervento del
redattore che si preoccupa di far dire ad Abramo che Sara è
veramente sua sorella, in quanto sono figli dello stesso padre.
- la
nascita di Isacco (Gn 21, 1-7), il figlio promesso ad Abramo
("Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a
Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad
Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato."
– Gn 21, 1-2). I figli nel mondo ebraico sono segno
della benedizione di Dio e la sterilità è vista come
qualcosa di negativo. Il favore di Dio nei confronti di Abramo si
manifesta quindi nel concepimento di un figlio nella vecchiaia.
Analogo concetto troviamo nel Nuovo Testamento: Giovanni Battista,
figlio del sacerdote Zaccaria e di Elisabetta, è concepito
nella vecchiaia. Ed Elisabetta, portando in grembo colui che sarebbe
diventato Giovanni Battista, diceva: "'Ecco che cosa ha
fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di
togliere la mia vergogna tra gli uomini'". (Lc 1,
25)
- la
cacciata di Ismaele, figlio di Abramo, e di sua madre Agar: la
nascita di un figlio legittimo priva, secondo la giurisprudenza
dell'Oriente antico, dei propri diritti il figlio illegittimo,
concepito con una schiava (Gn 21, 8-21)
- il
soggiorno di Abramo nel paese dei Filistei e l'alleanza con
Abimèlech (Gn 21, 22-34)
- il
sacrificio di Isacco: Abramo è messo alla prova da Dio che
gli chiede di sacrificargli il suo unico figlio. Abramo obbedisce e
quando sta per immolare Isacco è fermato da Dio. Al posto di
Isacco sarà immolato un ariete. (Gn 22, 1-19)
Si tratta di un episodio molto complesso in cui confluiscono due
tradizioni: la tradizione Elohista e quella Jahwista. (Soffermandosi
su questo episodio si potrebbe proporre una riflessione sulla critica
letteraria del Pentateuco: a questo riguardo può essere utile
l'introduzione al Pentateuco nel primo volume della
Nuovissima
Versione della Bibbia,
Genesi, delle Edizioni Paoline).
Nell'episodio del sacrificio di Isacco vi sarebbe traccia della
fondazione di un santuario familiare ad opera di Abramo. La
fondazione di un santuario prevedeva un sacrificio, in alcuni casi
umano. Nel mondo cananeo si immolava il primogenito: di questo
costume ci parlano testimonianze letterarie e archeologiche
(iscrizioni trovate a Malta e a Cartagine). Anche in questo caso, pur
nella complessità della stratificazione testuale, permane il
ricordo storico alla base del racconto che, però, chiaramente,
è strutturato per sottolineare l'obbedienza di Abramo
alle parole di Dio. La tradizione cristiana ha poi letto tutto
l'episodio del sacrificio di Isacco in chiave allegorica e
tipologica: Isacco è
figura Christi, vittima innocente,
anche se Isacco non viene effettivamente sacrificato.
- la
morte di Sara e la sua sepoltura nella tomba di Macpela (Gn
23, 1-20)
- la
ricerca di una moglie per Isacco: l'incontro del servo
incaricato da Abramo della ricerca di una sposa per il figlio con
Rebecca al pozzo di Nacor; il matrimonio tra Rebecca e Isacco (Gn
24, 1- 67)
- la
morte di Abramo (Gn 25, 7-11).
Leggendo
la storia di Abramo in classe è possibile, come abbiamo visto
in alcuni spunti:
- sottolineare la dimensione
storica del racconto biblico
- proporre
un excursus sui popoli dell'Oriente antico, sui loro
costumi e sulle loro credenze religiose
- riflettere sulle tecniche
della critica letteraria (biblica ed extrabiblica)
- mettere in luce il legame
tra Antico e Nuovo Testamento
- sottolineare la ferma
volontà dell'ebraismo di conservare memoria delle
proprie origini e di dare una giustificazione delle stesse.
Ma,
forse, l'aspetto su cui più concentrare l'attenzione
degli allievi può essere quello del movimento, del viaggio: la
storia di Abramo è, come detto, la storia un capo tribù
nomade che si muove con i suoi familiari, i suoi servi e i suoi
animali alla ricerca di pascoli e di acqua. Nella storia di Abramo,
però, è adombrato anche il passaggio dalla fase del
nomadismo puro a quelle di semi-nomadismo in cui cominciano ad
esistere dei territori di riferimento, a cui ritornare o con cui
sottolineare il proprio legame. La storia, infatti, propone evidente
il tema del legame del clan di Abramo con la terra di Canaan,
giustificato da motivazioni di tipo religioso, l'obbedienza del
patriarca alla volontà di Dio che gli ha rivelato quella che
sarà la vocazione sua e dei suoi discendenti. La critica del
testo ha rivelato come nella storia di Abramo due tradizioni si
mescolino: quella sacerdotale che si sofferma sul muoversi delle
popolazioni nomadi – la transumanza delle greggi da Carran
nella terra di Canaan - e quella jahwista che parla di pellegrinaggi
verso tre santuari: Sichem, Bet El e Mambre. In ogni caso nel
racconto della storia di Abramo si fa riferimento ad uno spostarsi ed
è un movimento che porta verso la Terra promessa.
E' possibile leggere, nella celebrazione della Terra
promessa, un tratto ideale: la Terra promessa assume, nel racconto
del libro della
Genesi, le sembianze di un nuovo Paradiso
terreste, dopo quello perduto da Adamo in seguito al peccato
originale (cfr.
Gn 2-3)
Dietro
il racconto della storia di Abramo e degli altri patriarchi ci
sarebbe uno schema di questo tipo:
alleanza tra Dio e Adamo –
Paradiso terreste – felicità
peccato di Adamo – rottura
dell'alleanza – cacciata dal Paradiso terreste –
infelicità e morte
nuova alleanza tra Dio e Abramo –
Terra promessa – nuova condizione di felicità.
Nelle
storie dei patriarchi il testo biblico sottolinea però sempre
come questo nuovo patto tra Dio e l'uomo sia fragile e come
l'uomo sia sottoposto alla tentazione di infrangere
continuamente il patto, per abbandonare Jahvé e darsi
all'adorazione degli idoli. Se si insite su questo aspetto,
allora la Terra promessa, più che una realtà geografica
vera e propria, assume un valore simbolico: rappresenta quella
condizione di legame tra Dio e l'uomo che, solo, garantisce la
felicità interiore. Abramo si abbandona alla volontà di
Dio e giunge in questo modo alla Terra promessa.
IL VIAGGIO DI MOSE'
Tenendo
presente quanto abbiamo detto sulla Terra promessa e sul viaggio di
Abramo verso di essa, possiamo provare a rileggere la storia di Mosé
nel
Pentateuco. E' superfluo ricordare come la
tradizione attribuisca la
Thorà o
Pentateuco (i
primi cinque libri della
Bibbia) alla mano di Mosé. E
delle vicende di Mosé si parla ampiamente nella prima parte
del libro dell'
Esodo (capp. 1-34) e negli interi libri
dei
Numeri e del
Deuteronomio. Sarebbe quindi molto
difficile una lettura integrale dei testi che parlano di Mosé
con gli allievi in classe: meglio riassumere brevemente la storia di
Mosé e fermare l'attenzione su alcuni punti
significativi al fine della nostra riflessione o su alcuni passi dal
particolare valore letterario.
Si
comincia a parlare di Mosè, ricordandone la nascita, nel
secondo capitolo del libro dell'
Esodo.
L'
Esodo, come tutti sanno, è il libro che
ricorda l'uscita (
exodos) degli ebrei dall'Egitto
e le loro peregrinazioni verso la Terra promessa. E' un libro,
quindi, che ha una struttura di tipo storico (il racconto della
schiavitù degli ebrei in Egitto, il ricordo della liberazione,
il viaggio nel deserto) cui si mescolano elementi di tipo epico o
leggendario (la figura di Mosé come eroe, i castighi che Dio
manda sull'Egitto per convincere il faraone a lasciar partire
gli ebrei, la sconfitta degli egiziani) ad elementi di tipo liturgico
(il racconto della celebrazione della Pasqua, l'alleanza del
monte Sinai, la costruzione del santuario mobile in cui conservare le
tavole della legge).
Giuseppe, figlio di Giacobbe, figlio a sua volta
di Isacco, era stato venduto dai suoi fratelli e condotto in Egitto
dove aveva ottenuto la benevolenza del faraone interpretandone i
sogni ed era diventato alto funzionario della sua casa. Il padre
Giacobbe e i suoi fratelli l'avevano seguito in Egitto e il
popolo ebraico si era moltiplicato, suscitando l'avversione
degli egiziani. Un nuovo faraone, probabilmente Ramsete II
(1290-1224) che non aveva conosciuto Giuseppe, preoccupato per la
crescita del popolo ebraico, aveva imposto loro di svolgere lavori
umili e aveva stabilito che i nuovi nati maschi dovessero essere
uccisi.
Ad una prima lettura il testo biblico potrebbe
sembrar contraddittorio: la Terra promessa ai padri nel libro della
Genesi è stata abbandonata e si rivela necessaria una
sua nuova conquista. Dobbiamo quindi tornare a riflettere sulle
migrazioni di cui la storia di Abramo è solo un episodio: in
effetti il gruppo di Abramo apparteneva a popolazioni aramee che si
erano mosse verso la Siria e la Palestina partendo dalla Mesopotamia.
Alcuni gruppi di queste popolazioni si erano stanziati in zone
montagnose e poco abitate della Palestina, raggiungendo così
la Terra Promessa. Altri gruppi, probabilmente più forti e
numerosi, si erano diretti verso il Delta del Nilo, accampandosi
probabilmente ai confini dell'impero egiziano. Storicamente
pare poco probabile che i faraoni abbiano permesso un loro
stanziamento in Egitto, se non breve alla ricerca di pascoli. E'
probabile, invece, che i faraoni, come ricorda il libro dell'
Esodo,
abbiano utilizzato gruppi di popolazioni semitiche per i lavori
pubblici, ad esempio per la costruzione della residenza di Ramsete II
nella parte orientale del Delta. La
Bibbia, quindi, pur
prendendo spunto da avvenimenti storici, li modifica certamente
trasformandoli in "storie": leggendo il testo biblico,
quindi, bisogna continuamente tener conto di due livelli, quello
storico e quello letterario. Nel racconto dell'esodo, in
particolare, largo spazio è dato alla rielaborazione
letteraria. Dal punto di vista storico i fatti realmente
ricostruibili sono, come detto, i contatti (di semplice vicinanza?)
tra tribù aramee e l'impero egiziano. Circostanze a noi
note solo dal racconto biblico (e quindi, quasi inevitabilmente,
rielaborate e amplificate) portarono a contrasti che spinsero le
popolazioni aramee a riprendere il cammino del deserto del Sinai. A
Kadesh questi gruppi si unirono con altri gruppi affini per stirpe e
intrapresero il cammino verso la Terra promessa.
In
questo quadro si sviluppa la storia del libro dell'
Esodo:
Mosè appena nato viene nascosto per tre mesi, poi posto in un
cesto e affidato al Nilo. La figlia del faraone scorge il cesto, vede
il bambino e, pur riconoscendolo ebreo, decide di salvarlo. Si tratta
di una storia che ritorna a proposito dell'infanzia di
personaggi celebri, come Sargon re in Mesopotamia, e che ha, quindi,
caratteri stereotipati e ideali.
Storico pare invece il ricordo
dell'oppressione degli ebrei in Egitto (un forte contarsto con
gli egiziani?) e della loro liberazione sotto la guida di un
condottiero che diviene il capo del suo popolo:
"Ora
Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero,
sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò
al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve
in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed
ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo
grande spettacolo: perché il roveto non brucia?' Il
Signore vide che si era avvicinato per vedere e disse: ‘Mosé!
Mosé!' Rispose: ‘Eccomi!'
Riprese: ‘Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché
il luogo sul quale tu stai è una terra santa!' E disse:
‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di
Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò
il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il
Signore disse: ‘Ho osservato la miseria del mio popolo in
Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti: conosco
infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano
dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un
paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele,
verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita,
l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora
dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io
stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li
tormentano. Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire
dall'Egitto il mio popolo, gli israeliti!'" (
Es
3, 1-10)
Leggendo questi versetti ci si
può soffermare in primo luogo sull'identificazione del
monte Oreb: Oreb è il nome del Sinai nella tradizione del nord
(Elohista e Deuteronomista). Dal IV secolo la tradizione cristiana lo
identifica con il Gebel Musa (Monte di Mosé) ai cui piedi
sorge il monastero di Santa Caterina.
Il motivo del roveto ardente ha
dato adito a molte interpretazioni: si è sostenuto ad esempio
che può capitare che, dato il calore del sole nel deserto del
Sinai, i cespugli prendano fuoco da soli. Ma nel brano che abbiamo
esaminato si sottolinea come il roveto non si consumasse e questo,
chiaramente, introduce un elemento sovrannaturale.
Interessante
poi è il motivo di togliersi i sandali come segno di rispetto
del luogo sacro (come avviene ancora oggi nelle moschee).
Dio si rivela come il Dio dei padri e affida a Mosé il
compito di liberare il suo popolo dalla schiavitù per condurlo
verso un paese che viene presentato come luogo ideale: l'espressione
"un paese dove scorre latte e miele" è espressione
stereotipa, che si trova soprattutto nella tradizione Jahwista e
Deuteronomista (
Es 3,17; 33, 3;
Num 13, 27; 14, 8;
...). E' un'espressione che contrappone il deserto, luogo
arido e infruttoso, alla terra feconda. Una formula di questo tipo è
stata trovata ad Ugarit, nel mito di Baal dove si dice: "I
cieli fanno piovere olio e i torrenti fanno scorrere miele"
(cfr.
Nuovissima Versione della Bibbia, Esodo, Edizioni
Paoline, p. 67).
E
Mosè diventerà veramente la guida del suo popolo.
Il libro dell'
Esodo ricorda le fasi fondamentali
della liberazione degli ebrei dalla schiavitù d'Egitto:
- l'incontro
di Mosè e Aronne, suo fratello, con il faraone e il rifiuto
di questi di permettere agli ebrei di andare per tre giorni nel
deserto per sacrificare a Jahvé (Es 5, 1 – 6, 1)
- le
piaghe d'Egitto (Es 7, 8 – 11, 10): i segni
operati da Dio tramite Mosè per piegare il volere del faraone
e permettere agli ebrei di partire dall'Egitto
- il
bastone cambiato in drago (Es 7, 8-13)
- l'acqua
cambiata in sangue (Es 7, 14-25)
- le
rane (Es 7, 26 – 8, 11)
- le
zanzare (Es 8, 12-15)
- i
mosconi (Es 8, 16-28)
- la
morte del bestiame (Es 9, 1-7)
- l'ulcera
(Es 9, 8-12)
- la
grandine (Es 9, 13-35)
- le
cavallette (Es 10, 1-20)
- il
buio (Es 10, 21-29)
- la
morte dei primogeniti (Es 11, 1-10. 12, 29-34)
La tradizione parla di dieci piaghe
d'Egitto perché vede nel bastone cambiato in drago non
una vera piaga, ma un segno del potere che Dio ha dato a Mosè.
Nel racconto delle dieci piaghe d'Egitto si possono trovare
tratti ricorrenti, presenti in toto o in parte nelle varie sezioni:
un lavoro interessante da fare in classe potrebbe essere quello di
"smontare" il racconto delle diverse piaghe
identificandone le sezioni. Le otto sezioni sono:
- l'ordine a Mosè
da parte di Dio di minacciare al faraone l'invio della piaga
- la descrizione della piaga
minacciata
- l'ordine di Dio per la
realizzazione della piaga
- l'esecuzione del
prodigio
- il tentativo dei maghi egizi
di ripetere il prodigio
- l'incertezza del
faraone che sembra piegarsi al volere di Jahvé
- la cessazione della piaga
grazie alla preghiera di Mosè
- la durezza di cuore del
faraone che non si piega al volere di Dio.
(lo schema proposto è ripreso da
Nuovissima versione
della Bibbia, Esodo, Edizioni Paoline)
Se
esaminiamo, ad esempio, la sesta piaga, le ulcere, troviamo:
"Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: ‘Procuratevi
una manciata di fuliggine di fornace: Mosè la getterà
in aria sotto gli occhi del faraone. (Terza sezione) Essa diventerà
un pulviscolo diffuso su tutto il paese d'Egitto e produrrà,
sugli uomini e sulle bestie, un'ulcera con pustole, in tutto il
paese d'Egitto." (Seconda sezione) Presero dunque
fuliggine di fornace, si posero alla presenza del faraone, Mosè
la gettò in aria ed essa produsse ulcere pustolose, con
eruzioni su uomini e bestie. (Quarta sezione) I maghi non poterono
stare alla presenza di Mosè a causa delle ulcere che li
avevano colpiti come tutti gli Egiziani (cfr Quinta sezione). Ma il
Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non diede loro
ascolto, come il Signore aveva predetto a Mosè. (Ottava
sezione)" (
Es 9, 8-12)
- alla
decima piaga, la morte dei primogeniti, si accompagna il ricordo
della celebrazione della Pasqua (Es 12, 1-28)
- la
partenza dall'Egitto (Es 12, 37 – 13, 22)
- l'inseguimento
da parte degli egiziani e il passaggio del Mar Rosso (Es 14,
1-31)
- il
cammino nel deserto (Es 15, 22 - 18, 27)
- l'alleanza
sul Sinai: il decalogo (Es 19, 1 – 20, 21)
- il
codice dell'alleanza (Es 20, 22 – 24, 18)
- il
vitello d'oro e il rinnovo dell'alleanza (Es 31,
18 – 34, 35)
Ci si potrebbe soffermare, in particolare, a leggere in classe il
Cantico di Mosé,
Es 15, 1 – 18, un testo che
appartiene ad un contesto liturgico e celebra con tratti epici la
liberazione degli ebrei dalla schiavitù d'Egitto e la
sconfitta degli egiziani. E' un cantico di difficile datazione,
che probabilmente ingloba materiali diversi e nasce nell'ambito
della celebrazione della Pasqua. La sua analisi può essere un
utile spunto di riflessione sulle caratteristiche della poesia
ebraica (che troviamo raccolta in particolare nel libro dei
Salmi)
e orientale in genere non basata sul numero delle sillabe o sulla
quantità delle vocali, ma sulla ripetizione, sul parallelismo,
sul ritmo. Il Cantico di Mosè, in particolare, è basato
sul ritmo binario:
"Voglio
cantare in onore del Signore,
perché
ha mirabilmente trionfato,
ha
gettato in mare
cavallo
e cavaliere.
Mia forza e mio canto è il Signore, (ripresa)
egli
mi ha salvato.
E il
mio Dio
e lo voglio lodare, (ripresa con variazione)
è il Dio di mio padre
e
lo voglio esaltare! (ripresa con variazione)
Il Signore è prode in
guerra,
si chiama Signore.
I
carri del faraone e il suo esercito
ha
gettato nel mare (ripresa con variazione)
e i suoi combattenti scelti
furono
sommersi nel Mar Rosso.
Gli
abissi li ricoprirono
sprofondarono
come pietra." (
Es 15, 1-5)
(...)
(Dopo
aver celebrato la potenza vittoriosa del Signore, il Cantico si
conclude ricordando la sua premura nei confronti del suo popolo)
"Lo
fai entrare e lo pianti
sul
monte della tua eredità,
luogo
che per tua sede,
Signore,
hai preparato,
santuario
che le tue mani,
Signore,
hanno fondato.
Il Signore regna in eterno e per sempre!" (
Es 15,
17-18)
Si fa
quindi riferimento alla marcia attraverso il deserto verso la Terra
Promessa sotto la guida di Jahvè, fino a Gerusalemme, fino al
monte santo su cui sorgerà il tempio.
Della storia di Mosè è
ancora utile ricordare due aspetti: in primo luogo le recriminazioni
di cui è fatto segno da parte del popolo che l'ha
seguito nel deserto e che soffre le fatiche del viaggio, la fame e la
sete, giungendo a rimpiangere la terra d'Egitto. Mosè
non dubita mai che il viaggio verso la Terra Promessa sia voluto da
Dio e interviene a rincuorare il popolo divenendo tramite di eventi
miracolosi, come l'episodio della manna (
Es 16, 1-36) o
quello dell'acqua fatta sgorgare dalla roccia a Refidim, luogo
a cui Mosè dà nome di Massa (=prova) e Mèriba
(=contestazione) (
Es 17, 1-7).
L'altro elemento riguarda il
fatto che Mosè non giungerà mai alla Terra Promessa, ma
la vedrà soltanto da lontano. In effetti il lungo cammino del
popolo ebraico nel deserto (potrebbe essere interessante studiare una
cartina illustrante le diverse ipotesi a riguardo dell'itinerario
percorso dagli ebrei) porta Mosè solo ai confini della terra
di Canaan:
"Poi Mosè salì
dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di
fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese: Gàlaad
fino a Dan, tutto Nèftali, il paese di Efraim e di Manàsse,
tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il
distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a
Zoar. Il Signore gli disse: ‘Questo è il paese per il
quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò
alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma
tu non vi entrerai!' Mosè, servo del Signore, morì
in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del
Signore." (
Dt 34, 1-5)
Anche in questo caso l'uso di
una carta geografica su cui riconoscere le varie parti della Terra
Promessa può essere interessante e può risultare un
utile esercizio per rafforzare negli studenti la consapevolezza della
dimensione storica del testo biblico.
Bisogna però avere l'accortezza
di chiarire agli studenti che dalla lettura del testo biblico, pur
riscontrando molti elementi storici, non sempre è possibile
identificare esattamente i fatti accaduti in una successione
convincente: questo aspetto risulta evidente se si cerca di
ricostruire l'itinerario dell'esodo. In effetti nel
racconto, quale ci è pervenuto dalla
Bibbia, sono
confluite storie e tradizioni diverse, che il redattore finale non ha
saputo (o voluto) armonizzare in modo definitivo. Come sostiene padre
Piccirillo: "La molteplicità delle tradizioni tribali
confluite nel racconto, non sufficientemente armonizzate nel processo
letterario, rompono la direttrice unitaria dello schema geografico
portante (delle storie dei patriarchi): da Harran al Canaan,
all'Egitto; dall'Egitto al Canaan, attraverso la penisola
sinaitica e la regione transgiordanica, fino alla sponda orientale
del fiume Giordano. L'itinerario coerente e unitario, se non
reale almeno fittizio, lungo una delle strade che univano l'Egitto
alla Siria-Palestina, viene complicato da una serie di itinerari
parziali e contradditori." (Michele Piccirillo,
Il Grande
Libro: il contesto storico e i luoghi, in
Lungo i sentieri
della Bibbia, Atti del Convegno dell'UCIIM tenutosi a
Torino il 3 e il 10 febbraio 2004, a cura di Rosa Castellaro).
Mosè vede dall'alto del
monte Nebo la Terra Promessa e sul monte Nebo muore. Il Signore gli
aveva detto: "Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e
sarai riunito ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello è
morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati, perché
siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque
di Mèriba di Kades nel deserto di Sin, perché non avete
manifestato la mia santità. Tu vedrai il paese davanti a te,
ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non
entrerai!" (
Dt 32, 50-52)
Il Signore rimprovera a Mosè di aver avuto poca fiducia
nella sua potenza a Mèriba, quando il popolo, assetato, aveva
mormorato contro Mosè e contro Dio: sarebbe questa la colpa
che gli impedisce di entrare nella Terra Promessa. In realtà,
leggendo l'episodio di Mèriba (
Es 17, 1-7) emerge
più il timore di Mosè nei confronti di una sollevazione
del popolo contro di lui che la sfiducia in Dio, ma bisogna dire che
anche il timore di Mosè di essere lapidato può essere
considerato un mettere in dubbio la protezione di Jahvè e il
Suo potere. Esiste poi un'altra interpretazione della colpa di
Mosè: l'antica legge ebraica ha una dimensione
corporativa. La colpa del popolo ricade sul capo e la punizione dei
sudditi coinvolge anche il capo. Dio, quindi, secondo il racconto
biblico, punirebbe le infedeltà del popolo guidato da Mosè
facendogli solo vedere da lontano quella Terra Promessa verso la
quale per quarant'anni ha guidato il suo popolo.
La storia di Mosè, come abbiamo visto, è di nuovo
la storia di un lunghissimo viaggio verso "il paese in cui
scorre latte e miele". L'esodo è la liberazione
dalla schiavitù d'Egitto e il passaggio alla condizione
di popolo libero in cerca del luogo in cui stabilire la propria
dimora, un luogo che, di nuovo, viene presentato con tratti ideali.
Ma il cammino di Mosè che la
Bibbia celebra come un
grande profeta con il quale "il Signore parlava faccia a
faccia" (
Dt 34, 10) si conclude ai confini della Terra
Promessa. Il luogo d'arrivo non c'è, o, meglio,
c'è, ma rimane ideale.
Egitto – cammino nel deserto – (Terra Promessa)
Forse la storia di Mosè vuole sottolineare
come la fedeltà a Dio porta a compiere la propria missione
anche se il premio può sembrare non raggiunto: la Terra
Promessa, allora, è compiere la volontà di Dio.
La lettura dell'
Esodo può
risultare interessante, quindi, per sottolineare come la dimensione
storica e quella simbolica si mescolino nella
Bibbia
continuamente: come abbiamo già detto parlando dell'episodio
di Melchisedek, è bene far toccare con mano agli studenti i
diversi livelli di lettura del testo per allontanare quelle
tentazioni fondamentalistiche che portano a letture piattamente
letterali che risultano, in realtà, distorcere il significato
vero del testo. L'esodo si è prestato in modo
particolare a diversi livelli di lettura: la tradizione cristiana di
cui si fa portavoce Dante nel
Convivio e nell'
Epistola
a Cangrande riconosce addirittura quattro significati nella
storia della liberazione degli ebrei dall'Egitto:
- senso letterale (storico) = l'episodio
storico
- senso allegorico tipologico = Mosè è
figura Christi: nella liberazione del popolo ebraico dalla
schiavitù d'Egitto è adombrata la redenzione
operata da Cristo dalla schiavitù del peccato
- senso allegorico morale = la liberazione
dalla schiavitù d'Egitto rappresenta la liberazione
dell'anima dal peccato
- senso allegorico anagogico = la liberazione
dalla schiavitù d'Egitto allude al passaggio dalla
schiavitù del mondo alla felicità della vita eterna.
I VIAGGI DI SAN PAOLO
Se nell'Antico Testamento il movimento, il
viaggio ha una dimensione centripeta, porta cioè verso la
Terra Promessa, nel Nuovo Testamento il movimento è
centrifugo: l'Evangelo, la buona novella, deve essere predicato
a tutti e i primi apostoli si avventurano fin da subito sulle strade
del mondo, diffondendo il messaggio trasmesso da Gesù. Risolto
presto, con il cosiddetto concilio di Gerusalemme (
At 15,
2-29), il problema del rapporto tra giudaismo e cristianesimo, non
più richiedendo il passaggio attraverso il giudaismo (la
circoncisione e l'osservanza della legge mosaica) ai nuovi
cristiani, gli apostoli si dedicano alla predicazione ai gentili.
Gerusalemme - e la Palestina -, pur conservando un ruolo d'importanza
perché sede di una fiorente comunità cristiana e perché
luogo che conserva la memoria della predicazione di Cristo (il legame
degli avvenimenti della vita di Gesù con luoghi ben precisi,
di cui la comunità conserva con affetto e dedizione il
ricordo, è garanzia della storicità degli avvenimenti
stessi: vedere i luoghi vuol dire essere certi che le vicende della
vita di Gesù non sono frutto di fantasia), a poco a poco viene
affiancata da altri luoghi in cui il messaggio cristiano trova
terreno fertile: Damasco, Antiochia, le fiorenti città greche
dell'Asia minore, la Grecia, Roma.
In questo mondo in movimento trova particolare
rilievo l'opera missionaria di Paolo che si struttura in tre
viaggi e che è oggetto del racconto del libro degli
Atti
degli apostoli oltre che spunto delle Epistole paoline (
Romani,
I – II Corinzi,
Galati,
Efesini,
Filippesi,
Colossesi,
I – II Tessalonicesi).
Il libro degli
Atti degli apostoli, in
particolare, dopo aver raccontato l'episodio della lapidazione
di Stefano (
At 7, 55 – 8, 3) e ricordato che Saulo-Paolo
era tra i persecutori dei primi cristiani e aveva approvato
l'uccisione di Stefano, si sofferma sul famoso episodio della
conversione di Saulo sulla via di Damasco, mentre si recava in quella
città per perseguitare i cristiani (
At 9, 1-19): la
visione di quel Gesù che Saulo aveva perseguitato cambia
totalmente la sua vita ed egli diviene "uno strumento eletto
per portare il mio nome (sono parole del Signore apparso in visione
ad un cristiano di nome Ananìa che viveva a Damasco) dinanzi
ai popoli, ai re e ai figli d'Israele" (
At 9, 15).
La sua missione è quella di testimoniare Gesù a "tutti
gli uomini" (
At 22, 15). Comincia così la sua
avventura missionaria di cui gli
Atti degli apostoli narrano
gli episodi più importanti (alcuni altri elementi possono
essere tratti, come abbiamo detto, dalla lettura delle epistole
paoline.
34 (o 36) | Paolo è in Arabia subito dopo la
conversione |
36
(o 38) | Paolo va a Damasco ma poi fugge e fa visita a Gerusalemme a
Pietro e a Giacomo |
37 | fondazione della chiesa di Antiochia cui
partecipa anche Paolo |
46-48 | primo viaggio di Paolo: Antiochia, Cipro,
Antiochia di Pisidia, Listra, Antiochia |
48 |
Paolo è a Gerusalemme per portare aiuti raccolti ad
Antiochia per la comunità di Gerusalemme |
48 | concilio di Gerusalemme |
49-52 |
secondo viaggio di Paolo: Listra, Frigia, Galazia, Filippi,
Tessalonica, Atene (dove pronuncia il discorso dell'Aeropago),
Corinto |
52 |
compare davanti a Gallione, proconsole dell'Acaia, da cui
viene prosciolto dalle accuse mossegli dai giudei; attraverso Efeso,
arriva a Cesarea |
estate 52 | Paolo è a Gerusalemme e poi ad
Antiochia |
53-58 | terzo
viaggio di Paolo: Galizia, Frigia, Efeso, Corinto, Macedonia,
Filippi, Cesarea |
pentecoste
58 | Paolo viene arrestato nel tempio: condotto davanti al sinedrio, è
portato a Cesarea davanti al governatore Felice |
58-60 | Paolo
è prigioniero a Cesarea: nel 60 compare davanti a Festo, nuovo
governatore romano, e si appella a Cesare |
60-61 | viene
portato a Roma sotto custodia militare
|
Il
lavoro che si può proporre in classe è quello di una
rapida lettura degli
Atti degli apostoli tenendo presente lo
schema cronologico sopra proposto e avendo davanti agli occhi una
cartina dei viaggi di Paolo: gli allievi dovranno così
identificare le varie parti in cui emergono particolari storici nel
racconto che possono servire a ricostruire gli avvenimenti della vita
dell'apostolo.
La
missione di Paolo non si interrompe con la prima prigionia a Roma:
attraverso le lettere paoline si può pensare alla liberazione,
ad un probabile viaggio in Spagna, a soggiorni ad Efeso, a Creta, in
Macedonia, fino ad una nuova prigionia a Roma e alla morte per
decapitazione nel 67. Di questi avvenimenti, però, gli
Atti
tacciono ed è sull'analisi degli
Atti che è
meglio appuntare l'attenzione degli studenti.
In
effetti leggendo gli
Atti degli apostoli si può
cogliere lo spirito del primo cristianesimo e si può
riflettere sull'incontro-scontro della nuova predicazione
cristiana con il mondo giudaico e con il mondo pagano. Risulta così
evidente, come già detto, lo spessore storico del racconto che
certo è animato anche da intenti apologetici e talvolta
riprende tratti di tradizione letteraria, ma non falsa mai gli
avvenimenti storici: le testimonianze archeologiche che via via sono
venute sempre più ampliandosi non hanno fatto che confermare
il racconto degli
Atti.
La predicazione ha diffuso il
verbo cristiano lontano da Gerusalemme e dalla Palestina, la Terra
promessa. Nella tradizione cristiana l'ideale utopico di "una
terra in cui scorre latte e miele" si è a poco a poco
disincarnato ed è stato proiettato in una vita futura:
"(Io Giovanni) vidi poi un
nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di
prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi
anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal
cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii
allora una voce potente che usciva dal trono:
‘Ecco la dimora di Dio con
gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed Egli sarà il
<Dio-con-loro>.
E tergerà ogni lacrima
dai loro occhi;
non ci sarà più la
morte,
né lutto, né
lamento, né affanno,
perché
le cose di prima sono passate'." (
Ap 21, 1-4)
Al di
là delle letture che vedono nell'
Apocalisse un
testo che rilegge la redenzione ad opera di Cristo con le categorie
dell'apocalittica, la tradizione quasi unanime ha visto nella
Gerusalemme celeste l'immagine del Paradiso cui il cristiano
spera di giungere dopo il viaggio terreno.
A questo punto il nostro
percorso si può considerare concluso.
(la
Bibbia viene citata nella versione ufficiale della Conferenza
Episcopale Italiana, utilizzando la
Bibbia di Gerusalemme,
Bologna, Edizioni dehoniane)