QUALI RADICI PER LA CULTURA EUROPEA?

Prof. Sergio Blazina

I discorsi sulle radici culturali dell'Europa non sono immuni da pericoli: spesso, utilizzano strumentalmente il passato per parlare del presente e sono animati, non tanto da un'ansia di ricerca, quanto dall'intenzione – neanche troppo nascosta – di affermare un'egemonia (religiosa, ideologica). In questo caso, pongono una domanda, ma sanno già la risposta: il loro obiettivo autentico è trovare un fondamento alla distinzione fra originario e derivato, puro e mescolato, autentico e inautentico, valore e disvalore. Le polemiche sul testo del Preambolo del Trattato Costituzionale Europeo sono l'esempio più recente di questa impostazione, che preferisce la reductio ad unum alla sfida della complessità.

Ciò non significa che la cultura europea sia priva di tratti caratteristici o si presenti dispersa in un'informe pluralità. Tuttavia, il profilo culturale della civiltà europea va riconosciuto, più che in un contenuto specifico di pensiero (credo religioso, dottrina filosofica, tema dominante...), in alcune strutture che hanno segnato la dinamica intellettuale delle tante Europe. Ne individuo schematicamente tre:
  1. L'autonomia dei saperi e la distinzione dei poteri come garanzia di libertà. Sin dall'antica Roma repubblicana, le leggi delle XII Tavole (451-450 a.C.) prima e lo ius Flavianum poi (304 a.C.) sanciscono l'autonomia del diritto dalla religione: la scienza giuridica viene sottratta al monopolio dei pontefici e perde la primitiva aura di segretezza. In età moderna, nuovi metodi nascono dall'affrancamento di saperi specifici. Nel XVI secolo, Machiavelli afferma l'autonomia della politica dalla filosofia. Nel XVII secolo, Galilei distingue le verità della scienza dalle verità di fede, il "libro della Natura", in caratteri numerici, dal Libro sacro, intessuto di simboli divini. L'autonomia dei saperi, nella storia della cultura europea, garantisce la libertà e lo sviluppo della ricerca.

  2. La permeabilità culturale come arricchimento. Anche nei periodi di maggiore chiusura (e paura) rispetto all'esterno, l'Europa mantiene la capacità di assorbire e rielaborare apporti che le giungono da altre culture. I lasciti preziosi della civiltà araba nel corso del Medioevo, l'esotismo settecentesco, gli influssi di ritorno, nel Novecento, di culture, come quella statunitense, di figliazione europea, o le mode orientaleggianti nelle arti figurative e nel cinema, testimoniano questo sincretismo tendenziale.

  3. La trasformazione continua degli archetipi culturali. A differenza di civiltà – come quelle dell'estremo Oriente – che identificano il proprio codice nella fissità ripetitiva di rituali non modificabili, la civiltà europea ha sempre affinato la capacità di trasformare i propri archetipi, di rielaborarli in uno sforzo inesauribile di adattamento metamorfico. La vitalità del mito antico, della Bibbia o dei capolavori letterari che Harold Bloom ha considerato i pilastri del cosiddetto "canone occidentale", si basa non sulla semplice ripetizione, ma sulla variazione. Anche le poetiche dell'imitazione dei modelli (classicismo) o i proclami di ritorno all'origine (Riforma protestante, Natura secondo Rousseau) sono reinterpretazioni.

Un progetto scolastico sulle radici culturali europee può lavorare utilmente soprattutto sulla terza struttura, perché su di essa si può facimente innestare una rete interdisciplinare.

Ecco alcune proposte:



Torino, 13 dicembre 2005