Capitolo II: Autori e tematiche
1. Amore cortese

Secondo la tradizione, il primo trovatore fu Guglielmo IX, duca d' Aquitania, grande signore feudale amante della guerra e dei piaceri mondani, nella cui produzione poetica compaiono già gli elementi che caratterizzarono l'originale concetto trobadorico dell'amore: "l'amor cortese", anche chiamato verai' amor (amore vero) o fin'amor (amore sublime).
Era un concetto rivoluzionario, in quanto la donna non era più confinata in una posizione di totale inferiorità rispetto all'uomo, bensì la poesia trobadorica le conferiva grande dignità, onore e rispetto. Essa diventava l'incarnazione di qualità nobili e virtuose. Alcune canzoni lamentavano la fredda indifferenza della dama nei confronti del poeta-ammiratore: infatti, almeno in teoria, l'amore del trovatore doveva rimanere casto, in quanto il suo obiettivo principale non era possedere la dama, bensì il raffinamento morale che l'amore per lei gli ispirava. Per rendersene degno, l'innamorato doveva coltivare umiltà, padronanza, pazienza, lealtà e tutte le nobili qualità che la dama possedeva. In questo modo l'amore poteva trasformare positivamente anche l'uomo più rude.
I trovatori credevano che l'amore cortese fosse la fonte del raffinamento sociale e morale, che gli atti cortesi e le nobili gesta nascessero dall'amore. Quest'idea venne elaborata e diventò il fondamento di un intero codice di condotta che, con il tempo, fu assorbito anche dalla gente comune. In contrasto con la società feudale era iniziato un nuovo modo di vivere. Ora le donne si aspettavano che i loro uomini fossero altruisti, premurosi e gentili: in una parola, gentiluomini.
Molto spesso le liriche del poeta erano indirizzate alla dama presso la cui corte egli prestava servizio. Essendo questa donna maritata, il compositore doveva prestare attenzione ai termini di cui si serviva nelle sue liriche ed esser molto cauto per evitare che coloro che avessero letto o udito il suo componimento intuissero ed identificassero il soggetto delle sue lodi. Per raggiungere tale scopo i poeti evitavano qualsiasi nominativo, che sarebbe stato oggetto immediato di identificazione, preferendo riferirsi all'amata tramite uno pseudonimo (detto senhal) oppure si riferivano completamente ad altre donne, nonostante esse non fossero le reali destinatarie dei pensieri del poeta, per proteggere l'identità dell'amata. Si consideri anche che, per rigida imposizione della dottrina cristiana, non veniva mai descritto l'aspetto fisico, o almeno non nella corrente dei poeti cortesi, eccezion fatta per gli occhi, ritenuti lo specchio dell'anima. Le uniche cose descritte della donna erano la bellezza dal punto di vista spirituale e le virtù da essa mostrate.
Questo tipo di amore destinato a non poter esser corrisposto, ma a rimanere soprattutto spirituale, porterà successivamente alla donna angelicata, non solo posta su un piedistallo, ma addirittura considerata alla pari di un angelo. I poeti Stilnovisti toscani, provando amore per questa donna, erano in grado di comprendere e di provare l'amore divino, la forma più elevata e sublime di amore.