Documento 2 - Comunicato del PNF sul “Manifesto degli scienziati fascisti sulla razza”, 25 luglio 1938

da “Il Giornale d'Italia” del 25 luglio 1938




Il ministro Segretario del Partito ha ricevuto un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane, che hanno sotto l'egida del Ministero della Cultura popolare redatto o aderito alle proposizioni che fissano la base del razzismo fascista. Erano presenti i fascisti:
Dott. Lino Businco, assistente di patologia generale all'Università di Roma;
Prof. Lidio Cipriani, incaricato di antropologia nell'Università di Firenze;
Prof. Arturo Donaggio direttore della clinica neuropsichiatrica dell'Università di Bologna, presidente della Società Italiana di psichiatria;
Dott. Leone Franzi assistente nella clinica pediatrica dell'Università di Milano;
Prof. Guido Landra assistente di Antropologia nell'Università di Roma;
Sen. Luigi Pende direttore dell'Istituto di Patologia speciale medica dell'Università di Roma;
Dott. Marcello Ricci assistente di Zoologia all'Università di Roma;
Prof. Franco Savorgnan ordinario di demografia nell'Università di Roma, presidente dell'Istituto centrale di statistica;
On. Sabato Visco direttore dell'Istituto di Fisiologia generale dell'Università di Roma e direttore dell'Istituto nazionale di Biologia presso il Consiglio nazionale delle Ricerche;
Prof. Edoardo Zavattari direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma.
Alla riunione ha partecipato il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri.
Il Segretario del Partito Achille Starace, mentre ha elogiato la precisione e la concisione della tesi, ha ricordato che il fascismo fa da sedici anni praticamente una politica razzista che consiste -attraverso l'azione delle istituzioni del Regime - nel realizzare un continuo miglioramento quantitativo e qualitativo della razza. Il Segretario del Partito ha soggiunto che il Duce parecchie volte -nei suoi scritti e discorsi- ha accennato alla razza italiana quale appartenente al gruppo cosiddetto degli indo-europei.
Anche in questo campo il Regime ha seguito il suo indirizzo fondamentale: prima l’azione, poi la formulazione dottrinaria la quale non deve essere considerata accademica, cioè fine a se stessa, ma come determinante un’ulteriore precisazione politica.
Con la creazione dell'Impero, la razza italiana è venuta in contatto con altre razze; deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione. Leggi “razziste” in tale senso sono già state elaborate e applicate con fascistica energia nei territori dell’Impero.
Quanto agli ebrei, essi si considerano da millenni, dovunque e anche in Italia, come una razza diversa e superiore alle altre, ed è notorio che nonostante la politica tollerante del Regime gli ebrei hanno, in ogni Nazione, costituito - coi loro uomini e coi loro mezzi - lo stato maggiore dell'antifascismo.
Il Segretario del Partito ha infine annunciato che l'attività principale degli istituti di cultura fascista nel prossimo anno XVII sarà l'elaborazione e diffusione dei principi fascisti in tema di razza, principi che hanno già sollevato tanto interesse in Italia e nel mondo.


Percorsi di lettura

L’invenzione delle razze
di Guido Barbujani

Le razze ce le siamo inventate noi, le abbiamo prese sul serio per secoli, ma adesso ne sappiamo abbastanza per lasciarle perdere. Oggi sappiamo che siamo tutti parenti e tutti differenti, secondo un bello slogan coniato dal genetista francese André Langaney, e non c’è bisogno d’aver fatto studi approfonditi per convincersene. Sul fatto che siamo tutti differenti (a parte i gemelli identici) nessuno, credo, ha dubbi: basta guardarsi un po’ intorno. Quanto al “tutti parenti”, bisogna pensarci un po’ su. Siamo sei miliardi e mezzo sulla Terra, ma fino ai primi dell’ottocento eravamo meno di un miliardo, e intorno ai 150 milioni (milione più, milione meno) duemila anni fa. Ora, come sappiamo bene, ognuno di noi ha due genitori, quattro nonni e otto bisnonni. E’ raro che qualcuno conosca i propri trisavoli, ma sappiamo che erano 16, e così via. Questo significa che, dieci generazioni fa, circa 250 anni fa, ognuno di noi aveva un migliaio di antenati (1024 per la precisione), ognuno dei quali, a sua volta, aveva un migliaio di antenati. Allora, facciamo un po’ di conti. Ciascuno di noi discende da un milione di antenati vissuti al tempo dei viaggi di Colombo, da un milione di milioni di antenati nell’anno mille, e parecchi miliardi dell’epoca di Cristo. Com’è possibile? La risposta è che non è possibile, e cioè che questi sono antenati virtuali e non persone diverse. I matrimoni tra consanguinei restringono il numero di antenati; quando due cugini si sposano, i loro figli avranno 6, e non 8, bisnonni. Perché la nostra genealogia possa stare dentro ai limiti della popolazione umana, siamo costretti ad ammettere che moltissimi dei matrimoni da cui attraverso i millenni deriviamo siano matrimoni fra consanguinei, che magari non lo sapevano, ma che comunque discendevano da antenati comuni. Ma il fatto che ciascuno di noi abbia un numero spropositato di antenati teorici, anche solo mille anni fa, vuol dire soprattutto che molti dei miei antenati erano anche gli antenati di chiunque leggerà questo libro. Non c’è alternativa. Di recente, Douglas Rohde del Massachusetts Institute of Technology ha calcolato che due qualunque di noi hanno un antenato comune vissuto poco più di tremila anni fa. Possiamo scommettere che qualunque sconosciuto è nostro parente, più o meno stretto. Si tratta solo di risalire un po’ nel tempo.
Risalendo nel tempo, abbiamo prove fossili e genetiche che la grande famiglia umana discende da un piccolo gruppo, forse qualche migliaio di persone, che centomila anni fa viveva in Africa. Molti dettagli della loro storia ci sono ignoti, ma centomila anni significano che siamo una specie davvero giovane: la vita sulla Terra ha quasi 4 miliardi di anni. Siamo molto mobili: in quei centomila anni, partendo dall’Africa, abbiamo colonizzato tutto il pianeta. Siamo anche una specie fertile, che nello stesso arco di tempo è cresciuta fino agli attuali sei miliardi e passa di membri. E, oltre a tutto, siamo una specie molto ibrida, le cui popolazioni sono sì state isolate, anche per lunghi periodi, ma si sono incontrate e mescolate più e più volte e anche oggi non stanno mai ferme. Tanto per dirne una, in Sicilia c’erano i siculi e i sicani, poi sono arrivati i greci, poi i romani, i bizantini, gli arabi, i normanni, gli angioini, gli aragonesi, i piemontesi… Ognuno ha lasciato qualcosa, e quando i siciliani sono emigrati in America hanno portato con sé l’eredità dei loro antenati, che forse si mescolerà, lentamente, con quella di antenati arrivati dall’Irlanda,dalla Guinea, dal Messico…
La biodiversità umana, la somma delle differenze congenite fra tutti noi membri della specie umana, è il prodotto soprattutto di questi fenomeni: mobilità, fertilità, e una spiccata tendenza a ibridarci.
Guido Barbujani, L’invenzione delle razze, Bompiani, Milano, 2006