I.INTRODUZIONE
La
proposta, che può anche costituire una integrazione al
manuale, intende soprattutto offrire allo studente l'opportunità
di utilizzare alcune fonti documentarie per indagare un aspetto del
Medioevo, quello del monachesimo occidentale.
Data
l'ampiezza dell'argomento, è stata operata la
scelta di assumere come oggetto della ricerca il monastero
benedettino, di cui sono state individuate alcune tipologie,
nell'arco di tempo compreso tra i secoli VI e XIII.
La
proposta non è esaustiva ma si sforza di offrire elementi e
strumenti documentari per la conoscenza e l'analisi del
fenomeno indagato: l'obiettivo è metodologico più
che informativo.
I
contributi raccolti sotto il titolo
II. LE ORIGINI indirizzano
l'indagine sulle origini del monachesimo occidentale nel
contesto storico e culturale determinato dalla crisi dell'impero
romano e dall'affermarsi della
societas christiana. La
nascita del monastero viene esemplificata prima attraverso due fonti
documentarie che pongono in evidenza l'aspetto "mitico"
delle origini quindi, dalla leggenda e dal mito fondante, l'analisi
si sposta, in
III. I RAPPORTI DEL MONASTERO CON IL POTERE
POLITICO, alla realtà indagata attraverso tipologie di
atti di fondazione, con lo scopo di individuare i soggetti che
concorrono alla formazione dei monasteri. Sono esaminati i rapporti
tra il monastero e il potere politico e il significato della
protezione laica.
Sotto il
titolo
IV. I RAPPORTI GERARCHICI ALL'INTERNO DELLA COMUNITA'
sono raccolte tipologie di documenti che illustrano l'organizzazione
del monastero, le regole, gli statuti, le funzioni, i collegamenti
con le altre comunità, i rapporti dei monaci tra di loro e nei
confronti dell'esterno.
La
formazione della grande proprietà religiosa e la sua gestione
sono l'oggetto di
V. L'AMMINISTRAZIONE, con
una esemplificazione di documenti che attengono a inventari di beni e
a contratti agrari.
In
VI.
LA CULTURA si forniscono materiali per un approccio di analisi
del monastero come polo di vita culturale attraverso
l'esemplificazione di alcuni documenti riguardanti la
biblioteca, il libro, la scuola.
I vari
link dovrebbero agevolare le operazioni di informazione e di
collegamento, rispondendo in modo sintetico ad alcune curiosità
e contemporaneamente consentire allo studente una visione non
parcellizzata del fenomeno indagato.
La
tipologia dei modelli documentari proposti costituisce un riferimento
per il docente; la quantità e varietà, indispensabili
per una corretta operazione di ricostruzione storica, possono
ovviamente essere ampliate.
La
proposta si avvale in gran parte di documenti che provengono
dall'Archivio di Stato di Torino. Nei suoi fondi specifici sono
reperibili molti documenti su fondazioni monastiche che il docente e
lo studente potranno eventualmente consultare.
La scheda
di lavoro che accompagna il singolo documento ha carattere
esemplificativo e suggerisce un possibile itinerario di lettura.
La
proposta, pur caratterizzandosi come un'attività di
storia, sollecita approcci, riferimenti e collegamenti con altre
discipline.
II.
LE ORIGINI
"
Nel
IV secolo, quando Costantino lo sottrae all'ombra della
clandestinità e dall'illegalità, il cristianesimo
si afferma definitivamente come la grande novità religiosa e
ideologica dell'Occidente medievale.Una novità di cui
gli imperatori del IV e V secolo si servono per puntellare la
coesione interna dello spazio imperiale mediterraneo, minato da
ricorrenti crisi militari e istituzionali. Ma la divisione
dell'Impero in due parti, una occidentale facente capo a Roma,
l'altra orientale facente capo a Costantinopoli, ha messo in
moto un processo inarrestabile di lacerazione dell'antica unità
politica e culturale. E, caduta la parte occidentale dell'Impero,
a poco a poco anche il cristianesimo comincia a dividersi: si formano
un cristianesimo latino in Occidente e un cristianesimo greco in
Oriente. [...] A est troviamo un mondo bizantino fastoso,
conservatore delle eredità antiche [...] A ovest sta un mondo
diviso, imbarbarito, mal unificato dalle sue due teste – il
papa e l'imperatore – ma che conoscerà una
straordinaria fioritura economica, politica e culturale, e avvierà
un'espansione sempre più vittoriosa: la cristianità
latina. In Occidente, l'Impero romano non sopravvive
all'invasione e all'insediamento dei popoli, soprattutto
germanici, nonché alla destrutturazione di un'economia
monetaria a lungo raggio d'azione, alla crisi urbana, alla
ruralizzazione dell'economia e della società, alla
pauperizzazione delle masse, e infine alla crisi di valori e di
civiltà che accompagna il declino della cultura antica e la
diffusione del cristianesimo". (Jacques Le
Goff,
Il Medioevo. Alle origini dell' identità
europea, Ed. Laterza, Bari 2001).
Nel
contesto di generale disordine e violenza che caratterizza il regno
di Odoacre, la venuta degli Ostrogoti e il lungo periodo della guerra
greco-gotica il
monachesimo
appare come una forza equilibrata e costruttiva. Monachesimo
irlandese e monachesimo benedettino segnano profondamente la società
europea diventando punto di riferimento in un mondo in cui le
strutture politiche e sociali si stanno inesorabilmente deteriorando.
Benedetto
da Norcia è l'interprete più alto
del monachesimo che ha come ideale la ricostruzione di una società
fondata sull'amore, sulla solidarietà, sulla preghiera,
sull'uguaglianza sociale, sul lavoro.
"
Il
monachesimo medievale oscillò tra due poli: un polo
penitenziale, che attribuiva una grande importanza al lavoro manuale
sia come forma di penitenza sia come mezzo che permetteva di
raggiungere l'autosufficienza economica, e quindi di evitare i
contatti con l'esterno [...] e un polo liturgico, che
privilegiava l'opus Dei, il servizio di Dio, le funzioni, le
preghiere, il lusso delle cerimonie che rendevano omaggio a Dio: un
campo in cui eccelse Cluny.
Tra
questi due poli i benedettini seppero per lungo tempo mantenere in
equilibrio i due piatti della bilancia: il lavoro manuale e l'opus
Dei, l'attività economica e il lavoro intellettuale e
artistico.
[...]
L'organizzazione monastica fornì inoltre dei modelli per
la misurazione e il dominio del tempo. La divisione della giornata in
ore canoniche segnate dai differenti uffici è un esempio di
scansione del tempo offerto alla vita quotidiana; e la comparsa delle
campane, che si diffondono nel VII secolo, farà vivere per
secoli la cristianià al ritmo di quello che è il tempo
della Chiesa." (J.Le Goff op.cit.)
Una ricca
e varia bibliografia, spesso caratterizzata da studi ampi e rigorosi,
analizza le comunità religiose dell' Alto Medioevo.
Molti
presentano la storia della fondazione dei monasteri considerandola
dall'angolatura del potere politico ed economico, altri ne
evidenziano gli aspetti sociali e culturali, altri ancora
attribuiscono all'esigenza di preghiera e di elevazione
spirituale il motivo della loro nascita.
La
tradizione mitica delle origini.
S.
Pietro di Novalesa
Nel 726
Abbone fonda l'abbazia della Novalesa. La storia del cenobio
vive lo splendore dell'età carolingia, l'invasione
saracena, il trasferimento in Lombardia, la trasformazione, il
ritorno.
La sua
storia è narrata da un anonimo cronista, monaco dell'abbazia,
che nel 1060 circa scrive il componimento noto come
Chronicon
Novaliciense (
Cronaca dell'Abbazia di S.Pietro di
Novalesa).
Si tratta
di un rotolo di pergamena, formato da 28 fogli cuciti uno di seguito
all'altro, e comprende 5 libri, parte dei quali è andata
irrimediabilmente perduta. E' conservato nell'A.S.T.
L'edizione moderna a cui si fa riferimento in questa sede è
quella curata da G.C.Alessio, Einaudi, 1982.
Il monaco
novalicense racconta la storia del suo monastero arricchendola di
particolari fantastici e di aneddoti: la rivisita cioè
facendone un racconto prodigioso ed edificante. La realtà
diviene subalterna alla leggenda.
"Ma l'immagine che
del cenobio essa ci offre non è (o non è soltanto) il
risultato del gioco fra la traccia più debole del ricordo
storico e il lavoro di pura fantasia. V'è, nell'appello
al prestigio del passato il recupero consapevole di una tradizione in
funzione di interessi precisi di propaganda dell'istituzione,
che prende spunto e s'inserisce nel più ampio e
intenzionale ricupero e strumentalizzazione ideologca delle
tradizioni carolinge [...] La cronaca si fa storiografia militante"
(G.C.Alessio, op. cit.)
Sotto le
coloriture vivaci e fantastiche lo studioso vi trova materiali
straordinari per la conoscenza della cultura religiosa, della
politica, dell'economia, della toponomastica, della
letteratura, dell'arte, della mentalità.
DOC. 1
Cronaca
dell'Abbazia di S. Pietro di Novalesa, 1060 ca.
Rotolo
membranaceo, cm. 8,5 (11) x 1170
A.S.T.,
Corte, Museo storico
foto
Libro
I, Cap. 4
"
[...]
fra gli altri membri della famiglia di Nerone che avevano abbracciato
la fede cristiana e la legge evangelica v'era una matrona
romana nobile e ricca, parente, anzi, dell'imperatore, di nome
Priscilla, la quale, conoscendo l'intenzione di Cesare, che era
di sterminare i Cristiani e di cancellare dalla faccia della terra
la gloria dei Cristiani e il santo nome di Gesù Cristo, con un
onorevole pretesto si ritirò in Piemonte, nella città
di Susa, presso Burro, suo parente e governatore di tutto il Piemonte
(e, come si crede, suo fratello), grande protettore dei Cristiani e
cristiano egli stesso. Partendosi da Roma , ella condusse con sé
un folto gruppo di persone segretamente cristiane, fra cui v'erano
due uomini apostolici di nome Elia e Mileto, che fin dalla Palestina
avevano seguito a Roma san Pietro apostolo. [...] Priscilla e la
santa compagnia giunsero a Susa, dove furono i benvenuti e accolti
cortesemente da Burro e dai cittadini di Susa [...] Vi soggiornarono
per qualche tempo, fino a che presero conoscenza del paese: trovarono
allora molto gradevole la valle della Novalesa, subito vicina (e i
suoi abitanti cortesi e benevoli, e d'una bontà
spontanea e di piacevole aspetto) e adatta a ritirarvisi per
attendere al servizio di Dio. Elessero dunque la detta valle per
farne loro dimora e, non meno cortesemente che in Susa, furono
ricevuti dai suoi abitanti, che li accolsero nel loro numero come
liberi cittadini del paese, li resero partecipi dei loro fondi e beni
e li nutrirono convenientemente, fornendoli di tutto quanto era
necessario per il loro sostentamento; e poiché erano stati
condotti lì dallo Spirito Santo per la salvezza di quella
regione, da genti apostoliche quali erano, che vivevano in terra col
corpo e con lo spirito in cielo, essi si scelsero un luogo remoto
della regione, dalla parte del mezzogiorno, ai piedi di una foresta
grande e su di una costa lontana dal passaggio degli stranieri, dove
c'era una torre alta e possente e senza dubbio delle abitazioni
nei dintorni. Tutto questo fu loro elargito dai Nemaloni (probabili
abitanti della zona di Barcellonette, n.d.traduttore),
che
di buon grado cedettero senza riserva il luogo e continuarono a
fornire ogni cosa che fosse necessaria per il loro sostentamento.
[...]Quando
vennero a sapere della morte (di San Pietro) innalzarono una chiesa
in suo onore e la chiamarono chiesa di San Pietro apostolo, e
tutt'oggi essa ne conserva il nome. Dopo che i santi romani si
furono stabiliti là [...] mutarono il nome degli abitanti del
luogo e chiamarono il paese ‘Novalicio' e gli abitanti
‘Novaliciensi' per indicare il luogo e gli uomini della
nuova legge e della nuova luce".
SCHEDA
DI LAVORO
- Perché,
secondo te, il cronista attribuisce la fondazione dell'abbazia
a un gruppo di cristiani fuggiti da Roma?
- A
quale momento storico e a quali avvenimenti si riferisce la frase
"l'intenzione di Cesare era di sterminare i
Cristiani..."?
- Perché
il cronista insiste sull'accoglienza degli abitanti di
Novalesa?
- La
data della fondazione dell'abbazia, anno 726, viene spostata
dal cronista al I secolo. Quale può essere, a tuo parere, il
motivo per cui la data è stata anticipata?
S.Michele
della Chiusa
Alla fine
del X secolo, presumibilmente tra il 983 e il 987, nasce, dalle
esigenze della cultura del pellegrinaggio, l'abbazia di S.
Michele della Chiusa. La fonda, sul monte Pirchiriano, all'imbocco
della Val di Susa, un aristocratico francese, Ugo di Montboissier.
Di fronte
al Pirchiriano, sul monte Caprasio, esisteva all'epoca una
piccola comunità eremitica guidata dal monaco Giovanni
Vincenzo. Oscurata dal prestigio della più potente abbazia,
essa scomparve ben presto ma il culto e il ricordo del santo eremita
restò vivo tra le popolazioni della valle. E fu allora che i
monaci di S. Michele assorbirono nella loro tradizione la figura di
Giovanni Vincenzo e inserirono la sua storia nella leggenda della
fondazione del monastero.
Il
documento che segue è un disegno, copia di un affresco più
antico, oggi perduto, che si trovava sulle pareti dell'abbazia.
Racconta, in sequenza, la leggenda della fondazione: all'eremita
appare in sogno l'arcangelo S. Michele che lo invita a
costruire un monastero. Il santo inizia l'opera, ma durante la
notte angeli e colombe trafugano il materiale e lo trasportano sul
monte di fronte, il Pirchiriano, scelto da Dio come sede della nuova
comunità monastica.
DOC. 2
Piano
del modo miracoloso col quale è stato costrutto il monastero
di S. Michele della Chiusa
Disegno,
fine sec. XVI
A.S.T.,
Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S. Michele della Chiusa, m.1,
fasc. 2
Dati per
la lettura del documento:
foto1,
foto2,
foto3,
foto4
- Il
personaggio sulla sinistra del disegno è il fondatore che
esce da Susa
- Nella
parte centrale è raffigurato il vescovo di Torino Amizone. Il
fuoco è riferito a una sua visione e indica la consacrazione
divina
- Nella
parte destra è narrata la leggendaria costruzione a opera di
Giovanni Vincenzo
SCHEDA
DI LAVORO
Elementi
da osservare:
Parte
sinistra:
- abbigliamento
di Ugo di Montboissier, della moglie Isengarda, del servo al seguito
- bardatura
dei cavalli
- rappresentazione
della città di Susa
- paesaggio
- cartiglio
che recita:"Montbusseri princeps fundator monasteri Santi
Michaeli (et) uxor eius"
Parte
centrale:
- corteo
del vescovo Amizone e dei funzionari che lo accompagnano:
abbigliamento, insegne, caratteristiche dei personaggi
- fuochi
- architettura
dell'abbazia (cf con l'aspetto attuale)
- paesaggio
- angeli
e colombe
Parte
destra:
- l'eremita
nella grotta, l'abbigliamento, i simboli
- il
sonno e il sogno
- il
lavoro dell'eremita, gli attrezzi
- l'azione
degli angeli e delle colombe
- la
figura dell'arcangelo S. Michele al centro. Il cartiglio
recita: "Locum nam ilum in sende elegi multis equidem >pro
futurum hic habitabo quoniam elegi ea"
- l'altra
figura di S. Michele con il cartiglio su cui è scritto:
"Jovannes sequere me"
- i
due cartigli nella parte superiore. Quello di destra recita:
"Post modum santi Michael ostedes sante Jovannes montem
Pischarearum in quo ligna eum parata sunt et translata ab angelis et
columbe"; quello di sinistra: "Angeli et columbe
a portantes trabes et dolaturas de cela ad munten Pischarearum"
- il
paesaggio
- gli
edifici
III.
I RAPPORTI DEL MONASTERO CON IL POTERE POLITICO. ATTI DI FONDAZIONE.
PROTEZIONE LAICA
Alla
formazione delle comunità monastiche concorsero persone
diverse. I documenti di fondazione consentono di individuare
fondazioni vescovili e fondazioni laiche: queste ultime risultano
essere le più diffuse, a opera di sovrani o di famiglie
signorili. E' quest'ultima la tipologia presa in
considerazione nella presente proposta didattica.
"
Le
famiglie aristocratiche fondavano monasteri per munire di punti di
riferimento concreti ed efficaci il loro controllo territoriale:
proteggendo i monasteri, immettendo in essi propri membri, le grandi
famiglie mostravano di non considerarli affatto luoghi separati dal
mondo, ma anzi centri di organizzazione del consenso. I monasteri
erano luoghi importanti per la religiosità popolare:
presentarsi come loro protettori procurava legittimazione a poteri
signorili in cerca di assestamento. Inoltre le famiglie signorili
rimediavano alla dispersione, causata dalla ramificazione, appunto
mantenendo l'identificazione in comunità monastiche:
collocare nei monasteri membri di diversi rami, promuovere in essi
occasioni varie di incontro erano comportamenti correttivi della
dispersione, mantenevano una consapevolezza unitaria in gruppi
familiari ampi e frastagliati" (G. Sergi,
L'idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, Donzelli
Ed., 2005)
I
documenti 3 e 4 costituiscono esempi di fondazioni laiche.
DOC. 3
Abbone,
rettore di Moriana e di Susa, nomina Godone abate del monastero dei
S.S. Pietro e Andrea da lui fondato in Novalesa definendone le
attribuzioni, 30 gennaio 726
Pergamena,
cm. 64 x 51
foto
A.S.T.,
Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S. Pietro di Novalesa, m.1,
Museo
Abbone è
rector di Moriana e di Susa, ha nella zona responsabilità
pubbliche; è membro di una ricca e importante famiglia franca
legata a Carlo Martello: esponente quindi dell'aristocrazia
dominante ed è questa sua posizione sociale a determinare
l'interessamento carolingio per l'abbazia.
Redatto
in forma solenne, l'atto viene sottoscritto oltre che da Abbone
da quattro vescovi, due abati, un arcidiacono e altri chierici.
L'analisi
dello studente è indirizzata a una parte del documento
(C.Cipolla,
Monumenta Novalicensia vetustiora)
"
Abbone,
rettore di Maurienne e di Susa [...] avendo edificato nel territorio
susino un monastero dedicato ai santi Pietro e Andrea, ponendovi ad
abbate Godone, col consenso dei vescovi, principi e abati, e dei
cleri di Maurienne e di Susa, concesse al detto monastero che né
egli stesso, né i suoi successori, né persona alcuna
dei cleri indicati abbia autorità sul monastero stesso,
salvoché quella di dare, sopra richiesta, le ordinazioni e le
benedizioni ai preti, ai diaconi e agli altari; [...] procedano i
monaci della Novalesa col monastero di'Viceria' nel
territorio di Grenoble in guisa, che se, morto l'abbate di uno
dei due monasteri, non vi si trovasse persona degna a surrogarlo, si
trascelga nell'altro monastero; egualmente se un monaco di uno
dei due monasteri commette scandalo, vada nell'altro a far
penitenza, com'è pur detto nel privolegio del monastero
di ‘Viceria'; sorgendo discordia in uno dei due
monasteri, l'altro monastero richiami e punisca l'errante..."
SCHEDA
DI LAVORO
foto
- Perché
Abbone si preoccupa di esentare i suoi monaci, entro i limiti
consentiti, da ogni autorità laica e religiosa?
- Quali
ritieni fossero i rapporti tra il monastero di Novalesa e quello di
Viceria presso Grenoble?
- Quali
sono i casi, previsti dal documento, in cui si attuano azioni di
mutuo soccorso, collaborazione e amicizia tra i due monasteri?
- Osserva
la cartina:
- Definisci
la posizione geografica dell'abbazia
- La
scelta del luogo per la costruzione da che cosa è stata
determinata?
- Leggi
l'analisi che lo storico G.Sergi fa rispetto al rapporto fra
potere e vie di comunicazione: "S.Pietro di Novalesa nacque
come piccolo avamposto religioso e culturale del mondo carolingio
proiettato verso il regno dei Longobardi; espressione soprattutto di
una politica di frontiera, stradale in quanto quella frontiera
avanzava sull'asse di un grande passaggio naturale e di una
grande strada romana mai abbandonata e su cui i monaci novalicensi
esercitarono precocemente il commercio e l'assistenza ai
viaggiatori". (G.Sergi, L'aristocrazia
della preghiera. Politica e scelte religiose nel medioevo
italiano, Donzelli, Roma 1994). Spiega il significato di
questo testo.
- All'inizio
del sec.IX Ludovico il Pio sottrae ai possedimenti della Novalesa
alcuni terreni e su di essi fonda l'ospizio del Moncenisio per
la cura dei pellegrini. G.Sergi inserisce il fatto in un "sistema"
di assistenza voluto e tutelato dal regno franco. Che cosa significa
in questo caso l'espressione "sistema"?
- Considera
l'estensione del territorio che comprende i possedimenti
dell'abbazia al di là delle Alpi. In che modo, secondo
te, l'abbazia di Novalesa poteva tenere i rapporti con quelle
terre?
DOC. 4
Il
vescovo di Asti Alrico, suo fratello il marchese Olderico Manfredi e
la contessa Berta, moglie del suddetto marchese, fondano il monastero
di S.Giusto di Susa e gli donano un terzo dei loro beni nella valle,
9 luglio 1029
Pergamena
cm. 75 x 50
A.S.T.,
Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S.Giusto di Susa, m. 1, Museo
L'atto
di fondazione è lungo e dettagliato e viene steso dal notaio
alla presenza di autorevoli testimoni nel corso di una solenne
cerimonia.
Si
riportano alcuni brani del documento:
"
Per
amore e timore di Dio vogliamo costruire un monastero dove esista per
sempre un gruppo di monaci i quali di giorno e di notte preghino per
noi, per i nostri genitori, per i nostri figli e le nostre figlie
[...] per tutti i parenti di ambo i sessi, così anche per i
nostri fedeli vivi e morti, affinché esse giungano al Creatore
ed egli nella sua clemenza cancelli le nostre colpe, ci faccia
perseverare nelle buone azioni e ci renda partecipi della vita
eterna, insieme ai santi"
[...]
"
fermamente
ordiniamo che in nessun modo questo monastero passi sotto il
controllo di qualche vescovo, di qualche altro monastero o di
qualsiasi altra persona"
[...]
"
dopo
la nostra morte, se avremo lasciato un figlio maschio nato dal nostro
matrimonio, a lui sia concesso il diritto di designare l'abate.
E dopo il primo, il secondogenito, e dopo il secondo il terzo, e così
uno dopo l'altro abbiano questo diritto"
(
Nota:
l'atto elenca con cura meticolosa il passaggio del diritto alla
linea femminile nel caso vengano a mancare anche pronipoti maschi)
[...]
"
abbiamo
eletto e consacrato abate un monaco di nome Domenico, devoto a Dio e
degno della misericordia di Cristo, conoscitore della regola, il
quale, avendo condotto fin dall'infanzia la vita monastica,
dimostra di essere preparato e nutrito di questa dottrina".
SCHEDA
DI LAVORO
- Analizza
i brani del documento e confrontali con il testo iniziale di G.Sergi
e il seguente di C.H.Lawrence. Quali aspetti caratteristici delle
fondazioni private elencate dai due storici vi ritrovi? (sentimento
religioso, valore della preghiera estesa ai vivi e ai defunti,
organizzazione del consenso, legittimazione del potere, coesione del
gruppo familiare, controllo dei possedimenti donati, diritto di
eleggere l'abate...)
- Quale
significato hanno i ripetuti riferimenti alla dinastia e la menzione
esplicita degli avi e dei parenti dei fondatori?
- Per
quale motivo i fondatori di S.Giusto eleggono come abate il monaco
Domenico? Quali caratteristiche ne fanno la persona adatta
all'incarico?
- Che
cosa può significare il fatto che l'abate ha condotto
la vita monastica fin dall'infanzia?
Privilegi
e dotazioni
La
concessione di immunità fiscali e di privilegi è
espressa, nei documenti imperiali e signorili, con formule complesse,
in cui si mescolano senso religioso e politica. Lo scopo principale è
quello di salvare l'anima del benefattore e quella dei parenti
(
pro bono animae, pro remedio animae).
"
I
regnanti medievali condividevano con il loro popolo le comuni
credenze dottrinarie sull'economia della salvezza. Il merito
che proveniva a un individuo dalla preghiera e dalle buone opere
poteva essere applicato ad altri, e non solo a persone viventi, ma
anche ai morti. Fondare e
fare
donazioni a una comunità di monaci significava assicurare al
donatore un patrimonio incessante di intercessioni e sacrifici che
sarebbero serviti a lui e ai suoi parenti sia in vita che dopo la
morte." (C.H.Lawrence,
Il monachesimo
medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San Paolo Ed.,
Milano 1993)
I
documenti ci dicono che Carlomanno, Carlo Magno, Lotario proteggono
con
diplomi la fondazione
dell'abbazia di Novalesa.
Il
documento di cui è riportata la fotografia è uno dei
primi di una lunga serie di donazioni e privilegi concessi dai
sovrani carolingi all'abbazia. In esso il re dei Franchi
Carlomanno rende noto ai vescovi, abati, conti, vicari, messi che, su
richiesta dell'abate novalicense Asinario, ha concesso al
monastero l'esenzione del
teloneo (tassa sul transito
delle merci) e di altre imposte. Il riconoscimento di immunità,
l'esenzione dai pedaggi, la protezione commerciale
costituiscono la base della successiva ricchezza e potenza
dell'abbazia.
foto
DOC. 5
Diploma
di Carlomanno, re di Francia, di esenzione da ogni diritto di
pedaggio a favore dei monaci di S.Pietro della Novalesa, Ottobre 769
Pergamena,
cm. 22 x 63
A.S.T.,
Corte, Museo storico
La
Cronaca di Novalesa cita un lungo soggiorno di Carlo Magno
nell'abbazia.
Sceso in
Italia per combattere i Longobardi
"dopo aver occupato coi
suoi tutta la valle di Susa, il re [...] giunse al famosissimo
cenobio novalicense, dove si fermò tanto a lungo da consumare
in cibo tutti i beni e le provviste dei monaci. Non vi si tratteneva
senza ragione: in quei giorni il monastero era eccezionalmente
opulento, pieno d'ogni ricchezza e dal suo santissimo abate
provvidamente era stato disposto" (Libro III, 8)
Ancora la
Cronaca riferisce la presenza nel monastero del figlio di Carlo
Magno, Ugo, che fu monaco e poi abate.
Con un
testamento articolato e minuzioso Abbone nel 739 lascia all'abbazia
di Novalesa i suoi beni: un vastissimo territorio al di qua e al di
là delle Alpi con campi, vigne, pascoli, boschi, cascine,
coloni liberi e servi.
Nella
Cronaca troviamo una "rivisitazione" del testamento che
si colloca, ancora, nell'alveo della fondazione mitica.
DOC. 6
Cronaca
dell'Abbazia di S.Pietro di Novalesa, 1060
Rotolo
membranaceo, cm 8,5 (11) x 1170
A.S.T.,Corte,
Museo storico
Libro
II, Cap. 18
"
Quell'uomo
illustrissimo e del tutto informato a Dio nei pensieri e nelle azioni
che fu il più volte ricordato patrizio, quando, con piena
donazione concesse al beato Pietro e al monastero novaliciense parte
delle sue ricchezze, terreni, servi e ancelle e, come sopra abbiamo
detto, lo istituì suo erede con animo devoto, temendo che
nello scorrere lungo degli anni il monastero fosse talora devastato
da una qualsiasi gente-il che, ahimè, leggiamo essere avvenuto
per ben tre volte- comandò che con marmi bianchissimi e con
pietre di diverso genere fosse innalzato nella città di Susa ,
contro il lato esterno delle mura, un arco di mirabile bellezza e
altezza, sotto il quale si prendeva la strada con cui si andava,
seguendo l'acquedotto, fino alla fortezza di Vienne. Su di
esso, e da entrambi i lati, fece iscrivere quali beni e in quale
misura aveva lasciato, nella stessa città e in tutta la valle,
al beato Pietro, suo erede, in modo che, qualora fosse avvenuto che
per invidia o istigazione del diavolo, il monastero venisse
distrutto, i monaci che avessero voluto tornarvi per abitare e per
riedificarlo, sapessero, leggendolo sull' arco, quali
possedimenti dovessero spettare a quel luogo. E per questo ancora
volle quel padre attentissimo far iscrivere l'arco di cui si
disse, perché, quanta più gente leggesse l'iscrizione,
tanto meno venisse occultata la gloria del monastero; cioè,
perché coloro che dall'Italia erano in cammino verso la
Gallia avessero sopra di sé, ben squadernata dinanzi agli
occhi, quella scritta; e similmente, perché coloro che dalla
Gallia prendevano la strada verso l'Italia avessero dall'altra
parte dell'arco di che poter leggere, e perché, infine,
i monaci del cenobio stesso sempre sapessero che cosa egli vi aveva
un tempo lasciato. Ordinò che le medesime iscrizioni fossero
poste in tutte le corti e villaggi, dove rimangono fino ai nostri
giorni."
SCHEDA
DI LAVORO
Nota
L'Arco
di Susa fu eretto nel 13 a.C. a ricordo dell'alleanza tra
Augusto e Cozio.
Nell'iscrizione
erano riportati i nomi delle popolazioni soggette a Cozio. Posta su
entrambe le facciate dell' Arco la scritta poteva essere letta
sia dal viaggiatore diretto verso la Gallia sia da quello che ne
proveniva. Le lettere bronzee che la componevano furono asportate dai
barbari; è stata ricostruita seguendo i segni dei fori e degli
incavi lasciati dalle lettere.
- Confronta
la descrizione che il cronista fa dell'Arco di Susa con una
sua immagine: ti sembra veritiera? Questo che cosa può
significare?
- Nel
suo testamento Abbone elenca minuziosamente i beni che lascia
all'abbazia di Novalesa. Perché l'autore della
cronaca definisce come possedimenti di Abbone i territori in realtà
governati da Cozio?
- Come
spieghi la preoccupazione del cronista di sottolineare la necessità
che la dotazione di Abbone fosse resa nota a molti e in luoghi
diversi?
Numerose
sono le attestazioni di donazioni private.
Maria,
figlia di Maginario, dona all'abbazia di Novalesa alcuni suoi
possedimenti in Savoia (1036); Pietro Salnerio e sua moglie Margarita
donano al monastero di S. Giusto una casa per lire 31 di Susa (1217);
Pietro Granatero lascia nel testamento disposizioni perché i
suoi beni vengano dati al monastero suddetto per "
pane e
mantenimento di un confratello" (1282).
I
documenti citati sono reperibili presso l'A.S.T.
IV.
I RAPPORTI GERARCHICI ALL'INTERNO DELLA COMUNITA'. LA
GESTIONE DEL QUOTIDIANO
La
Regola benedettina
Nella
stesura della sua Regola S.Benedetto si ispirò a fonti coeve e
precedenti, che egli elaborò in modo personale.
Composta
da un Prologo e da 73 Capitoli la Regola definisce nei minimi
particolari l'organizzazione della comunità monastica. I
principi fondamentali sono tre: la
stabilità, che
esclude l'usanza del monaco girovago imponendo la vita fissa
nel monastero; l'
orario: il rispetto per il tempo, parte
importante della vita e dono di Dio, si concretizza in precise
disposizioni che stabiliscono orari per la preghiera, per la lettura
sacra, per il lavoro, per il riposo; l'
uguaglianza per
tutti nei diritti e nei doveri: in un'epoca dilaniata dall'odio
e dalle guerre S.Benedetto chiede pace e riconciliazione tra latini e
barbari.
La
genialità della Regola benedettina sta nell'autorità,
la forza unitaria che fa del monastero un organismo funzionante in
modo perfetto. Il principio dell'ordine che regna nel monastero
è infatti l'autorità paterna del suo capo,
l'abate, che si esprime però nella caratteristica della
discretio. L'autorità è principio di vero
ordine perché rispetta la persona, ne comprende le doti e le
debolezze: è "discreta". L'autorità
richiama l'obbedienza: nell'accettazione docile della
volontà dell'abate il monaco è protetto
dall'orgoglio spirituale e dall'autocompiacimento.
L'abate è maestro, confessore, guida spirituale; come
pastore della comunità è responsabile di tutti i suoi
monaci e la Regola lo mette in guardia continuamente contro la
tentazione di esercitare la sua autorità in modo tirannico o
troppo duro e lo invita a considerare se stesso, nell'esercizio
del potere, non un padrone ma un servo, un padre che deve farsi amare
più che temere.
L'abate
è scelto dai suoi confratelli e governa con l'aiuto di
collaboratori addetti a vari uffici, tutti conferiti da lui e a lui
direttamente sottomessi.
Il motto
benedettino
Ora et labora sintetizza l'ideale di vita
nel monastero.
La Regola
di S.Benedetto ha il suo futuro nei monasteri a nord delle Alpi, nei
regni germanici e soprattutto in Gallia dove s'incontra con
altre Regole, non sempre ben codificate, presenti nelle varie
comunità.
La Regola
di S.Colombano, molto rigida e austera, a contatto con quella di
S.Benedetto si mitiga, dando origine a una "Regola mista"
seguita nei monasteri della Gallia e in quelli iberici del VII
secolo.
Nel IX
secolo la Regola benedettina diventa l'unico modello di
osservanza monastica: sotto il regno di Ludovico il Pio essa è
infatti applicata nei monasteri di tutti i domini carolingi a nord
delle Alpi.
La
preghiera del monaco
Il primo
impegno del monaco benedettino è la preghiera fatta in comune,
il canto in coro del servizio divino, che Benedetto chiama
opus
Dei. Suddivisa in otto uffici recitati in precise ore del giorno,
la preghiera inizia nella notte, tra le due e le tre, con il canto
dell'ufficio di
Notturno (o
Mattutino); seguono
le
Lodi, alle prime luci dell'alba, quindi gli uffici di
Prima, Terza, Sesta e Nona ora durante il giorno, a brevi
intervalli l'uno dall'altro; seguono i
Vespri,
l'ufficio della sera, e
Compieta, quello del tramonto.
Nell'arco della settimana è recitato l'intero
Salterio, che comprende 150 Salmi, nelle varie forme della
salmodia:
alternarsi di due cori, solista e coro, solo coro.
All'obbligo
della preghiera si accompagna quello della meditazione e della
lettura sacra, che Benedetto definisce
lectio divina.
L'orario
estivo prevede 7 ore di lavoro e 3 di lettura; in inverno è
accorciato il tempo dedicato al lavoro e allungato quello della
lettura.
DOC.7
Regola
di S.Benedetto
II –
Qualis debeat esse abbas
- Abbas
nihil extra praeceptum Domini quod sit debeat aut docere aut
constituere vel iubere,
- sed
iussio eius vel doctrina fermentum divinae iustitiae in discipulorum
mentibus cospargatur,
- memor
semper abbas quia doctrinae suae vel discipulorum oboedientiae,
ultrarumque rerum, in tremendo iudicio Dei facienda erit discussio
23.
In doctrina sua namque abbas apostolicam debet illam semper formam
servare in qua dicit:
Argue, obsecra, increpa,
24.
id est, miscens temporibus tempora, terroribus blandimenta, dirum
magistri, pium patris
ostendat affectum
V –
De oboedientia
16.
Et cum bono animo a discipulis praeberi oportet, quia
hilarem
datorem diligit Deus
VI –De taciturnitate
6. Nam loqui et docere magistrum condecet, tacere et audire
discipulum convenit
7. Et ideo, si qua requirenda sunt a priore, cum omni humilitate et
subiectione reverentiae
requirantur.
SCHEDA DI LAVORO
I brani
della Regola sono proposti nel testo originale. Lo studente può
eseguirne la traduzione.
Un
esempio di organizzazione di un monastero
La
complessità dell'organizzazione di un monastero
richiedeva una complessa suddivisione di compiti: ogni mansione
affidata dall'abate era chiamata oboedientia e il monaco
che l'esercitava era detto oboedientiarius.
Un
esempio significativo dell'organizzazione di un monastero
benedettino e dei rapporti gerarchici al suo interno è offerto
dal documento che segue.
DOC. 8
Statuti
fatti dall'Abate Wala pel buon reggimento del Monastero di
S.Colombano di Bobbio , 833 circa
Pergamena
A.S.T.,
Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S.Colombano di Bobbio, cat.
1^, m.1, n.9
"Statuti
fatti dall'abate Vuala pel buon reggimento del monastero di San
Colombano di Bobbio" circa 833
Archivio di
Stato di Torino
Corte, Materie
ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat I' - mazzo l,
n. 9.
Traduzione
(...) Il primo
preposto venga dopo l'abate nel monastero, dentro e fuori, e
queste siano le cose su cui principalmente abbia potere e cioè
tutto quanto riguarda i lavori dei campi, delle vigne e degli
edifici, sui vasari, pastori e tutti gli altri monasteri
esistenti in questa valle, ad eccezione di quelli che sono
attribuiti alle competenze di altri frati, sia tutte le corti
(...) che riguardano il compenso, cavalli domiti e selvaggi, ed egli
attribuisca le mansioni nel monastero, secondo la necessità.
Il decano
abbia soprattutto cura, dentro e fuori, della conversazione dei
frati e sia quotidianamente in obbedienza con loro e, nel caso
manchi l'abate o il preposto, tutto sia di sua competenza.
Il custode
della chiesa provveda ai lumi e ad ogni ornamento della stessa,
abbia competenza sugli orari e riceva le elemosine giunte ai frati.
Il
bibliotecario abbia cura di tutti i libri, letture liturgiche
e altri scritti.
Il custode
delle carte abbia cura di tutte le testimonianze scritte dei
diritti del monastero.
Il cellerario
provveda a tutto ciò che riguarda il cibo e le bevande
dopo che siano state portate nel monastero, ad eccezione del
pane e della frutta e li distribuisca; a lui faccia riferimento
tutto ciò che avviene nel refettorio e nella cucina.
Il cellerario
della famiglia provveda alle bevande dei sottoposti al preposto.
Il cellerario
giuniore si occupi del refettorio e delle stoviglie.
Il custode
del pane provveda alla quantità di grano dopo che esso
sia giunto al monastero, ai pani e ai mugnai.
Il portiere
riceva per primo tutti gli ospiti e li annunci, riceva le
decime di tutto e di esse, secondo quanto stabilito, destini la
quantità per l'ospedale dei poveri.....
Gli ospitalieri
dei religiosi ricevano coloro che debbono venire in refettorio e
ricevano ugualmente coloro che risiedono nell'ospedale.
L'ospitaliero
dei poveri li riceva e si prenda cura di loro e riceva per loro
i soldi dal portiere.
Il custode
degli infermi provveda a loro con i suoi aiutanti.
Il cantore
abbia cura di tutto ciò che attiene al canto.
Il primo
cameriere si occupi di tutti i vestiti e dei panni per i diversi
usi dei frati e delle scarpe e dei guanti e si occupi dei
confezionatori di scarpe e vestiti e dei conciatori di pelli e dei
calderai, ripartisca il loro lavoro e gli spazi assegnati alle
attività e nei riguardi di questi le cose dette sono da
esigere, (si occupi) di tutti i vasi di bronzo (o di rame) che sono
stati dati in uso ai frati.
Il cameriere
dell'abate abbia cura di tutti i fabbri, fabbricatori di scudi,
di selle, gli addetti ai tomi, i fabbricanti di pergamene,
forgiatori, e provveda a tutti gli arnesi.
Il preposto
giuniore sopraintenda a tutti i lavori e a tutti gli operai,
meno quelli che sono destinati a lavorazioni differenti.
Il maestro
carpentiere si prenda cura di tutti i maestri di legno e di
pietra, ad eccezione di quelli deputati ad altre lavorazioni cioè
quelli che fanno botti e barili, scrigni e mulini, case e mura.
Il custode
delle viti provveda alle vigne.
L'ortolano
si prenda cura degli orti.
(Altri
officiali del monastero): i decani giuniori. i perlustratori.
Gli accenditori di lumi, il custide dei pomiInventario
dei beni, terre e redditi
spettanti al
monastero di San Colombano di Bobbio 862
Archivio di
Stato di Torino
Corte, Materie
Ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat. l a - mazzo
l.
Traduzione
... A proposito
dei nuclei dipendenti esterni al monastero
A Genova la
Chiesa in onore di S. Pietro può raccogliere per ogni anno lO
moggi di castagne, 8 anfore vino in tempo propizio, 40 libbre di
olio, vengono comprate annualmente per l'uso dei frati, 100 catene
di fil 200 cedri, 4 moggi di sale, 2 congi di gara (salsa di pesce),
100 libbre di pece; ha 6 massari che curano la vi: e portano al
monastero il censo di cui si è detto.
In Comorga e
Scaona la "cella" del monastero, in onore di S. Giorgio,
può seminare per ogni anno 30 ma) avere 15 anfore di vino in
tempo propizio, 12 carri di fieno, 20 moggi di castagne, 20 libbre
di olio. Sono lì massari che fanno a dovere ciò che è
stato loro comandato e dieci di loro pagano l soldo, 9 polli e delle
uc Uno invece porta un maggio di castagne, 12 congi di vino; i
livellari sono 8, portano 2 anfore di vino, l moggio di grano, 27
denari. Ci sono nel medesimo tempo 26livellari e massari, portano 18
anfore e mezza di vino I allo stesso modo che con)a casa rustica con
l'orto (...) 3 soldi, 9 polli e uova.
Congio:
misura romana per i liquidi, equivalente a litri 3,283.
Libellarius:
tardo latino. Il livellario è il soggetto in cui favore
viene disposta la concessione della terra nel contratto di livello.
Livello:
contratto agrario, diffuso nel Medioevo, per il quale una terra
veniva concessa in godimento per un certo periodo di tempo a
determinare condizioni (dal latino lihf'llus,
libretto-contratto).
Foto E
SCHEDA
DI LAVORO
Nota
Nella
loro opera di evangelizzazione i monaci irlandesi crearono monasteri
in tutta l'Europa. In Italia S. Colombano ottenne dal re
longobardo Agilulfo, presumibilmente tra il 612 e il 615, il
territorio di Bobbio, presso Piacenza, dove fondò un
monastero. Strategica era la sua posizione che consentiva il
controllo della strada per Roma.
- Quali
sono le persone che vivono e lavorano nell'abbazia?
- Quali
mansioni svolgono? Indicale rispetto a: agricoltura, allevamento,
pastorizia, artigianato
- Ci
sono lavori eseguiti da persone estranee al monastero? Quali?
- Prova
a costruire uno schema gerarchico che consideri i vari monaci, la
tipologia di mansioni loro affidate, i rapporti
- Metti
in relazione le mansioni dei monaci, così come le hai
rilevate nello Statuto dell'Abate Wala, con le diverse
tipologie di locali indicati nella piantina del Doc. 9.
DOC. 9
Pianta
- progetto del monastero di S.Gallo, Svizzera, 820 circa.
Biblioteca
del monastero
Foto F
Il
monastero e l'assistenza: un servizio alla società
Tra le
mansioni che l'abate Wala affida ai suoi monaci c'è
quella dell'assistenza agli infermi e ai pellegrini. Si tratta
di una funzione che i monasteri medievali svolsero con grande impegno
e che è ufficializzata in regolamenti, statuti, lettere, atti
di fondazione.
Molti
furono gli ospizi e gli ospedali retti da monaci, posti lungo le
strade percorse da mercanti e pellegrini, con lo scopo di fornire
assistenza ai viaggiatori e ai poveri della zona.
E'
questa, ad esempio, la funzione dell'ospizio del Moncenisio che
l'imperatore Lotario istituì nell'anno 825
"ad
peregrinorum receptionem" e la cui dotazione è fatta
per far fronte all'affluenza dei poveri
"Pauperum
Christi concursus tolerari".
Situati
in punti strategici ( la
domus del Moncenisio, ad esempio, era
collocata nel punto in cui il transito per il valico presentava
maggiori difficoltà ) gli ospizi erano spesso oggetto di una
competizione di poteri. La vera peculiarità dell'ospizio
del Moncenisio, nota G.Sergi, è
"il controllo del
passo. I potenti, in conflitto tra loro, aspiravano alla protezione
dell'ente e l'ospedale si assicurava uno sviluppo
vigoroso, aggiungendo alle donazioni dei pellegrini riconoscenti le
ricche concessioni dei locali detentori del potere, laici ed
ecclesiastici, che miravano a rinsaldare il legame con la
fondazione". (G.Sergi,
L'aristocrazia
della preghiera, op. cit
.)
Nel VI
secolo Cassiodoro fonda a Vivarium, sul golfo di Squillace, un
monastero.
Nell'opera
De institutione divinarum litterarum egli propone ai monaci lo
studio degli scrittori classici per una maggiore comprensione delle
Scritture.
Il brano
che segue mette in evidenza un'altra funzione fondamentale del
suo monastero: quella dell'assistenza agli infermi.
DOC.
10
Aurelio
Cassiodoro, De institutione divinarum litterarum, cap. 31, 540 ca.
"
Mi
rivolgo a voi, egregi frati che provvedete con premuroso impegno alla
salute del corpo umano e offrite le pratiche della pietà
cristiana a coloro che si rifugiano nel santuario affinché
voi, tristi per le sofferenze altrui, serviate i malati come conviene
alla perizia della vostra professione, con sincero trasporto [...] E
perciò apprendete pure la natura delle erbe e studiate la
mescolanza delle varie specie con intelletto pronto: ma non riponete
la speranza nelle erbe [...] sebbene si dica che la medicina sia
stata istituita dal Signore, tuttavia è lui direttamente che
rende sani [...] Avete il trattato sulle erbe di Dioscoride, che ha
distinto con straordinaria proprietà e descritto le erbe dei
campi. Poi leggete Ippocrate e Galeno nella traduzione latina [...] e
altri trattati di medicina che io ho raccolto, con l'aiuto di
Dio, nella nostra biblioteca".
SCHEDA
DI LAVORO
- A
quale funzione del monastero si riferisce la frase "a
coloro che si rifugiano nel santuario?"
- L'abate
invita i monaci a servire i malati "come conviene alla
perizia della vostra professione": che cosa indica,
secondo te, il termine professione?
- Negli
Statuti dell'Abate Wala sono previsti monaci con competenze
analoghe? Qual è il loro nome?
- Quali
sono le funzioni che assolve il monastero di Vivarium?
- Le
informazioni contenute nel documento ti danno indicazioni sulla
farmacologia e sulle cure mediche praticate nel Medioevo?
- Perché
ai monaci è raccomandato l'uso del trattato sulle erbe?
- Chi
erano gli autori dei testi di medicina a cui fa riferimento
Cassiodoro? Perché ne consiglia la lettura in latino?
Una
causa tra il monastero e gli abitanti delle sue terre
Alcuni
documenti giudiziari riferiscono notizia di cause intentate contro i
monasteri.
Un
esempio significativo, che getta luce sui rapporti esistenti tra il
monastero e gli abitanti dei suoi territori, è il
placito
di Oziate. Si tratta di una causa che si protrasse per molti anni fra
l'abbazia di Novalesa e alcuni abitanti di Oziate (Oulx?
Osasco?), un territorio che era stato concesso in dotazione al
monastero. Gli abitanti rivendicavano la loro condizione di uomini
liberi in virtù di una
cartula libertatis che i
donatori avevano sottoscritto e che era sempre stata tacitamente
accettata dagli abati di Novalesa. La causa si svolse in tre momenti
successivi (799 ca, 827, 880); nell'ultimo le ragioni degli
abitanti furono definitivamente contestate dal rappresentante
dell'abbazia e da quello imperiale: i motivi di tale
opposizione, secondo alcuni studiosi, sono di natura economica,
legati all'opera di dissodamento e coltura che le istituzioni
monastiche andavano svolgendo nelle valli alpine (G.C.
Alessio, op. cit. nota 1)
L'A.S.T.
conserva la documentazione, a cui si rimanda, dei fatti reali. Dalla
Cronaca di Novalesa attingiamo ancora una volta per conoscere il
racconto, imperfetto nella ricostruzione ma ricco di particolari, del
monaco cronista.
DOC.
11
Cronaca
dell'Abbazia di S.Pietro di Novalesa, 1060
Rotolo
membranaceo, cm. 8,5 (11) x 1170
A.S.T.,
Corte, Museo storico
Libro
III, cap. 18
"
V'era
al tempo suo un villaggio di nome Oziate, possesso del cenobio, che
un uomo di nome Dionisio assieme a suo figlio Unone – ora morto
– aveva concesso al beato Pietro della Novalesa, coi servi e le
serve, per la salvezza della propria anima. Questi servi, dopo molti
giorni e dopo la morte dei loro signori, cominciarono a ribellarsi ai
monaci ed ai ministri di quella chiesa e ad accendere una lite
dicendo: ‹‹Né noi né i nostri
apparteniamo al vostro monastero per il motivo che i nostri antenati
ad esso non appartennero››. Dopo pochi giorni giunsero
in Italia i legati di Carlo imperatore per discutere le cause di
quegli uomini e di altri. Fra questi ci furono anche il conte Raperto
e Andrea, vescovo e cappellano dell'imperatore, e con essi
furono presenti molti giudici, scavini e sculdasci, e tennero una
sessione nella città di Ticino. Allora il padre Frodoino mandò
due dei suoi, cioé i monaci Adamo e Dodone, con Ramperto di
Faletto, avvocato del monastero. Fra questi furono anche presenti gli
uomini del villaggio di Oziate, cioè i servi del monastero
stesso [...] e furono confutati i suddetti uomini alla presenza di
tutti i conti, dei giudici e di tutta l'assemblea."
SCHEDA
DI LAVORO
- Alla
presenza di quali persone si discute la cusa intentata al monastero?
Qual è il loro ruolo?
- La
presenza di giudici funzionari dell'amministrazione franca
(scavini) e di capi militari che il duca longobardo nominava
come giudici nei processi (sculdasci) a quale situazione
politica italiana si riferisce?
- Per
quale motivo, secondo te, i contendenti non vedono accolte le loro
richieste?
- I
legati dell'imperatore giungono in Italia " per
discutere le cause di quegli uomini e di altri": a che
cosa ti fa pensare la precisazione "di altri" ?
I
rapporti tra i monasteri
Gli abati
mantenevano stretti legami con i monasteri da loro dipendenti o a
loro collegati. Erano rapporti di preghiera, di natura economica,
giuridica, culturale.
Il
documento 12 , scelto per la sua originalità e
significatività, esemplifica questi rapporti.
DOC.
12
Preghiere
fattesi nelle diverse chiese gallicane associate nelle preci col
monastero de' Santi Giusto e Mauro di Susa, in occasione della
morte dell'abbate di detto monastero Bozone..., 7 ottobre
1129
Rotolo
membranaceo, cm. 16-17 x 940
A.S.T.,
Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S.Giusto di Susa, m. 2 bis,
fasc. 1
foto
Il rotolo
appartiene alla tipologia dei rotoli mortuari usati per comunicare la
morte di un abate o di un confratello ai membri di altre comunità.
Consisteva
in un numero variabile di schedule di pergamena, unite tra di loro
in modo da formare una striscia lunga anche 20-30 metri. L'intera
striscia era fissata a una struttura di legno in modo da poter essere
appesa al collo del monaco portatore (
rollifero o rolligero).
Nella prima schedula chiamata
enciclica si comunicava il
decesso; a volte essa era decorata con motivi ornamentali o con
l‘immagine del defunto. L'
enciclica poteva essere
redatta in semplici termini di una comunicazione con la richiesta di
preghiere o contenere anche l'elogio funebre.
Il
rollifero visitava quindi le comunità religiose e su
ciascuna schedula la comunità visitata scriveva la sua
partecipazione al lutto: ognuna di esse era designata come
titulus
e recava la denominazione dell'ente religioso che l'aveva
redatta. Le forme più semplici dei
tituli potevano
arricchirsi di frasi elogiative e di brevi componimenti poetici, la
cui compilazione era affidata al
cantor o ai poeti della
comunità.
E'
indiscutibile l'alto valore che il rotolo mortuario assume come
fonte storica: offre ad esempio notizie sui vari tipi di scrittura,
sui loro mutamenti, sugli scriptoria che li hanno prodotti, sulle
intitolazioni dei monasteri, sui monaci che li abitavano, sui loro
nomi, sulla cultura e sulla mentalità dell'epoca, sulle
vie di comunicazione, sulla consistenza patrimoniale dei monasteri...
Il rotolo
di Bosone consta di 16 schedule di pergamena, di lunghezza non
costante.
L'edizione
critica dei due
tituli scelti è a cura di M.Paola
Niccoli.
foto,
foto.
A)
TITULUS SANCTE MARIE MAG / DALENE VIZELIACENSIS (Trascrizione)
Anima
eius et anime omnium fidelium / defunctorum in Christi nomine
requiescant / in pace. Amen. Oravimus pro vestris, orate pro /
nostris, pro abbate Artaldo, Bernone abbate, / Stefano, pro Ioceranno
abbate, / Petro, Iohanne, Berardo, Widone, / Rotberto abbate /
Rodulfo, Abone.
B) TITULUS CENOBII SANCTI / VICTORIS MASSILIENSIUM (Trascrizione)
Anima
domni Bosonis abbatis Securiensis et anime / omnium fidelium
defunctorum in Christi nomine requi / escant in pace. Amen.
Concedimus suprascripto / Bosoni abbati celebracionem XXX missarum,
verum etiam / ei cum omnia vivunt, animam eius suppliciter commen /
damus. / [...]
SCHEDA
DI LAVORO
La
traduzione può essere richiesta allo studente.
A) Il
titulo si riferisce all'abbazia di S.Maria Maddalena di
Vézelay.
- Chi
sono le persone per le quali i monaci dell'abbazia chiedono
preghiere? Tra queste ci sono dei defunti?
- Considera
i nomi elencati. Oggi vengono ancora usati?
- Come
giudichi il latino in cui il titulo è stato scritto?
Che cosa è successo alla lingua latina per cui nel 1129 essa
si presenta in questa forma?
B) Il
titulo si riferisce al monastero di S.Vittore di Marsiglia.
- Quale
impegno liturgico si assume questo monastero per commemorare l'abate
Bosone?
- Che
cosa caratterizza questo titulo rispetto al precedente?
DOCUMENTO
13.
Carta
della Francia meridionale con individuazione del percorso seguito dalrollifero (in
La Novalesa. Ricerche – Fonti
documentarie – Restauri, Comunità Benedettina dei
S.S. Pietro e Andrea. Atti del Convegno-Dibattito 10-11-12 luglio
1981.
Il rotolo funerario di Bosone abate di San Giusto di
Susa, a cura dell'Archivio di Stato di Torino)
foto
SCHEDA
DI LAVORO
- Confronta
il disegno con una carta stradale odierna.
- Quanti
Km avrà percorso il rollifero?
- Quante
cattedrali ha visitato? Quante abbazie? Quanti ospedali? Quante
certose?
- Il
numero di comunità incontrate, l'estensione del
territorio visitato, la lunghezza del percorso che cosa ti
dimostrano?
V.
L'AMMINISTRAZIONE
Formazione
della grande proprietà religiosa
La
proprietà dei monasteri e degli altri grandi enti religiosi si
costituì, come già si è accennato, con le
numerose dotazioni di re e privati. Alla base del fenomeno stavano
principalmente ragioni di ordine spirituale; se poi i donatori erano
piccoli o medi proprietari la donazione era dettata dal bisogno di
garantirsi una maggiore sicurezza personale in un'epoca in cui
il potere politico era carente o addirittura assente e in cui vigeva
la legge del più forte, sia dal punto di vista politico che da
quello economico. Privi della protezione dello Stato i deboli si
affidavano al potente con l'atto dell'
accommendatio:
in cambio di protezione gli donavano la propria terra con la
possibilità di coltivarla come affittuari, dietro pagamento di
un canone. In questo modo il potente diventava proprietario di un
numero sempre più grande di terreni. Il fatto che molti si
accommendassero al monastero o a un altro ente religioso era dovuto
alla fama e alla rispettabilità di cui essi godevano; inoltre
il trattamento ricevuto dai lavoraori era in genere più umano
e giusto, migliore di quello che era solito offrire il protettore
laico.
La
curtis
I grandi
possedimenti terrieri dell'Alto Medioevo furono quasi tutti
organizzati in
curtes. Esse derivavano dalle antiche
villae
romane ed erano caratterizzate dal principio di una conduzione mista
delle terre: una diretta, la
pars dominica o
dominicum,
di cui si occupava il proprietario, l'altra indiretta, la
pars
massaricia o
massaricium, frazionata e affidata alla
coltivazione dei coloni. Il lavoro nella
pars dominica era
svolto quasi esclusivamente dai servi e raramente si faceva ricorso a
personale salariato.
I coloni
della
pars massaricia pagavano un affitto, spesso vitalizio o
ereditario, con prodotti coltivati o con denaro o con entrambi e
fornivano un certo numero di giornate di lavoro nel
dominicum,
le
corvées: queste risultavano pertanto una forma di
pagamento d'affitto dei contadini. Il cosidetto sistema
curtense si fondava su un esiguo impiego di uomini e attrezzature
nella gestione del
dominicum, impiego che veniva integrato con
il lavoro dei coloni del
massaricium.
La
struttura della
curtis cambiò con la pratica
dell'
accommendatio che vide i piccoli proprietari
terrieri affidare le loro terre alla protezione di un grande signore,
mantenendone però il diritto d‘uso. In questo modo il
massaricium si ampliò a scapito del
dominicum.
Il lavoro
agricolo, che inizialmente comprendeva la manodopera servile nel
dominicum e quella
ingenuale (libera) nel
massaricium,
fu affidato via via oltre che a coloni liberi a servi domestici, che
erano alle strette dipendenze del padrone da cui ricevevano vitto e
alloggio, e servi casati, paragonabili ai coloni liberi, a cui il
proprietario affidava quote di
massaricium.
Contratti
agrari medievali
A coloro
che, pur rimanendo liberi, si affidavano al monastero come
accomendati, il fondo veniva assegnato con un
contratto di
livello. Il termine deriva dal latino
libellus, il
libretto che conteneva da una parte la richiesta del postulante e
dall'altra l'assenso del concedente. Nel contratto era
stabilito l'obbligo di pagare al monastero un canone annuale,
parte in prodotti del terreno coltivato e parte in denaro.
Quando si
trattava di terreni aridi o paludosi o boschivi i monasteri usavano
la forma dell'
enfiteusi romana. Dietro il pagameno
annuale di una piccola somma l'uso del terreno veniva concesso
per un tempo molto lungo (
ad tertiam generationem) e il
contadino s'impegnava ad apportare miglioramenti al fondo avuto
in uso. Con il tempo gli enfiteuti tendevano a diventare padroni
delle terre faticosamente bonificate e rese produttive.
Esistevano
poi tipi di contratto
a partecipazione: il contadino poteva
usufruire della 1/2 o di 1/3 o di 1/4 dei prodotti coltivati, a
seconda del valore dei terreni e delle relazioni con il monastero.
I beni
del monastero
Nella
Regola S.Benedetto disciplinò anche l'attività
economica dei numerosi conventi.
"
Per
il rapido moltiplicarsi delle donazioni la proprietà dei
monasteri benedettini assunse presto proporzioni grandiose: di essi,
dopo il VII secolo, abbiamo numerosi e cospicui esempi in Italia
(oltre a Montecassino e Subiaco, sono famosi quelli di Farfa, Bobbio,
Nonantola, Santa Giulia di Brescia, Novalesa, Cava dei Tirreni, San
Vincenzo al Volturno), come in Francia, Svizzera, Germania,
Inghilterra, Irlanda. In ciascuno di essi il monastero principale o i
conventi minori, sparsi in tutte le regioni dov'è
distribuita la proprietà, costituiscono il centro
economico-amministrativo al quale è preposto l'abate coi
suoi monaci, alcuni dei quali sono designati a sopraintendere ai
lavori domestici e rurali. Come la villa romana, il monastero ha i
suoi granai, i magazzini, le cantine in cui si conservano i prodotti
dell'economia diretta o le quote prestate dai poderi tributari;
le sue stalle, i suoi piccoli opifici artigianali, dove i monaci
stessi e un certo numero di servi producono gran parte degli oggetti
che possono essere necessari alla vita quotidiana del monastero e
della popolazione dipendente, raggiungendo così quel minimo
grado di autosufficienza economica, che in un periodo di carenza
dello Stato e di decadenza della città, era indispensabile per
la vita dei monasteri stessi." ( G. Luzzatto,
Breve storia economica dell'Italia medievale, Einaudi
1958).
I
maggiori monasteri, come tutti i grandi proprietari terrieri, si
assicuravano i prodotti di cui non avevano disponibilità nel
loro nucleo centrale acquistando proprietà in regioni diverse:
come riferisce G. Luzzatto nell'opera citata, le proprietà
ecclesiastiche della Val Padana possedevano tutte, ad esempio, un
uliveto sui laghi e una salina nella laguna di Comacchio. Alcuni
monasteri, inoltre, possedevano numerose
cellae esterne in cui
era custodita parte dei raccolti: esse servivano sia come magazzini
per il vettovagliamento della comunità sia per il commercio
con altre proprietà.
Sarebbe
errato giudicare con un metro moralistico certe manifestazioni di
ricchezza del monastero medievale: il possesso di molti beni voleva
dire essere stati all'altezza del compito e avere raggiunto una
superiore disciplina spirituale; voleva dire
"esibire una
patente di religiosità e di integrità: così i
fedeli sapevano di elargire donazioni o di fare testamenti in favore
di monaci le cui preghiere erano particolarmente ascoltate, e la
ricchezza s'incrementava ulteriormente". (G.
Sergi,
L'idea di Medioevo, op.cit.)
I diplomi
con cui i sovrani concedono ai monasteri immunità, esenzioni
dai pedaggi, facilitazioni al commercio e i documenti che riferiscono
le donazioni di privati e di sovrani sono fonti a cui attingere
informazioni sulle proprietà dei monasteri
Un'altra
tipologia di documenti, gli inventari, offrono dettagliati rendiconti
di prodotti coltivati, animali allevati, contadini impegnati nei vari
lavori, tasse da loro pagate e offrono elementi per leggere la
struttura di una
curtis.
I
documenti che attestano beni e organizzazione degli enti religiosi
sono molto più numerosi di quelli riferibili alla grande
proprietà laica. Ciò è dovuto al fatto che gli
archivi ecclesiastici, e in questo caso quelli monastici, si offrono
allo studioso molto più ordinati e ricchi di quelli laici: nel
monastero, infatti, si praticavano la lettura e la scrittura che
consentiva la redazione dei documenti relativi ai possessi e
all'attività economica.
Presso
l'A.S.T. esistono diversi inventari riferiti ai beni
dell'abbazia di S.Colombano di Bobbio. L'eccezionalità
di due di loro è rappresentata dal fatto che essi sono stati
elaborati a distanza di 20 anni uno dall'altro (862-883):
attraverso il loro confronto è quindi possibile osservare la
struttura di una
curtis in evoluzione e di rilevare, ad
esempio, le scelte adottate per ottimizzare la produzione come la
lottizzazione dei terreni, la coltivazione intensiva, l'assunzione
di nuovi massari e livellari con il conseguente aumento dei canoni e
il potenziamento della produzione...
Il
documento seguente si riferisce al primo dei suddetti inventari.
DOC.
14
Inventario
dei beni, terre e redditi spettanti al monastero di San Colombano di
Bobbio, 862
A.S.T.,
Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat.
1^, m.1
SCHEDA
DI LAVORO
- Nel
documento sono citati "nuclei dipendenti esterni al
monastero":dove si trovano?
- Che
cosa significa dipendenti ed esterni al monastero? Il
rapporto di dipendenza a che cosa si riferisce?
- Elenca
i prodotti di cui il documento dà notizia, suddividendoli in
agricoli e non.
- Quali
notizie di tipo geografico puoi ricavare sul territorio a cui
appartengono i due nuclei esterni?
- In
che cosa consiste il pagamento dei massari e dei livellari? Perché
è misto?
DOC.
15
Inventario
dei beni dell'abbazia di Saint Germain, inizio IX sec.
(In R.
Boutrouche,
Signoria e feudalesimo, Il Mulino, Bologna 1971)
Lo
stralcio qui riportato si riferisce a una delle aziende dipendenti
dall'abbazia.
"
[...] Walafredo colono e major e sua moglie, colona, uomini di San
Germano, hanno con sé due figli. Il capofamiglia tiene due
mansi ingenuili
, per sette bunuaria
di terra arabile,
sei arpenti
di vigna, quattro arpenti di prato. Paga per ogni
manso un bue all'anno, l'anno seguente un porco adulto,
quattro denari per il diritto d'uso del bosco, due moggi
di vino per il pascolo, una pecora con un agnello. Egli ara quattro
pertiche per il grano invernale e due pertiche per il grano
primaverile, fa corvées, trasporti, lavori manuali e taglio di
legno per quanto gli si comanda; deve tre polli e quindici uova.
[...]
Leonardo, lito
di San Germano, tiene un quarto di manso per
due bunuaria di terra arabile e mezzo arpento di vigna. Coltiva nella
villa [signorile] quattro arpenti; paga per il pascolo un moggio di
vino, uno staio
di senape nera, un pollo, cinque uova.
manso
ingenuile:
terreno lavorato da uomo libero
bunuaria:
misura di superficie corrispondente a circa 1/8 di ettaro
arpento:
misura di superficie variabile da 3600 mq. a 2563 a seconda delle
regioni
pertica:
misura di lunghezza equivalente a 10 piedi, quindi a m. 2,96
moggio:
misura di capacità per granaglie e simili, di valore
diverso a seconda delle regioni
lito:
colono appartenente a una categoria intermedia tra quella dei
liberi e quella dei servi
staio:
misura di capacità variabile da 24 a 36 litri
SCHEDA
DI LAVORO
- Quali
notizie ti fornisce il documento sull'uso della terra e sui
coloni?
- Quali
indicazioni offre sulle misure agrarie dell'epoca?
- I
prodotti pagati all'abate a quale tipo di coltivazione e di
allevamento si riferiscono?
- Oltre
al lavoro agricolo quali servizi devono prestare i coloni di questa
azienda?
- Confronta
il presente documento con quello precedente. Quali notizie
caratterizzano l'uno e l'altro?
VI.
LA CULTURA
I
monasteri benedettini non furono solo centri di vita e di rinascita
economica, ma anche poli di vivace vita culturale. Spetta ad alcune
personalità del Medioevo il merito di aver salvato
l'essenziale della cultura antica, di averla riunita
"sotto
una forma che si prestasse ad essere assimilata dalle menti medievali
e che avesse la necessaria veste cristiana" (
J. Le Goff,
La civiltà dell'Occidente
medievale, Einaudi, To 1964). Lo storico francese cita a
questo riguardo Boezio, Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Beda: uomini
di elevata cultura che hanno influenzato fortemente il sapere della
loro epoca e a cui sono debitori i secoli successivi.
Dominio e
territorio della cultura fu, nell'età carolingia, la
Chiesa e gli intellettuali crebbero nelle
scholae. La scuola,
di qualunque tipo si trattasse, era nel monastero, nella cattedrale,
nel convento; anche fisicamente essa era inclusa in quegli edifici.
La Regola
benedettina dava disposizioni per la presenza di bambini
oblati,
cioè donati al monastero dai genitori. Questi bambini, futuri
monaci, venivano istruiti nella comunità che normalmente non
accettava però studenti esterni.
foto
Dal IX
all' XI secolo fiorirono le scuole monastiche.
"La
scuola monastica, i suoi uomini, i suoi impianti, la sua biblioteca,
i suoi ritmi, i suoi ideali: la terra e la Bibbia, questi sono stati
i grandi ma in definitiva gli unici veri poli del mondo che ha visto
il monaco pressoché unico protagonista della vita
intellettuale. Dopo sarà alle scuole cattedrali, alle scuole
canonicali e di liberi chierici che dovremo guardare come a sedi
della cultura e della filosofia, in un mondo fatto di vescovi e non
di abati,di chierici e non di monaci, di città e non più
solo di domini terrieri" (F. Alessio,
Filosofia e società, Zanichelli, Bologna 1985).
Le
invasioni barbariche e la dominazione longobarda avevano inferto un
duro colpo ai valori della classicità che erano stati
mantenuti in vita attraverso i commenti di Boezio e Cassiodoro. Dopo
di loro fu la Chiesa ad assicurarne la continuità. Come al
tramonto dell'Impero i contadini in balìa di prepotenze
e violenze si rifugiavano nelle chiese e nei monasteri in cerca di
protezione, così successe alla cultura: i luoghi sacri
diventarono spazi di vita per le lettere e le arti. E' un
fenomeno generale, che si riscontra in tutti i monasteri dell'epoca,
incoraggiati il più delle volte nella loro opera culturale da
sovrani e signori. I re anglosassoni sostennero vescovi e abati nella
creazione di nuove scuole; a San Gallo docenti illustri insegnarono
grammatica, retorica, aritmetica e musica; con Abone, abate del
monastero francese di Fleury-sur-Loire, nell' XI secolo ebbero
grande impulso gli studi scientifici e matematici.
L'età
di Carlo Magno
Con Carlo
Magno la cultura diventò un obiettivo fortemente sentito e
perseguito, esigenza fondamentale di fronte al crescere dei bisogni
della più vasta e complessa organizzazione dello Stato che
necessitava di buoni funzionari e capaci amministratori. Nello stesso
tempo il sovrano si propose di rieducare un clero divenuto
semianalfabeta e di fornire ai suoi sudditi nozioni religiose
elementari.
L'età
di Carlo Magno fa del monaco colui che è anche maestro di
sapere profano. E' un aspetto nuovo, ardito e difficile che
creerà dubbi e problemi. Affidando ai monasteri, oltre al
compito di tesorizzare il sapere anche quello di insegnare, il mondo
carolingio fa coincidere la geografia culturale con quella del
potere. Dal monastero, il luogo dove non è mai venuto meno
l'uso del leggere e dello scrivere, quello dove si conservano e
si copiano i libri, Carlo trae i letterati che alla sua corte
insegnano ai giovani provenienti dalle grandi famiglie dell'impero,
destinati a far carriera nell'amministrazione pubblica o nella
chiesa.
DOC.
16
Monumenta
Germaniae Historica, Epistulae Beati Karoli
( In
Saitta,
Il cammino umano, La Nuova Italia, Firenze 1962)
"
Carlo
per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei
Romani, all'abate Bangulfo e a tutta la congrega ed anche ai
fedeli a te affidati [...] noi abbiamo ritenuto essere utile che i
vescovadi e i monasteri, a noi affidati col favore di Cristo, oltre
alle occupazioni ordinarie e alle conversazioni della santa
religione, debbano anche intraprendere lo studio delle lettere [...]I
sacerdoti facciano scuola di lettura. Per tutti i monasteri
s'insegnino i salmi, le note, il canto, il computo e la
grammatica".
SCHEDA
DI LAVORO
- Di
quale compito particolare si sente investito Carlo Magno?
- A
che cosa è dovuto l'invito ai religiosi di
intraprendere lo studio delle lettere?
- Per
quale motivo il re affida l'istruzione ai religiosi chiedendo
loro di fondare delle scuole?
- Salmi,
note, canto, computo, grammatica: chi erano i destinatari di questi
insegnamenti?
- Da
questa lettera quale risulta essere il progetto culturale di Carlo
Magno?
DOC.
17
Rodolfo
il Glabro, Vita dell'abate Guglielmo, Libro VI
Nota
Nell'anno
1001 il grande abate cluniacense Guglielmo da Volpiano viene
sollecitato dal duca di Normandia Riccardo II a introdurre la regola
monastica nel territorio di Fécamp.
"
Guglielmo,
uomo di Dio, vi radunò un gruppo di monaci che vivevano
secondo la regola benedettina, composto da molte personalità
capaci di operare il bene. [...] Vedendo l'attento abate che
non solo in quel luogo, ma anche in tutta la regione e in tutta la
Gallia, presso il popolo era venuta meno ed era scomparsa la
capacità di salmodiare e di leggere, fondò per i
chierici scuole per apprendere il servizio divino, a cui dovevano
dedicarsi assiduamente fratelli preparati a questo compito, e nelle
quali si elargisse gratuitamente il bene della sapienza a tutti
coloro che affluivano ai cenobi che gli erano stati affidati. Nessuno
che vi volesse accedere doveva venirne escluso, anzi, sia ai servi
che ai liberi, ai ricchi come ai poveri si doveva offrire la stessa
testimonianza di carità. Molti dei frequentanti, poiché
erano poveri, ricevevano il vitto dai cenobi. Fra di loro alcuni
presero l'abito della santa regola dei monaci. Infine
l'attività di queste scuole portò a molte chiese
grandi vantaggi".
SCHEDA
DI LAVORO
- Confronta
i documenti 16 e 17. Quali elementi hanno in comune?
- A
quale tipo di scuola fa riferimento Rodolfo il Glabro? Quali sono le
qualità che la caratterizzano?
- A
chi viene affidato il compito di istruire?
- Perché
l'incremento dell'istruzione porta " a molte
chiese grandi vantaggi" ? Quali sono secondo te?
Libri
e biblioteche
L'importanza
della lettura nella vita del monaco era sottolineata dalla quantità
di tempo che la Regola le riservava.
Durante i
pasti, serviti e consumati in silenzio, un lettore leggeva alla
comunità da un leggio o dal pulpito. Per la lettura privata
venivano annualmente distribuiti dei libri: nell'abbazia di
Farfa è conservata una lista di 63 libri consegnati ai monaci
per la lettura quaresimale.
Il
repertorio comprendeva soprattutto opere di devozione, di teologia
ascetica, vite dei Santi, commenti dei Padri alle Sacre Scritture e
anche un'importante selezione di autori storici: Flavio
Giuseppe, Beda, Tito Livio. La lettura e lo studio della storia erano
considerati un mezzo per scoprire l'invisibile opera di Dio
nelle vicende umane del passato. Presumibilmente una parte dei libri
che formavano una biblioteca benedettina erano frutto di donazioni:
nei cataloghi delle biblioteche monastiche molto spesso si trovano
elencati con i libri anche i nomi dei donatori. Una parte
consistente, poi, era fornita dallo
scriptorium
del monastero stesso. Qui dei monaci
amanuensi
erano impegnati a copiare testi o a comporre libri
propri. La produzione comprendeva Bibbie, Salteri, Libri d'ore
per la preghiera privata, Messali, Antifonari, Graduali, Lezionari
per uso liturgico, Tropari (libri di canti), Vite di Santi, Bestiari,
Erbari, libri di testo per studenti, trattati di grammatica,
matematica, astronomia, Cronache...
Nel Libro
IV della Cronaca di Novalesa (v. Doc. 18) si ha notizia della lettera
scritta da Floro, arcidiacono di Lione, esegeta e teologo di chiara
fama, all'abate Eldrado che l'aveva pregato di rivedere
una copia del Salterio usato nell'abbazia. La risposta di Floro
documenta il programma carolingio di espansione culturale: tra i vari
provvedimenti di Carlo Magno uno riguardava infatti la correzione dei
libri dell'Antico e del Nuovo Testamento sfigurati
dall'imperizia dei copisti. La richiesta fatta da Eldrado a
Floro rappresenta il contributo dato dall'abbazia a tale
programma. L'attenzione riservata dall'abate all'opera
di correzione è spiegata dal fatto che il Salterio non era
solo il manuale di preghiera per eccellenza, la cui lettura era
prescritta in ogni monastero benedettino, ma costituiva anche il
libro su cui nelle scuole si faceva esercizio di lettura.
DOC.
18
"
Da
molto tempo la paternità vostra ha voluto ingiungere alla mia
umile persona di correggere il Salterio secondo la norma della
verità: il che, nella misura delle mie forze, mi sono
adoperato a compiere. Ma, in verità, confesso alla vostra
amabile grazia che mi è riuscita molto molesta e pesante
l'incerta e gravemente scorretta variabilità dei molti
codici che, originatasi dall'incuria di scribi sonnacchiosi, si
alimenta e diffonde con la quotidiana pigrizia degli ignoranti. Io
quindi, al fine di eseguire con la maggior diligenza il compito
assegnatomi, mi applicai al confronto reciproco della traduzione
ebraica fatta dal sacro interprete * e di quella dei Settanta **, per
indagare con cura, fondandomi su ambedue, che cosa ci fosse in più
o in meno nei nostri codici [...] E poiché so che la santità
vostra vuol far scrivere un nuovo codice di Salmi, esorto caldamente
affinché vogliate mantenere tutte queste correzioni con cura
grandissima e attenzione, poniate i segni di pausa dovunque da noi
sono stati lasciati o aggiunti, li togliate invece dove li abbiamo
erasi, anteponiate i numeri dei Salmi ai titoli che ciascuno ha e ne
scriviate alcuni prima di ‹‹alleluia›› ,
altri dopo, altri ancora fra due ‹‹alleluia››,
così come da noi è stato corretto. V'è in
ogni segno una ragione vera ed utile , che produce gran giovamento
pei lettori attenti [...]
Nel
volume che state per scrivere le linee si traccino ben distanziate,
vengano lasciati chiari ed abbondanti spazi in modo che i nomi delle
lettere che bisogna aggiungere fuori testo appaiano ben leggibili e
distinte e le brevi frasi di annotazione vengano collocate con
diligenza ai posti loro, cosicché quel nuovo libro per la sua
correttezza, bellezza ed utilità impegni il copista ed
ammaestri il lettore, informi gli animi e diletti la vista".
*
sacro interprete
: S. Gerolamo, autore di una versione
dall'ebraico della Bibbia
**
Settanta:
la più antica versione greca dell'
Antico Testamento
SCHEDA
DI LAVORO
- Perché
l'abate Eldrado si rivolge a Floro di Lione?
- Per
quale motivo sceglie un esperto che risiede in una città così
lontana da Novalesa?
- Perché
Eldrado ritiene che nel Salterio usato nella sua abbazia vi siano
degli errori? A che cosa possono essere dovuti?
- Qual
è il giudizio di Floro su alcuni copisti e sul loro lavoro?
- Perché
Floro si dilunga in minuziose raccomandazioni circa la redazione di
un nuovo Salterio? Qual è lo scopo di tanta diligenza?
- Dal
tono della lettera quale ritieni sia stato il rapporto tra Eldrado e
Floro?
Lo
scriptorium forniva anche importanti servizi al mondo esterno.
I primi sovrani di Francia e d'Inghilterra che non disponevno
di una efficiente cancelleria in proprio si servivano degli
scriptoria delle abbazie per scrivere lettere e redigere
documenti. Inoltre i monasteri riproducevno libri su ordinazione per
studiosi e protettori e alcuni di essi erano apprezzati per l'alta
qualità della calligrafia e per la bellezza delle
miniature
che ornavano i manoscritti. Questo lavoro costituiva una importante
fonte di reddito per il monastero; il committente del libro pagava il
lavoro e molto spesso forniva anche la
pergamena
necessaria.
Il
monopolio dei monasteri sulla produzione libraria durò fino al
XII secolo, quando nacquero le copisterie universitarie. Con il
passare del tempo l'aumento della richiesta costrinse l'abate
ad affiancare ai monaci copisti degli scrivani professionisti, che
venivano retribuiti con il denaro proveniente dalle casse del
monastero.
Nelle
biblioteche dell'Occidente lungo tutto il secolo XII fecero il
loro ingresso libri che provenivano da lontano per area geografica e
per lingua, libri tradotti dal greco e dall'arabo.
"
Tutti
questi tesori ammassati saranno rimessi in circolazione, versati nel
crogiuolo delle scuole urbane, assorbiti – come ultimo
sedimento d'apporto antico – dal Rinascimento del XII
secolo. (J. Le
Goff)
DOC. 19
Book of Old Testament Illustrations
New York - Pierpont Morgan Library – ms 638 – Fol 12
v.
Particolare:
foto
La
miniatura illustra una pagina dell'Antico Testamento, il Libro
dei Giudici (6, 11-12): "e mentre Gedeone batteva e ripuliva
il grano [...] apparve a lui l'Angelo del Signore".
L'artista
colloca la scena nel suo tempo (la miniatura è del XIII sec.)
e offre così una documentazione su un aspetto del lavoro
agricolo nel Medioevo.
- Di
quale attività si tratta?
- Quali
attrezzi sono usati? Di quale materiale sono fatti? Qual è la
loro funzione?
- Osserva
l'abbigliamento dei contadini (abiti, calzature, copricapi) e
descrivine l'aspetto e la funzione
- Come
è disposta la messe raccolta? Perché in quella forma?
- Nel
Medioevo il colore azzurro, ricavato dal lapislazzuli, era molto
costoso e veniva usato con grande parsimonia. L'uso che ne
viene fatto in questa miniatura che cosa ti suggerisce?
(committenti, destinazione del libro miniato, scriptorium che lo
produce, zona di provenienza...)
LINK
PER L'APPROFONDIMENTO
MONACHESIMO
Il
termine deriva dal vocabolo greco monos che significa solo
e indica un fenomeno ricorrente nella storia dell'uomo e comune
a molte religioni.
I monaci
sono individui che abbandonano la società per seguire un
ideale di ascesi che comporta la rinuncia ai beni, alle comodità
della vita, al matrimonio, alle relazioni sociali.
Il
monachesimo cristiano nacque in Egitto, in Siria e in Palestina verso
la fine del III secolo. Nella solitudine del deserto i monaci
cercarono la perfezione spirituale attraverso una vita ispirata agli
ideali del Vangelo, fatta di rinunce, mortificazioni, preghiera
continua.
Nel corso
del IV secolo si diffusero due modelli di vita ascetica che
ispirarono i due diversi tipi di organizzazione monastica: quello del
monaco solitario, l'eremita (da eremos, in greco
deserto) e quello del cenobita (dal termine koinos,
comune), che pratica l'ascesi in una comunità
organizzata o monastero.
Del primo
modello l'ispiratore fu S.Antonio (ca 251-356), del secondo S.
Pacomio (ca 292-346).
In
Occidente una forma importante di vita ascetica fu realizzata nel
monastero di Lérins, vicino a Marsiglia. S. Martino di
Tours, che fu monaco eremita a Ligugé, in Francia, a
Marmoutier fondò il Magnum Monasterium, che diventò
un grande centro di vita religiosa dell'epoca.
SAN BENEDETTO
foto
L'unica
fonte di notizie sulla vita del Santo è data dal II Libro dei
Dialoghi di papa Gregorio Magno, databile presumibilmente
intorno al 593-594.
Secondo
tale fonte Benedetto nacque a Norcia, in Umbria, nel 480 (data
ipotetica) e seguì a Roma gli studi umanistici. Disgustato
della vita dossoluta dei compagni lasciò la scuola e e si
rifugiò prima in un villaggio presso Roma, quindi vicino a
Subiaco, nei colli Sabini, dove visse per tre anni in una grotta,
istruito nella pratica della vita ascetica dal monaco Romano.
Intorno a
lui si formò una piccola comunità di discepoli che egli
organizzò in gruppi di 12, sotto la guida di un abate da lui
nominato. Quindi il Santo si trasferì sul monte Cassino, tra
Roma e Napoli, dove costruì un monastero. Al suo ordine
aggiunse un ramo femminile che accolse la sorella Scolastica e un
gruppo di compagne. Benedetto diresse il monastero fino alla morte,
avvenuta probabilmente tra il 546 e il 550.
La sua
via è ricca di episodi prodigiosi narrati da Gregorio Magno.
Uno racconta l'incontro del Santo con Totila, re degli
Ostrogoti. Nel 542 il sovrano si trovò a passare per Cassino e
volle conoscere l'abate di cui tanto si parlava. Per metterlo
alla prova in sua vece inviò un ufficiale in abiti regali e
con un fastoso seguito. Il Santo smascherò l'inganno e
il re Totila, colpito, si recò allora in persona a visitarlo e
a rendergli omaggio. Benedetto gli rimproverò le crudeltà
commesse nella guerra che stava combattendo contro i bizantini e gli
profetizzò il futuro, le sue imprese belliche e la sua morte.
Ammansito dall'ammonizione ricevuta, Totila dimostrò ai
nemici vinti una maggiore umanità, vietando saccheggi e
distruzioni.
L'episodio
mette in luce l'opera di mediazione che in quel difficile
periodo la Chiesa svolse nei confronti della società civile e
in particolare il suo tentativo di conciliare le popolazioni latine e
barbare.
Due
secoli dopo la morte di Benedetto i monasteri benedettini in Europa
erano più di mille. La loro storia conobbe fulgori e
decadenze; ogni volta però che si sentì la necessità
di un riformatore questi non fece altro che richiamarsi a Benedetto e
la riforma fu sempre un ritorno ai precetti del fondatore.
E'
il caso di Cluny. L'abbazia sorse in Borgogna nel X
secolo, con l'intento di restaurare la Regola benedettina
riportandola alla primitiva purezza.
La
piccola comunità iniziale professava una vita autenticamente
evangelica, distaccata da questioni e attività temporali; i
monaci erano dispensati dal lavoro manuale per potersi dedicare
completamente alla preghiera e alla meditazione. Per evitare che il
monastero cadesse nelle mani di laici potenti o di vescovi avidi di
ricchezza, l'atto di fondazione sancì l'assoluta
indipendenza del monastero rispetto alla nomina dell'abate e a
tutte le questioni riguardanti la comunità, che rispondeva
unicamente al pontefice romano. Per evitare il pericolo
dell'isolamento, che avrebbe potuto favorire le pressioni dei
potenti, Cluny viveva un'unione intima con altri due monasteri,
attraverso l'unicità dell'abate e l'identità
delle regole di vita.
Sostenuto
dalla forte personalità dei suoi abati, Cluny diventò
un centro di spiritualità e una vera scuola di preghiera, un
esempio di vita comune contemplativa e ordinata che conciliava la
povertà evangelica con l'amore per il bello, la fuga dal
mondo con l'umanesimo e la cultura.
La
garanzia contro l'ingerenza dei laici, il sostegno assicurato
dai pontefici contro i sovrani invadenti, la sicurezza politica ed
economica offerta, la felice posizione geografica nel centro
dell'Europa, all'incontro di grandi arterie commerciali,
determinarono la rapida espansione di Cluny. La preghiera e lo studio
alimentarono la nascita e la crescita di una delle biblioteche più
ricche dell'Occidente. La lode a Dio si espresse anche
attraverso la bellezza delle cerimonie liturgiche, lo splendore dei
paramenti, la maestosità della chiesa e la preziosità
dei suoi arredi.
Fu questo
ad attirare le appassionate invettive di Bernardo di Clairvaux,
esponente di spicco di un altro modello di vita comunitaria nato
dall'esigenza di ritornare, dopo gli splendori di Cluny, a una
forma di vita ascetica più semplice, nell'osservanza
totale della Regola.
Da
Cîteaux (vicino a Digione), dove ebbe origine, il
modello cistercense si diffuse rapidamente, predicando la
povertà che si espresse in un nuovo modello di vita
comunitaria, nella scelta di luoghi deserti, non coltivati, lontani
dai centri abitati su cui far sorgere i monasteri, nella decorazione
semplice ed essenziale delle chiese.
foto
Anche
questo ordine crebbe rapidamente, soprattutto per la figura
carismatica di alcuni suoi personaggi. Alla fine del XII secolo
Cîteaux era diventato molto ricco per le numerose donazioni dei
fedeli: per poterle conservare fu necessario scendere a compromessi e
sacrificare certi valori ideali.
Cluny si
era arricchito per l'esigenza di procurare il necessario per
vivere al monaco, che non doveva lavorare ma solo pregare; a Cîteaux
la ricchezza era entrata per il motivo opposto, perché i
monaci lavoravano bene, avevano scelto di partecipare alla vita degli
uomini, erano per questo amati e rispettati e ricevevano molti doni.
La
ricchezza accettata per vie e ragioni diverse fu per entrambi
l'inizio della decadenza.
DIPLOMA
Il
termine diploma deriva dal greco diplôun, che significa
rendo doppio.
E'usato
per indicare originariamente documenti scritti su due tavolette unite
da cerniere (dittici) e dall'inizio dell'età
imperiale indica particolarmente tipi di documenti emanati dal Senato
e dagli imperatori.
E'
redatto in modo molto elaborato, in forma solenne sia nella veste
esteriore sia nella parte del contenuto che precede la concessione
del diritto o del privilegio.
La sua
funzione è quella di attribuire terre, privilegi, concessioni,
investiture imperiali.
PLACITO
Nel
Medioevo, nei regni romano-barbarici, il placito era
l'assemblea generale del popolo convocata periodicamente dal re
(placito regio) o dai conti (placito comitale) con
funzioni consultive e giurisdizionali.
Per
estensione assunse il significato di corte giudicante.
Il
termine designò anche la sentenza scritta emanata
dall'autorità giudiziaria.
Nei
placiti di Capua sono contenute le prime frasi in volgare
italiano che ci siano pervenute: in una causa riguardante il possesso
di alcune terre rivendicate dall'abate di Montecassino, i
testimoni, nel marzo 960, dichiararono:"Sao ko kelle terre,
per kelli fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti
Benedicti".
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GLI
OBLATI
Il
cap.LIX della Regola benedettina "Ai figli dei ricchi e dei
poveri che vengono offerti" dava scontata la consuetudine
di accogliere nel monastero dei bambini oblati, cioè offerti
dai famigliari: ricchi e poveri, quindi, ma per motivi diversi. I
poveri contadini, depredati dai Longobardi, consegnavano i loro figli
al monastero per assicurare loro un futuro migliore, spesso una via
di scampo dalla schiavitù e dalla morte. Per i ricchi,
soprattutto per i proprietari terrieri, si trattava di un mezzo per
trovare una buona sistemazione a quei figli esclusi dall'asse
ereditario in quanto la loro presenza avrebbe portato a una
pericolosa frantumazione dei possedimenti di famiglia; per le bambine
e le ragazze era spesso un modo per rimediare all'impossibilità
di contrarre un soddisfacente matrimonio d'interesse.
S.Benedetto,
nell'accettare tale pratica, ne chiarì dettagliatamente
le condizioni giuridiche e pedagogiche e stabilì delle regole
per disciplinare la complessa situazione dei diritti patrimoniali.
Nel corso
di una solenne cerimonia religiosa che si svolgeva davanti all'altare
i genitori offrivano per sempre il figlio o la figlia al monastero.
In un primo tempo la monacazione risultò la conseguenza
obbligatoria per i piccoli oblati e solo nel Quattrocento ai
ragazzini fu riconosciuto, in certi monasteri, il diritto di
scegliere liberamente, quindi di decidere se diventare monaco oppure
lasciare la comunità.
All'interno
del monastero i bambini erano comunque oggetto di un'attenzione
particolare secondo quello che la studiosa Angela Giallongo definisce
"la pedagogia dell'oblazione"(A.Giallongo,
Il bambino medievale, Dedalo, Bari 1990). I castighi,
le mortificazioni e le punizioni corporali erano consuete,
nell'intento di orientare al controllo della disciplina, ma la
Regola di S.Benedetto contemplava anche un particolare clima di
tenerezza nei rapporti tra gli adulti e i minori e un'attenzione
speciale all'alimentazione, all'orario dei pasti,
all'abbigliamento dei bambini.
Dal XII
secolo una legge canonica regolamentò l'usanza: una
bolla papale di Celestino III stabilì che un ragazzo, offerto
dal padre al monastero, poteva lasciarlo, se lo desiderava, al
raggiungimento della maggiore età e che soltanto un voto
solenne emesso da adulto lo rendeva monaco.
LO
SCRIPTORIUM E GLI AMANUENSI
Un monaco
amanuense chino sulla pergamena intento al lavoro di scrittura
è ormai entrato a far parte dell'immaginario collettivo
rispetto al Medioevo.
Una
scuola per monaci copisti fu fondata da Cassiodoro nel monastero
calabrese di Vivarium. Ricco di libri, il monastero fu anche sede di
un laboratorio di scrittura dove, secondo le intenzioni del
fondatore, gli amanuensi avrebbero dovuto imparare la grammatica, la
retorica, il latino, la matematica, la geometria, l'astronomia,
la musica, discipline essenziali per stabilire l'esattezza di
un testo, trascriverlo correttamente, interpretarlo e commentarlo.
Il
programma di Cassiodoro, molto ambizioso, non trovò una
risposta adeguata tra i suoi monaci, non sufficientemente colti per
apprezzarlo e applicarlo. Avrebbe però dato i suoi frutti in
epoca successiva, soprattutto con le scuole dell'età
carolingia.
Gli
amanuensi lavoravano a volte nel corridoio nord del chiostro, di
fianco alla chiesa, ma generalmente il monastero disponeva di un
locale separato, fuori dal chiostro, espressamente adibito
all'attività: lo scriptorium. Il progetto del
monastero di S.Gallo, nel IX secolo, prevedeva uno scriptorium molto
spazioso, ubicato sopra la biblioteca, in cui avrebbero trovato posto
sette tavoli da lavoro.
LA
PERGAMENA
Il
supporto scrittorio dei manoscritti medievali era la pergamena,
ottenuta dalla pelle di animali, in particolare mucche, pecore e
capre. La loro forma rettangolare influenzò quella dei libri,
una convenienza che ancora oggi è in uso. Le pelli scuoiate
subivano un lungo trattamento: erano lavate, immerse in acqua di
calce, sciacquate per eliminare tutto il pelo, levigate e stirate
ripetutamente su assi di legno in modo da risultare il più
possibile sottili: la qualità della pergamena era infatti
legata alla sua sottigliezza, quasi trasparenza. Ogni rettangolo di
pergamena era ripiegato a metà una, due, tre volte a formare i
folia: il bifolium, la forma più grande piegata
una sola volta, il quarto, piegata due volte, l'ottavo
piegata tre volte.
Prima
della scrittura l'amanuense preparava la pagina: con uno
strumento metallico appuntito praticava delle incisioni allo scopo di
assicurare l'allineamento delle righe scritte, quindi con il
piombo o con sostanze colorate tracciava delle linee che in molti
manoscritti sono tuttora visibili. Il testo era diviso in colonne, in
numero variabile. Se il libro era destinato a una lettura ad alta
voce, come ad esempio la Bibbia, il testo era disposto su due o tre
colonne per agevolare la lettura.
Il costo
della pergamena incideva fortemente sul prezzo del manoscritto anche
per l'alto numero di animali necessari a fornire la materia
prima e alcune abbazie, prima di dare un manoscritto in prestito,
richiedevano una cauzione. Nel secolo XI la contessa d'Angiò
pagò un volume miniato di omelie con 200 pecore, 1 moggio di
grano, uno di segale, uno di miglio e un certo numero di pelli di
martora mentre un abate inglese versò 50 marchi d'argento
per una Bibbia commentata: nella stessa epoca la costruzione di due
arcate di un ponte di Londra era costata 37 marchi e ½.
Per i
manoscritti meno importanti e per gli scritti di uso più
comune erano spesso usate pergamene cancellate e riutilizzate; oggi,
con reagenti chimici e raggi ultravioletti, è possibile
leggere il testo cancellato in queste pergamene riscritte che si
chiamano palinsesti. L'inventario di S.Colombano di Bobbio
presentato nel Doc. 14 contiene un interessante particolare:
per riparare una probabile lacerazione sul retro fu incollato un
pezzo di pergamena che reca un frammento di canto, con note e parole:
un "avanzo" che il monaco diligentemente recuperò
diremmo noi dal cestino e che è diventato anch'esso
documento.
Il
copista si serviva di penne dure e flessibili, in genere di oca o di
cigno, che potevano essere facilmente appuntite. La punta veniva
tagliata diversamente a seconda del tipo di scrittura: nettamente per
la scrittura carolina, ad angolo obliquo per quella gotica.
L'inchiostro era ottenuto o con il carbone oppure mescolando
solfato di ferro e tannino ricavato dalle galle delle querce. La
maggior parte dei testi era scritta in nero; il rosso veniva usato
nelle righe iniziali e finali, nelle intestazioni, nelle glosse molto
estese. Nei Libri d'Ore e nelle pagine di calendario dei
Salteri si scrivevano in rosso i giorni di festa e quelli in cui si
faceva memoria dei Santi.
Lo
scrivano disponeva anche di uno strumento con cui raschiava la
pergamena in caso di errore.
I monaci
amanuensi dell'Alto Medioevo non sempre sapevano leggere,
pertanto il testo copiato riportava sovente errori. Le correzioni a
margine o all'interno del testo stesso erano frequenti.
Singolari risultano le giustificazioni talora scritte accanto alle
correzioni: "La lampada emana una luce fioca", oppure
"Questa pagina è stata copiata in fretta", o
ancora "Questa pergamena è troppo pelosa".
Alcuni di
loro eccelsero però in prestazioni di altissimo livello. Nella
miniatura a fianco è presentato il monaco benedettino
Eadwinus, (XII secolo), che una pagina del Salterio di Canterbury
definisce "principe dei copisti".
foto
In
seguito i copisti svolsero la loro attività nelle officine
laiche e la loro formazione fu curata nelle città
universitarie.
Il
manoscritto poteva essere decorato con disegni eseguiti da artisti
specializzati.
Completato
il lavoro di scrittura e decorazione i fogli erano cuciti assieme e
posti tra copertine di legno a loro volta ricoperte di stoffa o di
pelle; una fodera di velluto, di seta o di pelle proteggeva
ulteriormente il libro. I bordi esterni erano tenuti insieme da
fibbie.
LA
MINIATURA
Il
termine deriva da minium, un pigmento rosso molto usato dai
pittori, e non già, come erroneamente molti credono, da
diminuere, cioè creare in piccole dimensioni.
Elementi
decorativi per eccellenza, le miniature variarono attraverso i secoli
con grande ricchezza di decorazioni, di soggetti, di forme, di
localizzazione all'interno del manoscritto.
Di
particolare valore erano le iniziali: nei Salteri e nelle grandi
Bibbie gli incipit di testi particolarmente importanti erano
introdotti da una grande iniziale che poteva contenere la scena di
una storia o figure di persone o animali o elementi decorativi. I
bordi delle pagine a volte formavano una cornice oppure potevano
decorare lo scritto con elementi a foglie e fiori.
Il
miniaturista utilizzava una vasta gamma di colori; il più
ricercato era l'azzurro, ottenuto dal lapislazzuli, una
costosissima pietra proveniente dall'Afghanistan: l'artista
lo usava solo per gli elementi più importanti, per esempio gli
abiti della Madonna.
Un
particolare che caratterizza la miniatura è la luminosità
data dall'oro, applicato in foglia o dipinto con una tecnica
detta alluminatura.
Le
miniature medievali si espressero in stili molteplici, a seconda dei
centri di produzione, dell'epoca, del testo a cui si
riferivano. Quelle che ornavano i libri religiosi rispondevano,
nell'intenzione dei committenti e degli artisti, all'esigenza
di esaltare la grandezza e la magnificenza di Dio e della sua
creazione. La bellezza delle miniature diventava così un fatto
educativo, così come lo erano gli affreschi che coprivano le
pareti delle chiese e che costituivano una vera e propria Biblia
pauperum per la popolazione in massima parte analfabeta.
Allo
studioso la miniatura medievale si presenta anche come un documento
del quotidiano medievale: le immagini riprodotte costituiscono
infatti una preziosa fonte di informazioni su abbigliamento,
abitazioni, attività lavorative, paesaggio, flora, fauna...e
rivelano credenze, interessi, gusti, abitudini, mentalità
degli uomini del Medioevo.