La Cappella dei Mercanti è il frutto del lavoro di frescanti, pittori, minusieri, doratori, scultori: al poco significativo aspetto architettonico si contrappone una straordinaria ricchezza decorativa che include grandi e bellissime tele, ricche cornici, statue, affreschi, oltre all’altare pregiato in marmi policromi, all’organo e ai banchi lignei. Grazie ai libri dell’archivio della Congregazione è stato ricostruito il percorso della sua creazione, a partire dalla sua fondazione per volere di Padre Agostino Provana.
La Pia Congregazione dei Banchieri Negozianti e Mercanti
La Pia Congregazione dei Banchieri Negozianti e Mercanti nasce ufficialmente a Torino nel 1663 in seguito all’arrivo in città di numerose famiglie di mercanti di origine straniera, come gli Audifredi, commercianti in seta, i Barbaroux, i Barel di Lione, i Borbonese, i Dupré, i Martin, i Laurent, i Rasini. Da altre cittadine piemontesi giungono i Calandra, provenineti da Acceglio, cappellari del sovrano, i drappieri di Chieri Buschetti, i Gamba di Moncalieri, speziali e banchieri, i Gargano di Chieri, setaioli e banchieri, i mercanti Gianotti e Sclopis di Giaveno, solo per citarne alcuni. Fin dal 1634 tuttavia alcuni mercanti e banchieri si erano già riuniti in una Congregazione sotto il titolo della Madonna della Fede.
Nella prima metà del XVII secolo a Torino la classe mercantile è sicuramente la più agiata, accanto ai nobili. Lo scopo della Congregazione è quello di sostenere i confratelli eventualemente caduti in disgrazia. Agli iniziali 15 confratelli del 1663, già nel 1665 se ne contano 65; a fine secolo sono 281.
Le regole fondamentali della Congregazione, già in vigore fin dalla sua nascita, vengono messe per iscritto nel 1833: in particolare si tratta della S. Messa aperta a tutti nei giorni festivi e dell’elargizione di somme di denaro a favore di persone o Istituti religiosi bisognosi.
La Cappella e i padri Gesuiti
Nella Torino seicentesca i padri Gesuiti sono particolarmente attenti alla crescita del ceto mercantile, che individuano come punto di forza nello sviluppo all’interno della società, del nuovo modello di cattolicesimo riformato di cui sono i principali promotori.
La congregazione torinese infatti, fin dall’anno della sua nascita viene, per opera degli stessi Gesuiti, aggregata alla congregazione primaria dell’ordine. Ai confratelli torinesi è concesso l’uso della cappella posta all’interno del collegio gesuitico di Torino. Dopo trent’anni il rettore dei Gesuiti, padre Agostino Provana, decide di destinare ai confratelli una cappella più ampia, eretta a spese dell’ordine, all’interno del complesso dei Santi Martiri, sull’attuale via Garibaldi, all’epoca via Dora Grossa, la cui prima pietra era stata posta nel 1577, per opera di Pellegrino Tibaldi.
Pellegrino Tibaldi (Puria in Valsolda, Como 1527 – Milano 1596)
L’architetto, pittore e scultore era un uomo di fiducia di san Carlo Borromeo: nella chiesa dei Santi Martiri a Torino, come in numerose altre sue opere, esprime, attraverso l’architettura i rigidi dettami della controriforma. La chiesa dei Santi Martiri è infatti concepita a navata unica, in modo da favorire il raccoglimento del fedele verso il predicatore. Tibaldi come pittore si forma a Bologna, oltre che a Roma. Rietrato a Bologna lavora per il cardinale Poggi, di cui decora il palazzo di famiglia con le Storie di Ulisse (1554). Dopo l’incontro ad Ancona con Borromeo la sua attività architettonica si svolge al servizio dei dettami della controriforma. Trasferitosi a Milano, nel 1567 è prefetto della Fabbrica del Duomo, di cui progetta la ristrutturazione del presbiterio, oltre che alcuni altari: il suo gusto decorativo è strettamente manieristico. Tibaldi, a cui si deve anche il progetto della chiesa di San Gaudenzio di Novara, nel 1586 viene chiamato da Filippo II in Spagna, dove lavora alle decorazioni dell’Escorial.
La Cappella, dichiarata «monumento nazionale» dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1910, viene eretta nel 1692: i Gesuiti avevano infatti fatto ricostruire il loro Collegio, attiguo alla chiesa dei Santi Martiri, su progetto dello stesso Provana, che da un anno era anche direttore della Pia Congregazione.
La cappella, inaugurata alla fine del 1692, viene concepita come un unico spazio rettagolare di venti metri per dieci, con la volta lunettata ornata dai bellissimi affreschi di Stefano Maria Legnani, in quegli anni impegnato anche nella decorazione di Palazzo Carignano e del Palazzo Provana (in via Corte d’Appello), a pochi passi dalla cappella.
Le pareti della Cappella sono ritmicamente spartite dalla presenza di quadri inseriti in poderose cornici. L’aula ha un aspetto riservato e sobrio nel suo insieme, secondo la diffusa tendenza nelle confraternite degli ordini predicatori a mantenere un carattere di segretezza e riservatezza, accentuato anche dall’accesso laterale e defilato, progettato da Bernardo Vittone nel 1769.
L’arretramento del Palazzo dei Gesuiti
Nel 1769 si rende necessario modificare l’accesso alla Cappella in seguito alla richiesta di Carlo Emanuele III di rettificare via Dora Grossa. La cappella viene allora collegata direttamente alla chiesa dei Santi Martiri e all’ingresso principale, mediante due gallerie ortogonali: la prima con accesso alla chiesa e alla sagrestia, la seconda, invece alla cappella, per mezzo di brevi rampe.
Nel 1771 la Congregazione decide poi aprire una seconda porta, verso la contrada di Dora Grossa, per ottenere un ingresso indipendente. Questo viene in seguito murato e oggi ne resta solamente il portale in pietra grigia.
Il ciclo pittorico
La Cappella viene intitolata, oltre che alla Madonna Santissima della Fede, anche alla Festa dell’Epifania.
Agostino Provana incarica della decorazione della volta il pittore milanese Stefano Maria Legnani detto Legnanino (qui aiutato dal fratello Tommaso), che nel 1695 conclude il lavoro, a spese della Compagnia del Gesù che paga la decorazione £ 5942.
Una piccola parte della somma spetta anche ai fratelli Grandi di Milano, che si occupano dell’impianto architettonico dipinto su cui Legnani inserisce le proprie figure. La collaborazione fra i “figuristi”, pittori specializzati nelle figure, e i “quadraturisti”, esperti nelle architetture illusionistiche dipinte, è propria del XVII e del XVIII secolo, quando si diffonde il gusto per la realizzazione di affreschi monumentali e decorativi in edifici profani o sacri. Le quadrature dipinte, opera di artisti emiliani e lombardi, strettamente connesse alle scenografie dell’epoca, sostituiscono infatti cornici in stucco e intagli, generalmente realizzati in Piemonte dai maestri luganesi.
I pittori Giovan Battista e Gerolamo Grandi erano originari di Varese, dove erano nati intorno alla metà del XVII secolo. Attivi soprattutto a Milano, creano nella cappella un grande cornicione mistilineo giallo sorretto da una complessa struttura barocca con colonne lisce dipinte a finto marmo, archi, mensole monumentali e volute. Agli angoli collocano medaglioni monocromi incorniciati da foglie dorate e retti da figure che appaiono come altorilievi in stucco. Tutta questa parte di decorazione viene realizzata con una prevalenza dei toni del grigio, tipica della loro produzione. Prima di lavorare a Torino, infatti erano stati impegnati al Sacro Monte di Orta, dove probabilmente avevano incontrato Legnani, attivo alla realizzazione della XVI Cappella, che avrebbe lasciato incompiuta, essendo stato chiamato a Torino da Provana.
L’impianto iconografico generale della Cappella dei Mercanti spetta probabilmente al committente dei lavori, padre Agostino Provana.
Nelle scene a monocromo, ispirate alla Genesi, il primo libro della Bibbia, si trovano gli antenati di Cristo: i tre Patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe.
Il primo ovato monocromo illustra la fede e l’obbedienza di Abramo, che guidato dal Signore è disposto persino a sacrificare il proprio figlio Isacco, prefigurazione della morte di Cristo, immolato da Dio, suo padre, per salvare tutti gli uomini.
Ai lati dell’altare si trovano i monocromi dedicati a Giacobbe: Giacobbe, dopo aver comprato la progenitura dal fratello Esaù, ottiene la benedizione del suo anziano padre, Isacco; nel secondo monocromo viene invece raffigurato il Sogno di Giacobbe. La scala percorsa dagli angeli, che il patriarca vede, è il simbolo della scala che l’umanità dovrà percorrere con l’aiuto della Grazia, per salire in Cielo.
Da Giacobbe, ribattezzato Israele, nasceranno i capostipiti delle dodici tribù. Queste regneranno fino all’arrivo del Messia, indicato dalle profezie, che spingeranno i Magi alla sua ricerca. Come diretto antenato del Messia viene scelto il re Davide, rappresentato in una lunetta (in parte coperta parzialmente dall’organo) mentre si inchina davanti a Salomone che lo consacra, secondo la narrazione presente nel Libro dei Re.
Nel quarto monocromo Davide, re d’Israele, è rappresentato anziano, mentre canta i salmi in lode del Signore.
Sulla parete opposta, al di sopra dell’altare, si trova una seconda lunetta con il profeta Daniele, di fronte a cui si prostra il sovrano Nabucodonosor. Daniele aveva infatti profetizzato la caduta dei grandi regni pagani. Legnanino affresca poi altre figure di Profeti e di Sibille sopra il cornicione ligneo.
Il pittore, capace di svincolarsi in parte dagli schemi tardo barocchi si apre qui al linguaggio più libero e leggero del tardobarocco. Nato a Milano nell’aprile del 1661 vi mantiene negli anni la propria residenza, acquisendo corpose ricchezze grazie alla sua apprezzata attività artistica. Figlio e nipote di pittori, si forma in seguito a Bologna, presso Carlo Cignani e a Roma, all’Accademia di Carlo Maratta. Nelle sue opere non viene mai meno il carattere emiliano, e in particolare la diretta conoscenza di Correggio, come si può vedere nei bellissimi visi di putti e angeli presentia anche nella Cappella. Quando giunge a Torino, nel 1694, Legnanino ha da poco concluso uno dei suoi più importanti lavori, la decorazione del Duomo di Monza. La sua poetica personale lo conduce ad una rielaborazione della pittura secentesca romana (attraverso Pietro da Cortona) e genovese (Domenico Piola), oltre che delle vertiginose visioni del Padre gesuita, originario di Trento, Andrea Pozzo che Legnanino può vedere nella chiesa di San Francesco Saverio a Mondovì. Pozzo aveva realizzato pochi anni prima anche il soffitto della chiesa dei Santi Martiri di Torino, con la Gloria del santo fondatore dell’ordine, Ignazio di Loyola, un’opera purtroppo persa e sostituita da pitture ottocentesche.
La volta affrescata da Legnanino per la Cappella illustra una serena e luminosa visione del Paradiso: al centro è Dio Padre, sollevato dagli angeli su un trono di nubi, nell’atto di presentare il proprio Figlio ai personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, dai Progenitori, ai Patriarchi, ai Profeti, in un festoso volteggiare di putti inneggianti alla venuta del Salvatore. Le figure, rappresentate in scorci arditi, investite dalla luce emanata da Cristo sono caratterizzate da colori chiari e cangianti, dove prevalgono, il giallo, il blu e l’azzurro.
Andrea Pozzo (Trento 1642 – Vienna 1709)
Pittore e scenografo, Pozzo, dopo un breve periodo di lavoro svolto a Trento entra nel 1665 nella Compagnia del Gesù, compiendo viaggi a Venezia e a Genova. Giunto a Torino nel 1675 vi affresca la volta della Chiesa dei Santi Martiri, spostandosi tra il 1676 e il 1679 a lavorare a Mondovì alla chiesa di San Francesco Saverio. Nelle sue opere si evidenzia il gusto per l’illusionismo e gli sfondati scenografici, culminante nella realizzazione della Gloria di Sant’Ignazio a Roma (Chiesa di Sant’Ignazio) realizzata tra il 1691 e il 1694. Il pittore scrive poi il trattato Perspectiva pictorum et architectorum, un testo fondamentale per gli scenografi settecenteschi. Dal 1703 Pozzo è a Vienna: qui lavora alle decorazioni del Palazzo dell’Università, del Palazzo Liechtenstein e del Collegio dei Gesuiti.
Al momento dell’inaugurazione alle pareti si trovano già tre quadri degli iniziali 14 commissionati (poi ridotti di numero) a diversi artisti. Gli ultimi verranno collocati a dimora nel 1712. Fra questi sono anche due tele opera di Legnanino: Re Davide che medita il mistero dell’Epifania e l’Aprimento dei Tesori dei Santi Re. La prima tela giunge da Milano nel 1695, e viene donata alla Cappella da tre confratelli della congregazione: Giuseppe Occellis, Michele Liberale e Giovanni Matteo Teodoro Aymone. La seconda, più tarda, di carattere meno accademico, risale al 1705 e viene donata dal confratello Giovanni Giuseppe Albertino, appartenente ad una famiglia di mercanti di Carmagnola. Il tema trattato è tratto dalla parte I del Vangelo di Matteo.
A Padre Pozzo spettano invece cinque tele: dietro l’altar maggiore si trovano collocate l’Adorazione dei Magi (già presente nella cappella al momento dell’inaugurazione), la Natività con i pastori e la Fuga in Egitto, le ultime due arrivate a Torino nel 1701. La pittura del padre gesuita appare qui debitrice dell’attività di Rubens, come mostra la luce calda che la caratterizza. Al 1703 risalgono invece le altre due tele di Pozzo: la Comparsa della stella e la Strage degli Innocenti.
Oltre a Legnanino e Pozzo, è impegnato nel ciclo pittorico anche Sebastiano Taricco, pittore di Cherasco, che si forma a Bologna e a Roma. A lui si devono l’Annuncio ai Magi e Erode con i Magi ed i Serpenti che interrogano le Sacre Scritture: nei suoi dipinti appare chiara la conoscenza diretta delle opere di Pozzo al Santuario di Vicoforte, dove lavora.
Ad un pittore di levatura minore, Luigi Vanier, ritrattista di corte, spetta il dipinto con i Magi che si fermano all’arrestarsi della stella sulla Capanna di Betlemme.
Di Niccolò Carlone, figlio e discepolo di Giovanni Battista, è l’ultima tela della Cappella, con Il Corteo dei Magi vicini a Gerusalemme. La famiglia del pittore, di origine lombarda - ticinese si era stanziata per lungo tempo a Genova. Niccolò viene infatti descritto dalle fonti come attivo collaboratore del padre e del fratello in chiese e palazzi genovesi. L’artista risultava già morto nel 1714.
La lettura iconografica del ciclo
La pittura barocca riveste un ruolo dominante nelle arti del Seicento, svincolandosi dalla sua dimensione di ancella dell’architettura, condizione che aveva rivestito durante il secolo precedente. Alla pittura vengono ora affidati i messaggi più importanti che si vogliono divulgare alle masse: al suo valore didascalico si accompagna un impianto scenografico, imponente, sfavillante, capace di colpire e attrarre lo spettatore, tutti elementi che caratterizzano la Cappella dei Mercanti. L’intero ciclo di affreschi e dipinti attende a un preciso discorso teologico che gli spettatori sono chiamati a conoscere attraverso le immagini.
La decorazione è incentrata sul percorso salvifico dell’umanità, grazie all’Epifania di Cristo, iniziato nella prefigurazione della chiesa nel Paradiso terrestre, preparato dal popolo di Israele attraverso i Patriarchi e concretizzatosi nella venuta del Messia, in cui Dio si rivela agli uomini per continuare il suo progetto di salvezza eterna attraverso la chiesa stessa. La comparsa del Salvatore sulla terra è la prefigurazione della manifestazione della chiesa nel mondo.
Al centro del soffitto, come si è appena visto, infatti spetta all’affresco di Legnanino il ruolo centrale in tutta la narrazione: la presentazione da parte di Dio Padre del proprio Figlio all’umanità intera. L’annuncio presente nell’Antico Testamento viene ripreso nelle parti alte della cappella dove compaiono le sibille e i patriarchi, culminanti, da un lato nella figura di Davide, progenitore di Gesù, e dall’altro in quella di Daniele, che annuncia la caduta di tutti i regni di fronte all’unico capace di non finire mai, quello di Cristo.
Il terzo livello è costituito dal ciclo di tele che si trovano appena sopra gli stalli riservati ai confratelli. Si tratta del livello narrativo in cui trovano espressione le prefigurazioni dell’Antico Testamento: la nascita di Gesù a Betlemme, la sua manifestazione ai pastori e soprattutto ai Magi, che rappresenta simbolicamente la manifestazione del disegno salvifico divino in primis ai confratelli stessi e dunque ad ogni uomo.
Il ruolo dell’Epifania e l’iconografia dei Re Magi all’interno della cappella
La festa dell’Epifania, celebrata nel periodo invernale era molto sentita presso la corte torinese, che la celebrava con spettacoli e con lo scambio di doni, da cui mercanti, banchieri, negozianti spesso erano beneficati.
I Magi, i sapienti del mondo orientale, attendendo la venuta del Salvatore, interpretano la stella come segno di nascita miracolosa e riconoscono l’atteso Messia nel Bambino nato a Betlemme. La narrazione della loro venuta, presente nel Vangelo di Matteo trova ulteriori riscontri anche nei Vangeli Apocrifi (ritenuti non ufficiali dalla Chiesa), oltre che negli scrittori della Chiesa: Girolamo, Agostino, Leone, Giovanni Crisostomo, Ambrogio e Gregorio, tutti presenti all’interno della Cappella nelle statue realizzate da Carlo Giuseppe Plura.
I Re Magi sono generalmente rappresentati secondo la descrizione datane dal Venerabile Beda nel XIII secolo: Melchiorre appare come un anziano canuto, a cui spetta offrire l’oro (simbolo del cuore ardente di carità); Baldassarre, un uomo maturo, di solito raffigurato con la pelle scura, offre la mirra (simbolo di pentimento e mortificazione); infine Gasparre, il più giovane, spesso imberbe, porta l’incenso (con cui i Magi consacrano a Gesù lo spirito).
Nella vecchia Cappella della Congregazione inoltre, prima della realizzazione del ciclo di fine Seicento, esisteva un dipinto di Guglielmo Caccia (il Moncalvo) con l’Adorazione dei Re Magi, attualmente collocato nella sagrestia.
I dipinti del ciclo che vanno letti a partire da sinistra, in senso orario, si legano strettamente alla rappresentazione della volta: il primo quadro di Legnanino con Re Davide che medita sul mistero dell’Epifania ha infatti per protagonista il vecchio re, simbolo della sapienza divina: sullo sfondo possiamo vedere l’evento dell’Epifania.
Il dipinto seguente mostra i Magi colti di sorpresa dalla stella, indicata loro da una figura angelica.
Successivamente è il quadro di Taricco con Erode che interroga i saggi.
La scena seguente, opera di Vanier, narra l’arrivo dei Magi alla capanna: Melchiorre, appare come di consueto come un anziano canuto, Baldassarre, dalla pelle scura, vestito di ricchissimi abiti, cavalca un dromedario tenuto da un servitore, infine Gasparre, il più giovane è rappresentato in atto devoto.
Il dipinto successivo, opera di Legnanino è l’Aprimento dei Tesori: i Magi appaiono raffigurati come simbolo dell’umanità intera. Gasparre è la giovinezza, Baldassarre la più consapevole maturità, Melchiorre rappresenta la saggezza della vecchiaia.
Successivamente si incontra l’Annuncio dell’Angelo di Taricco: un angelo irrompe mentre i Re Magi dormono; solo Melchiorre sembra già sveglio.
I momenti centrali della vicenda e, in particolare la pala d’altare con l’Adorazione dei Magi, spettano a Padre Pozzo. Il dipinto, dal grande effetto scenografico, mostra i sapienti chini, di fronte alla Vergine con il Bambino, illuminata da una luce fortissima che concentra su Gesù la nostra attenzione. Ai due lati di questo quadro sono l’Adorazione dei Pastori e la Fuga in Egitto: in quest’ultimo dipinto la Vergine si appoggia a san Giuseppe che la sostiene mentre procede su un terreno accidentato illuminato dall’angelo. Segue la Cavalcata dei Magi verso Betlemme di Carlone e infine, chiude il ciclo il drammatico dipinto con la Strage degli Innocenti di Andrea Pozzo.
Bibliografia essenziale
L. Tamburini, Le chiese di Torino dal rinascimento al barocco, Torino 1968
AA. VV., La Cappella dei Mercanti. Storia e immagini per una ricca Congregazione, Torino 1986
M. Dell’Omo, Il Legnanino, Ozzano Emilia (Bologna) 1998
M. Caldera, V. Moratti, Itinerari per Legnanino fra Novara e il Torinese, in Palazzo Carignano. Gli appartamenti barocchi e la pittura del Legnanino, catalogo della mostra (Torino 2011), a cura di E. Gabrielli, Firenze 2011, pp. 241-257, in part. pp. 250-251.