NUMEROLOGIA IN DANTE
Nella
Divina Commedia ripetuti e importanti sono i riferimenti ai numeri, che
rispondono a una duplice funzione: strutturale e simbolica.
La
funzione strutturale del numero
emerge sia nelle partizioni interne del poema (metrica, canti), sia nella
cosmologia. Dante utilizza nella sua opera terzine incatenate di endecasillabi.
Inoltre, il poema consta di cento canti distribuiti in tre cantiche (
Inferno,
Purgatorio,
Paradiso), ognuna delle quali è costituita a sua volta
da trentatré canti, più un canto di introduzione (il canto I dell’
Inferno)
all’intero testo. Ogni regno dell’aldilà è formato da un numero determinato di
cerchi e gironi: l’Inferno è caratterizzato da nove cerchi (con ulteriori
suddivisioni interne per i cerchi VII, VIII e IX), il Purgatorio da sette
cornici (per un totale di nove zone se si considerano l’Antipurgatorio e il
Paradiso Terrestre) e il Paradiso da nove cieli mobili, racchiusi in un decimo
cielo, immateriale e immobile, denominato Empireo. Questi numeri non sono
casuali: essi rispondono a una trama simbolica che risultava visibile al lettore
medievale.
La
funzione simbolica del numero è fondamentale per dare significato a questi
dati, che non sono puro gioco aritmetico. I numeri che maggiormente si ripetono
nel poema sono l’uno, il dieci, il tre, il nove e il sette.
L’
uno
rappresenta l'origine di tutte le cose, la perfezione, l'assoluto e la divinità.
E’ dunque la sorgente di ciò che esiste, di ciò che è altro dall'Uno: da esso
emanano le forme, le dimensioni, i colori, le direzioni, lo spazio, quindi il
tempo, dunque la Diversità. L'Uno è il punto, la retta (l'asse), la sfera.
Nell'Uno coesiste il Tutto inespresso e indifferenziato dal quale rimarrà
necessariamente distinto; in tal senso è Pienezza e Completezza.
Il
dieci è la rappresentazione di Uno in una
"ottava" maggiore e significa la fine di un importante ciclo dal quale
scaturirà un cambio di circostanze. Allude alla totalità della realtà
rappresentata.
Il
tre rimanda alla Trinità cristiana: rappresenta dunque la coincidenza in Dio
di unità e molteplicità. E’ associato alla Perfezione, alla Fede e alla
Conoscenza.
Il
nove, che era considerato un numero sacro dagli antichi, rappresenta il
cambiamento, l'invenzione e la crescita attraverso l'ispirazione e la perfezione
massima poiché quadrato del numero tre.
Il
sette è il numero della perfezione umana, intesa come riepilogo completo
delle possibilità dell’uomo. Settanta è il numero della vita perfetta (da cui la
perifrasi dantesca che, nel primo verso del poema, indica i trentacinque anni di
età del poeta), della settimana (i sei giorni della creazione più il
dies
dominicus), dei Sacramenti, ma anche, in negativo, dei vizi capitali
(richiamati nelle sette cornici del Purgatorio). E, anticamente, il
sistema solare consisteva di sette pianeti e nel corpo umano si
individuavano sette plessi.
Tra
parentesi, va ricordato che, accanto alla simbologia cristiana, che è quella a
cui Dante fa riferimento, alcuni di questi numeri avevano anche un significato
negativo nell’ambito della magia e dell’occultismo. Di particolare rilevanza è
il significato attribuito al tre e al sette: il tre viene inteso come simbolo
demoniaco o innaturale in quanto nessuna creatura al mondo cammina con tre
gambe; il sette è associato al dubbio, all’inganno e alla menzogna.
Nella
Divina commedia, il numero non contribuisce solo alla costruzione
strutturale dell’opera, ma è anche presente in specifici passi, dove il suo
valore allusivo potenzia in chiave allegorica il significato delle parole.
Abbiamo scelto tre esempi, ricavati dalle tre cantiche del poema.
INFERNO
Dante
e Virgilio nel
canto XI sono ancora fra gli eretici. Qui Virgilio
istruisce Dante sulla struttura degli ultimi tre cerchi infernali, dove vi sono
coloro che hanno commesso azioni sgradite a Dio aventi come fine la violazione
del diritto, commessa a danno di altri o con la violenza o con la frode, sino al
peccato più grave, il tradimento.
versi 28-30
Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone, 29
in tre gironi è distinto e costrutto.
Nella terzina l’autore afferma che il settimo cerchio
che raduna i violenti è suddiviso in tre gironi, in base
alle persone contro cui si è usata la forza: Dio
(bestemmiatori), se stessi (suicidi e scialaquatori) e il
prossimo (omicidi e predoni). In questi versi il 3
possiede due significati simbolici. Nel verso 29 il
numero ha un significato di completezza rispetto al
peccato descritto, mentre nel verso 30 il 3, definendo
il numero di gironi in cui è stato suddiviso il cerchio,
simboleggia la perfezione della giustizia di Dio.
versi 79-84
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole, 81
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?
Nelle due
terzine Virgilio spiega a Dante perché i peccatori compresi tra il Limbo e la
città di Dite sono colpiti meno dalla giustizia divina e lo invita a riprendere
l’
Etica Nicomachea, dove Aristotele suddivide i peccati in tre categorie
-
incontenenza nelle passioni, frode (
malizia) e violenza
dissennata (
matta / bestialitate) -, giudicando meno grave
l’incontinenza. Anche in questo caso il numero 3 possiede un valore simbolico di
completezza: infatti tramite questo numero il poeta parla di tutte le azioni che
vanno evitate secondo il volere divino e le ordina.
L'ordinamento morale dell'Inferno riflette alcuni aspetti dell'
Etica
nicomachea di Aristotele ripresi da Dante attraverso Tommaso d'Aquino e
Brunetto Latini. Il fondamento della vita morale è l'inclinazione naturale
dell'uomo verso Dio, che, secondo il testo evangelico di Giovanni "è amore"
(Giovanni 4,8). Qualsiasi forma di peccato, quindi, è da ricondurre ad un amore
eccessivo o sbagliato verso i beni materiali, oppure verso le creature terrene.
Su queste basi Dante suddivide i peccatori in nove cerchi concentrici,
degradanti verso il centro della terra, dove sono puniti i peccati più gravi. La
struttura dottrinale dell'Inferno richiama il costante utilizzo simbolico del
numero
3: i dannati sono infatti suddivisi in tre
categorie, ciascuna localizzata in una sezione decrescente della cavità
sotterranea. L'ordinamento delle pene, come dice
Virgilio nel
canto XI, dipende dall'
Etica
Nicomachea di
Aristotele, e prefigura una gerarchia del
male basata sull'uso della ragione. I peccatori più "vicini" a Dio e alla luce,
posti cioè nei primi più vasti gironi, sono gli incontinenti, quelli cioè che
hanno fatto il minor uso della ragione nel peccare. Seguono i violenti, che a
loro volta sono stati accecati dalla passione, sebbene a un livello di
intelligenza maggiore dei primi. Gli ultimi sono i fraudolenti e i traditori,
che hanno invece sapientemente voluto e realizzato il male.
PURGATORIO
Nel
"Purgatorio" di Dante vi sono numerosi riferimenti alla numerologia. Un
argomento di grande interesse è rappresentato dalla presenza di un numero dal
significato enigmatico: il 515. Questo numero, che in cifre romane si scrive DXV,
si trova nel
canto XXXIII, versi 37-45:
Non sarà tutto tempo sanza reda
l’aguglia che lasciò le penne al
carro,
per che divenne mostro e poscia
preda;
ch’io veggio certamente, e però il
narro,
a darne tempo già stelle propinque,
secure d’ogn’ intoppo e d’ogne
sbarro,
nel quale un cinquecento diece e
cinque,
messo di Dio anciderà la fuia
con quel gigante che con lei
delinque.
Se il
numero, DXV viene anagrammato può essere letto come la parola DVX, ossia
"comandante", che secondo alcuni studiosi si riferisce ad Arrigo VII di
Lussemburgo, re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero. Questa ipotesi
è avvalorata dall’importanza che Dante attribuiva al potere dell’imperatore,
come restauratore del Sacro Romano Impero. Secondo Dante il potere
dell’imperatore non doveva essere subordinato a quello del Papa, perché entrambi
erano scelti secondo un volere divino, per questo entrambi erano "messi di Dio".
Vi è però
anche un’altra ipotesi, considerata da molti valida. Secondo questa ipotesi DXV
sarebbero le iniziali di Domini Xristi Vicarius, cioè il Papa. Questa tesi è
meno credibile, sia per i contrasti che, nel corso della sua vita, Dante ebbe
con il Papa, Bonifacio VIII, sia per l’importanza che avrebbe attribuito a una
carica di cui aveva sottolineato più volte gli aspetti negativi.
Questo
numero rimane quindi senza una interpretazione certa e costituisce un piccolo
mistero (simile a quello del veltro) all’interno del poema.
Dante nel
canto XXVIII propone una sorta di censimento degli angeli e per
riuscire in questa incredibile impresa ricorre ad un efficace paragone con il
gioco degli scacchi, ove il numero e la matematica in generale possiedono una
particolare importanza. Nella terzina costituita dai versi 91-92-93 leggiamo:
L’incendio suo seguiva ogni
scintilla;
ed eran tante, che’l numero loro
più che’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
E’ forse
il maggior esempio della presenza della
funzione
simbolica del numero di tutto il
Paradiso.
L’immagine degli angeli che girano
nel proprio
cerchio sfavillante (
scintilla)
è biblica:
"Fulgebunt iusti et tanquam scintillae
in
arundineto discurrent" (Sap. III, VII,
8), mentre
s’inmilla è un neologismo
dantesco che ha il
significato di: il loro numero
s’inoltra nelle
migliaia e giunge ad un numero più
grande della
progressiva duplicazione degli scacchi
(La
somma dei primi 64 termini della
progressione
geometrica dei doppi a cominciare
dall’unità è
uguale a 264-1: un numero di venti
cifre
18446744073709551615).
Questa
terzina è quindi una allusione alla leggenda secondo la quale l’inventore degli
scacchi avrebbe chiesto, in premio, al re di Persia tanti chicchi di grano
quanti ne risultassero ponendo un chicco nella prima casella della scacchiera e
via via raddoppiandone il numero per ognuna delle 64 caselle; raggiunse così un
numero, per soddisfare il quale il grano del re era insufficiente. La lettura
della terzina è ancor oggi fonte di dibattito fra gli esperti, ma forse è più
facile e interessante comprendere il perché del ricorso, da parte di Dante, a
questa similitudine. Sono almeno tre le ragioni plausibili che possono spigare
questa scelta:
Una prima
ragione è che la mente si sofferma e stupisce nell’immaginare, pur non sapendolo
forse calcolare (ma a maggior ragione in questo caso), un numero così
enormemente grande, per quanto finito. Il riferimento matematico può dare una
percezione concreta della grandiosa molteplicità quelle intelligenze, più di
quanto potrebbe fare l’impiego, ad esempio, dell’aggettivo "infinito", dal
momento che l’indefinibilità del termine lo rende più sfuggente.
Una seconda ragione è che Dante, con il numero
espresso tramite il 1000 o con le sue potenze, ben adatta la similitudine al suo
intento di attenersi, sul numero delle intelligenze angeliche, alla dottrina
della Chiesa, che " dice crede e predica quelle nobilissime creature quasi
innumerevoli
(
Conv. II, V, 5 )"; il numero deve essere
quasi così grande che non si riesce a contare, non infinito quindi. Inoltre il
ricorso al 1000 può anche essere dovuto all’ "Erat numerus eorum millia millium"
dell’
Apocalisse, V, 11.
Una terza
ragione si può ricavare da quanto si legge nella
Summa Theologica di
Tommaso (I, q. CXII, 4) : "Moltitudo angelorum
trascendit omnem materialem multitudinem"; nei versi, il neologismo
dantesco
s’immilla
è ben più potente dell’effetto del doppiarsi, che già basterebbe a
indicare un numero che, come racconta la leggenda di Nassir, non può essere
uguagliato da una moltitudine concretamente rappresentabile.