IL MOSAICO PAVIMENTALE DEL DUOMO DI NOVARA



Veduta dell'interno del Duomo


Il mosaico collocato sul pavimento del presbiterio del Duomo di Novara si inserisce all'interno di una vasta produzione di manufatti consimili di area padana e del sud della Francia tra l'Alto e il Basso Medioevo che riprendono tecniche originarie della tarda antichità, nella fattispecie il cosiddetto opus tessellatum, costituito esclusivamente da tessere bianche, nere e rossicce. La datazione è discussa: l'ipotesi più probabile è intorno al 1132, anno della consacrazione della chiesa, le altre vanno dal V secolo, epoca del vescovo Gaudenzio, patrono della città, al XIII. Esso ricopriva in origine l'intera superficie pavimentale, ma rimase vittima della radicale trasformazione della chiesa operata a partire dagli anni trenta dell'Ottocento, culminata negli interventi di Alessandro Antonelli che ne configurarono l'attuale assetto di gusto marcatamente neoclassico a scapito di ogni elemento risalente a stili di epoche precedenti. Per la costruzione della scalinata di accesso al presbiterio il mosaico venne accorciato: il taglio operato è ancora perfettamente visibile nel punto di passaggio fra i gradini e il piano dell'attuale presbiterio.

Foto dall'alto


Le parti superstiti sono state restaurate da Giovan Battista Avon che vi aggiunse figure quali il pellicano, l'aquila e la fenice.

In seguito fu distrutta o ricoperta la decorazione della navata centrale dell'antica basilica. Alcuni frammenti vennero risparmiati: in particolare la figura di un giovane nimbato, il cosiddetto "Cristo Sole", che è conservata presso l'orfanotrofio di Santa Lucia; mentre resti della decorazione a scacchiera del contorno sono conservati presso la Canonica del Duomo stesso; altri frammenti decorativi sono dispersi fra il Museo Civico, il Capitolo del Duomo e il Collegio Gallarini. La figura di un pesce contenuta in un piccolo tondo è ricomparsa presso il Museo "Adriani" di Cherasco; altri pezzi potrebbero trovarsi, non identificati oppure deliberatamente celati, in collezioni pubbliche e private. L'unica testimonianza dell'opera originaria è fornita dalle descrizioni corredate di schizzi di due eruditi novaresi, Bartoli e Frasconi riportate da studiosi novecenteschi. Grazie ad esse è stato possibile ricostruire un'ipotetica "forma" dell'intera decorazione perduta.

Ricostruzione


Inoltre, nella zona presbiteriale restano ancora visibili i piccoli quadrati in porfido e tessere rosse che segnavano la base delle colonne dell'antico ciborio, anch'esso non più esistente.



Veniamo ai resti del mosaico pavimentale.

Una banda dentellata funge da cornice dell'insieme e da raccordo tra tutte le varie parti dell'opera. All'esame stilistico delle parti originali superstiti risalta una certa differenza fra la stesura accidentata e l'incerta delineazione delle figure e l'accuratezza e il gusto dei contrasti che qualifica le parti a motivi geometrici, che sono peraltro decisamente prevalenti rispetto ai campi figurati. La decorazione era strutturata in tre registri ciascuno formato da tre pannelli.

Il primo registro, collocato verso l'ingresso della antica costruzione, aveva carattere esclusivamente decorativo a motivi geometrici.

Il registro mediano ospitava l'altare, che costituiva dunque il centro fisico e ideale dell'intera figurazione: non a caso l'Avon, pur arbitrariamente, vi ha inserito la figura dell'Agnello Mistico. Ai due lati stanno i simboli degli Evangelisti, sulla cui superficie mosaicata spicca il porfido usato per gli occhi delle figure animali e per le borchie sulla copertina del libro di Matteo.



Il terzo registro, protetto oggi da pesanti tappeti, è rimasto pressoché integro e, nonostante gli interventi di Avon, è ancora leggibile nella sua sostanza iconografica. Al centro, fra due campi di motivi decorativi geometrici, stanno Adamo ed Eva, identificati da didascalie, in posizione eretta ai lati dell'Albero della tentazione, i cui frutti sono resi in porfido e serpentino e intorno al cui tronco si avvolge il Serpente. I progenitori già coprono con le foglie le parti intime, segno dell'avvenuto peccato.



Tutte le figure sono bianche su fondo scuro e sono contenute entro un cerchio dentellato bianco a sua volta incorniciato entro un rombo nero. Gli spazi liberi tra cerchio e rombo sono occupati da figure di volatili nere su fondo bianco. Ogni lato del rombo è spezzato al suo centro, cosicché dal contorno stesso si vengono a formare quattro spazi circolari bianchi che ospitano ciascuno una figura umana nuda che porta un'anfora d'acqua. Si tratta, come recitano le rispettive didascalie, delle immagini dei fiumi del Paradiso, Tigri ed Eufrate, Gehon e Phison, accompagnate da nere croci-stelle. Il tutto è inserito in un quadrato maggiore e gli spazi residui sono colmati da volatili. Un grande meandro bianco dà spazio nel suo snodarsi a pesci e uccelli vari.




Le due aquile affrontate e il candelabro ebraico sono invece invenzioni di Avon, il quale ha proseguito la decorazione anche oltre l'altar maggiore.



Alla complessa simbologia dell'insieme dedicheremo nel prossimo futuro un approfondimento specifico.

NB) Questa scheda è stata redatta da Willy Beck a partire dal testo di Fiorenza Marziani, Il mosaico pavimentale del Duomo in Museo novarese. Documenti, studi e progetti per una nuova immagine delle collezioni civiche, a cura di Maria Laura Tomea Gavazzoli, Comune di Novara-Istituto Geografico De Agostini, Novara 1987, pp. 194-200, e Appendici I e II di pp. 613-614, testi ai quali si rimanda per la bibliografia relativa.
Le fotografie sono state eseguite dal dott.Carlo Spinelli.
Si ringraziano il prof.Giorgio Brandone, don Carlo Maria Scaciga, direttore dell'ufficio Beni Culturali della diocesi di Novara, Roberto Garbasso e Dalmino Cestari per la loro disponibilità.