Percorso sulla retorica


di Laura Lorenza Sciolla
docente Scuola Secondaria di secondo grado

PARTE 3

Retorica ieri e oggi



La rinascita della retorica[i]
Nel corso della sua lunga storia, la retorica si è configurata come: Ridotta ad arida classificazione di tropi, sbeffeggiata dai Romantici, studiata solo nel chiuso delle aule universitarie, nell'Ottocento e nella prima metà del Novecento "la retorica, come riflessione se non come pratica, era proprio morta"[iii]. Eppure, inaspettatamente, nel giro di pochi anni non solo la retorica ha riconquistato il suo antico prestigio, ma ancora oggi si guarda ad essa come a una "scienza alla moda, ai confini tra strutturalismo, nuova critica e semiotica".[iv]
Barthes nel 1964 nota che "la retorica dovrà essere ripensata in termini strutturali"[v]; Genette si dà allo studio dei manuali del XVIII e del XIX secolo; Todorov propone un sistema di figure basato su "occupation, expolition e pronomination"[vi]; anche Jakobson si occupa di retorica, facendo della metafora e della metonimia l'emblema dei due assi del linguaggio. Inoltre,
"ad alcuni, il formidabile lavoro di classificazione operato dall'antica retorica sembra ancora utilizzabile, soprattutto se lo si applica a campi marginali della comunicazione o della significazione come l'immagine pubblicitaria".[vii]
Alla retorica guardano con interesse gli studiosi di diritto; la rivisitazione filosofica della retorica è al centro del poderoso Trattato dell'argomentazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca.



Retorica e letteratura
Prescindendo dalle cavillose tassonomie accumulatesi nel corso dei secoli, gli studiosi del Novecento si servono della retorica per spiegare "quali sono i procedimenti linguistici caratteristici della letteratura".[viii] Programma arduo, che prende le mosse dal concetto di figura (v. anche Il concetto di figura), che viene ripreso dagli antichi manuali, ampliato e approfondito sino a farne la base dell'analisi letteraria. La definizione di figura adottata dalla nuova retorica comprende la distinzione fra tropi e figure, tropi grammaticali e tropi retorici, figure di grammatica e figure di retorica, figure di parola e figure di pensiero, tropi e figure di dizione... La figura segna i contorni dello scarto fra lingua comune e lingua altra della letteratura, segnala l'ingresso nei territori della letterarietà. Al di là dei singoli procedimenti retorici che possono arricchire e movimentare l'espressione, in realtà tutto il testo letterario è una figura, perché tutto il testo è prodotto della lingua poetica, che rappresenta uno "scarto" rispetto ad una "norma" linguistica standardizzata, comune. Più che la ricerca delle singole figure, dunque, importa ritrovare i contorni della figura totalizzante che abbraccia tutto il testo, che lo delinea nella sua individualità, che lo marca come appartenente alla lingua d'arte.

Retorica e diritto
I legami fra la retorica e la giurisprudenza sono antichissimi: la retorica nacque infatti nelle aule dei tribunali (vedi Retorica ed educazione) e a lungo fu usata come un'arma dai principi del foro. La Nuova Retorica, tuttavia,

"non si limita alla giurisprudenza e alle tecniche processuali di difesa, ma estende le sue ricerche alla nozione di diritto e di giustizia; essa analizza il ragionamento del giudice che espone le ragioni di una decisione con un interesse maggiore di quello dell'avvocato che la sollecita. I risultati di queste analisi, che hanno come punto di partenza gli studi che Perelman ha raccolto in Giustizia e ragione, sono ripresi dal Gruppo di Bruxelles, che comprende filosofi, logici, giuristi e avvocati con interessi per la logica e la filosofia del diritto. I loro sforzi sono riusciti a dimostrare l'impossibilità di una giustizia perfetta e imperiosa, e proprio in base al valore in senso assiologico, cioè all'elemento arbitrario che ogni sistema normativo cerca di mantenere o sviluppare."[ix]

In questa prospettiva, le norme giudiziarie divengono semplici direttive d'azione, che indicano ciò che è imposto, proibito o permesso dal legislatore; non possono essere né vere né false, e le cosiddette antinomie giuridiche non possono essere considerate contraddizioni in senso logico, ma mancate concordanze fra direttive che riguardano lo stesso argomento. La logica giudiziaria non è e non deve essere di natura formale, ma argomentativa.[x]

Il trattato dell'argomentazione
In apertura al Trattato dell'argomentazione, Perelman e Olbrechts-Tyteca si pongono in contrasto con la tradizionale concezione della ragione e del ragionamento.

"La pubblicazione di un trattato dedicato all'argomentazione e la ripresa in esso di un'antica tradizione, quella della retorica e della dialettica, costituiscono una rottura rispetto a una concezione della ragione e del ragionamento, nata con Descartes, che ha improntato di sé la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli.
In effetti, sebbene nessuno possa negare che la capacità di deliberare e argomentare sia un segno distintivo dell'essere ragionevole, lo studio dei mezzi di prova utilizzati per ottenere l'adesione è stato completamente trascurato, negli ultimi tre secoli, dai sogici e dai teorici della conoscenza. Ciò si deve a quanto v'è di non costrittivo negli argomenti sviluppati a sostegno d'una tesi. La natura stessa dell'argomentazione e della deliberazione s'oppone alla necessità e all'evidenza, perché non si delibera dove la soluzione è necessaria, né s'argomenta contro l'evidenza.
Il campo dell'argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui quest'ultimo sfugge alle certezze del calcolo. Ora, l'idea nettamente enunciata da Descartes nella prima parte del Discorso sul metodo era di tenere ‘quasi per falso tutto ciò che fosse soltanto verosimile'. [...]
Il ragionamento more geometrico fu dunque il modello proposto ai filosofi desiderosi di costruire un sistema di pensiero che potesse avere dignità di scienza. Una scienza razionale non può, infatti, contentarsi di opinioni pià o meno verosimili, ma elabora un sistema di proposizioni necessarie che s'imponga a tutti gli esseri ragionevoli, e sulle quali l'accordo sia inevitabile. [...]
Dobbiamo dedurre [...] la conclusione che la ragione è del tutto incompetente nei campi che sfuggono al calcolo, e che là dove né l'esperienza né la deduzione logica possono fornirci la soluzione d'un problema, non resta più che abbandonarci alle forze irrazionali, ai nostri istinti, alla suggestione o alla violenza?
Opponendo la volontà all'intelletto, l'esprit de finesse all'esprit de géométrie, il cuore alla ragione, e l'arte di persuadere all'arte di convincere, Pascal aveva già cercato di ovviare alle insufficienze del metodo geometrico: insufficienze derivanti da ciò che l'uomo, per la sua caduta, non è più unicamente un essere di ragione.
A fini analoghi corrispondono l'opposizione kantiana di fede e scienza, e l'antitesi bergsoniana di intuizione e ragione. Ma che si tratti di filosofi razionalisti o di quelli che sogliono qualificarsi irrazionalisti, tutti continuano la tradizione cartesiana per la limitazione che impongono all'idea di ragione.
A noi sembra, invece, che si tratti di una limitazione indebita e del tutto ingiustificata del campo in cui interviene la nostra facoltà di ragionare e di provare." [xi]
Essi tracciano in questi termini la distinzione fra dimostrazione e argomentazione:
"Quando occorre dimostrare una proposizione, è sufficiente indicare in base a quali procedimenti essa possa essere ottenuta come ultima espressione di un seguito di deduzioni. [...] Quando invece si tratta di argomentare, cioè di influire per mezzo del discorso sull'intensità dell'adesione di un uditorio a determinate tesi, non è più possibile trascurare completamente, considerandole irrilevanti, le condizioni psichiche e sociali in mancanza delle quali l'argomentazione rimarrebbe senza oggetto e senza risultato. Ogni argomentazione mira infatti all'adesione delle menti e presuppone perciò l'esistenza di un contatto intellettuale.
Perché esista argomentazione, occorre che a un dato momento si realizzi un'effettiva comunanza spirituale. Occorre essere d'accordo previamente e in via di principio sulla formazione di questa comunità intellettuale, e in seguito sul fatto di discutere insieme una questione determinata: ciò non avviene affatto spontaneamente." [xii]
In un mondo troppo spesso segnato dal rifiuto del dialogo, l'argomentazione offre una via per gestire e trasformare i conflitti; è un segno di attenzione e di interesse  - e quindi di accettazione - nei confronti dell'interlocutore.
"Il minimo indispensabile all'argomentazione sembra sia l'esistenza di un linguaggio comune, di una tecnica che permetta l'argomentazione.
Ma ciò non è sufficiente, come meglio di chiunque altro dimostra l'autore di Alice nel paese delle meraviglie. In effetti gli abitanti di quel paese comprendono press'a poco il linguaggio di Alice, ma il problema per lei è quello di entrare in contatto, di intavolare una discussione, perché nel mondo delle meraviglie non esiste ragione alcuna per cui le discussioni abbiano inizio. Non si sa perché mai qualcuno dovrebbe rivolgersi a qualcun altro. A volte, Alice prende l'iniziativa e si serve senz'altro del vocativo ‘o Topo'. [...] Spesso persino le conversazioni già intavolate vengono troncate all'improvviso, come ad esempio la conversazione con il Lori, che voleva far valere la sua età:
Alice non volle ammetterlo senza almeno prima conoscere quanti anni avesse il Lori. La bestia si rifiutò di confessarlo e la conversazione fu troncata.
[...] Il mondo degli interlocutori ai quali ci si vorrebbe rivolgere è molto variabile e ben lungi dal comprendere, per ognuno, tutti gli esseri umani. Anzi, l'universo al quale il fanciullo vorrebbe rivolgersi, proprio nella misura in cui è precluso dal mondo degli adulti, si allarga per l'aggiunta degli animali e di tutti gli oggetti inanimati che egli considera come i suoi naturali interlocutori.
Esistono esseri con cui ogni contatto può apparire superfluo o poco desiderabile; esistono esseri ai quali non ci si cura di rivolgere la parola e ne esistono pure altri con i quali non si vuole discutere ma ai quali ci si accontenta di rivolgere ordini.
Per argomentare occorre attribuire un valore all'adesione del proprio interlocutore, al suo consenso, al suo concorso mentale."[xiii]
Secondo Perelman e Olbrechts-Tyteca, i principi di un corretto raziocinare possono essere applicati anche al piano del valore, e quindi proprio là dove, secondo la teoria della conoscenza classica, si arresta la competenza della ragione. La teoria dell'argomentazione è uno "strumento" che integra e completa la teoria della dimostrazione fondata sul ragionamento formale.
"In questa prospettiva, il contributo di Perelman appare come un colpo portato all'irrazionalismo e, insieme, come una delle più originali ed efficaci tra le critiche recenti del dogmatismo."[xiv]

NOTE

[i] Il capitolo si ispira a "Una retorica della lingua letteraria" in L. Sciolla, Gli artifici della finzione poetica nella Storia Vera di Luciano, Atlantica, Foggia, 1988, pp. 14-18.
[ii] R. Barthes, op. cit., p. 15.
[iii] Gruppo μ, op. cit., p. 7.
[iv] Gruppo μ, op. cit., p. 8.
[v] Gruppo μ, op. cit., p. 8.
[vi] Gruppo μ, op. cit., p. 8.
[vii] R. Barthes, op. cit., p. 51.
[viii] Gruppo μ, op. cit., p. 36.
[ix] V. Florescu, op. cit., p. 133-134.
[x] Si veda al proposito Paul Foriers, "L'état des recherches de logique juridique en Belgique", in Etudes de logique judiciaire, Bruxelles, 1967.
[xi] C. Perelman- Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 4-6.
[xii] Perelman- Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 16-17.
[xiii] Perelman- Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 17-18.
[xiv] V. Florescu, op. cit., p. 128.