GLI SCHIAVI

Liberi e schiavi: la summa divisio

Secondo il giurista Gaio (II sec. d. C.) la distinzione fra servi (schiavi) e liberi è la summa divisio de iure personarum, la distinzione somma per ciò che concerne il diritto delle persone. Gli schiavi non hanno capacità giuridica, cioè non sono titolari di diritti e obblighi.

Come si diventava schiavi

Schiavi si nasceva o si diventava. Erano schiavi

Era inoltre consentito al padre vendere i neonati, che diventavano schiavi. Talvolta i figli dati in schiavitù venivano riscattati e venduti poi nuovamente in caso di necessità. Tale pratica, che a noi può parere disumana, era invece normale nella concezione rigidamente patriarcale su cui era fondata la familia romana, dominata dall'incontrastata volontà del pater familias.

La legge, tuttavia, cercò di dissuadere dalla vendita dei figli. Già una delle leggi delle XII Tavole (il primo corpus di leggi scritte, pubblicato alla metà del V sec. a. C.) limitò tale pratica, sottraendo all'autorità paterna il figlio che fosse stato venduto più di tre volte:

Si pater filium ter venumduit, filius a patre liber esto.

(Tab. IV, 2)

Se un padre ha venduto suo figlio per tre volte come schiavo, il figlio sia libero dall'autorità del padre.

Nel 329 d. C., l'imperatore Giustiniano consentì la vendita dei figli solo nei casi di estrema indigenza.

I nati liberi erano detti ingenui; gli schiavi che avevano acquistato la libertà (riscattandola con denaro o perché affrancati dal loro padrone) erano detti liberti.

Come si acquistava la libertà

Lo schiavo poteva essere affrancato dal padrone con un atto detto manumissio, che concedeva allo schiavo la libertà e, spesso, anche la cittadinanza romana.

Abbastanza frequente era la manumissio testamento, cioè una disposizione testamentaria che concedeva allo schiavo la libertà dopo la morte del padrone: gli schiavi liberati in tal modo erano detti liberti Orcini, perché il dominus che li aveva affrancati era nell'Orco, il mondo dei morti.

Il liberto, cioè lo schiavo liberato, non era giuridicamente equiparato a un ingenuus, un nato libero: doveva all'ex padrone (che era detto suo "patrono") obsequium e reverentia e restava a lui vincolato da una serie di complesse norme; era escluso dalle cariche pubbliche e non gli era consentito il matrimonio con persone di rango senatorio. Non poteva praticare le artes liberales, le professioni riservate agli ingenui (come per esempio l'avvocatura), e di solito lavorava come artigiano, piccolo commerciante, medico, insegnante, segretario. Molti liberti erano intellettuali, e alcuni divennero famosi come scrittori: Livio Andronico, il "padre" della letteratura latina, il commediografo Terenzio, l'autore di favole Fedro. Orazio, illustre poeta dell'età augustea, era figlio di un liberto.

2