La sinagoga di Torino

di Fabrizio FANTINO

01_sinagoga

Enrico Petiti, Tempio ebraico, 1880-1884, Torino,
piazzetta Primo Levi (già via san Pio V)

Gli ebrei a Torino nell’Ottocento

Nella lunga e travagliata storia degli ebrei piemontesi l’Ottocento rappresenta una fase di svolta: in questo secolo, infatti, l’affermazione delle idee liberali alla base dei moti risorgimentali porta alla concessione di maggiori libertà di culto da parte della monarchia sabauda. Carlo Alberto, in particolare, si dimostra sensibile verso le minoranze religiose, arrivando a proclamare la piena emancipazione delle comunità valdesi ed ebraiche. L’aspirazione degli ebrei alla libertà di culto risulta evidente dall’accorato Memoriale presentato dal Rabbino Maggiore di Torino Lelio Cantoni a S. M. il Re Carlo Alberto nel gennaio del 1848, dove alle speranze riposte nella magnanimità del sovrano si accompagna la descrizione della dura condizione di vita degli ebrei, non solo impossibilitati professare liberamente la propria fede, ma anche costretti a risiedere nel ghetto cittadino, interdetti dalle scuole, dall’università e dall’esercito. Le aspettative del rabbino Cantoni sono finalmente soddisfatte poche settimane più tardi, quando Carlo Alberto, con i decreti del 29 marzo, 15 aprile e 19 giugno 1848, concede agli ebrei la piena parificazione dei diritti religiosi e civili. Questo atto rappresenta il punto di svolta decisivo di quel lungo processo che aveva avuto inizio sul territorio italiano con la cosiddetta Patente di tolleranza, un edito emanato da Giuseppe II d’Austria nel 1782 con cui veniva estesa la libertà religiosa alle popolazioni non cattoliche viventi nei territori dell’impero asburgico. In Piemonte i provvedimenti di Carlo Alberto erano stati anticipati dalla prima emancipazione promossa dal governo francese nel 1798-99, poi ribadita da Napoleone dopo la riconquista del 1800, ma essa fu prontamente cancellata nel 1814 da Vittorio Emanuele I ritornato sul trono dopo il Congresso di Vienna.

Le concessioni del 1848 non sono dunque un fatto improvviso, ma piuttosto l’atto conclusivo di un processo lungo e articolato, dove non mancarono contrasti anche molto accesi sia in seno alle élites del governo, dove pesarono posizioni fortemente contrarie di matrice cattolica e laica, sia nell’ambito delle comunità israelitiche attraversate da atteggiamenti differenti verso la prospettiva di un’apertura al mondo circostante. In ogni caso, il risultato dell’emancipazione fu la caduta di barriere e impedimenti, sia religiosi che sociali, fatto che si tradusse ad esempio nel passaggio da un’economia legata in prevalenza all’artigianato e alla circolazione di denaro, a una situazione professionale ben più variegata, in cui era finalmente l’impiego nei settori dell’amministrazione pubblica, della scuola, dell’università e dell’esercito.

La Torino degli anni Cinquanta dell’Ottocento, del resto, in quanto capitale del Regno di Sardegna è un centro commerciale e finanziario in forte crescita, che con Cavour si apre alle anche correnti più innovative della cultura europea. La nuova possibilità di partecipare alla vita collettiva determina perciò una crescente permeabilità agli orientamenti culturali dell’epoca, con la conseguenza che gli intellettuali ebrei iniziano ad emergere nei campi più diversi, ottenendo un credito sempre maggiore che li porta a collocarsi su un livello paritario con tutti gli altri esponenti dell’intellighenzia torinese. In questo senso, appaiono particolarmente significativi i contributi dell’intellettualità ebraica alla cultura scientifica, fortemente imbevuta dei principi del positivismo, e a questo proposito è esemplare il rilievo e l’influenza di un personaggio come Cesare Lombroso (1835-1909).


La sinagoga di Torino

Il nuovo status della comunità ebraica torinese, oramai pienamente integrata col resto della cittadinanza, determinò nel 1861 la volontà di erigere una nuova sinagoga di grandi proporzioni, degna della capitale del neonato Regno d’Italia. Dal successivo concorso pubblico risultò vincitore il progetto di Alessandro Antonelli, che nel 1863 iniziò la costruzione dell’edificio che sarebbe poi stato conosciuto come la Mole Antonelliana. L’idea iniziale, infatti, prevedeva solamente la grande cupola, sormontata da una lanterna, ma l’Antonelli attuò una serie di modifiche in corso d’opera volte a rendere l’edificio sempre alto, fino a portare i 47 metri previsti in origine a ben 113 metri. Queste variazioni e l’inevitabile allungamento dei tempi di realizzazione (con il conseguente aumento vertiginoso dei costi) portarono la comunità ebraica a interrompere i lavori nel 1869 per mancanza di fondi, facendo chiudere il cantiere con un tetto provvisorio.

02_mole_in_costruzione

Veduta di Torino con la Mole Antonelliana in costruzione, 1880 circa, litografia, Torino
Archivio Storico della Città di Torino (collezione Simeom)

Nel 1873 fu perfezionato un accordo con il Comune di Torino, che in cambio della Mole cedette un altro terreno su cui edificare la sinagoga, non lontano dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova. Nel 1880 fu quindi indetto dall’Università israelitica un concorso pubblico per assegnare il nuovo incarico, da cui risultò vincitore Enrico Petiti, architetto eclettico che non rinunciò mai nelle sue opere a un calibrato uso di elementi stilistici ed inserti caratterizzati da un raffinato gusto per il decorativismo. La costruzione proseguì fino al 1884, quando – il 16 febbraio – la sinagoga fu inaugurata in forma solenne.

03_sinagoga_1884

La nuova sinagoga di Torino, veduta prospettica
(da «L’illustrazione italiana», 20 aprile 1884)

Il progetto di Petiti prevede una struttura convenzionale a pianta rettangolare, con ai quattro angoli altrettanti torrioni merlati sormontati da cupole a cipolla, evocative dei minareti orientali: a dispetto dello slancio delle quattro torri, alte 38 metri, tuttavia, il Petiti non riuscì a evitare una certa pesantezza dell’alzato. Dove invece raggiunse un felice connubio tra disegno architettonico e lessico storicista è nella raffinata interpretazione degli elementi decorativi in stile moresco, capaci di ingentilire la mole massiccia dell’edificio. Particolarmente riuscito appare il trattamento delle pareti esterne ad effetto policromo grazie all’alternanza tra il granito impiegato nei bugnati e nelle zone ad opus incertum dei primi due piani delle torri, la pietra bianca di Verona usata nelle cornici, e l’intonaco a coloratura bruna nelle parti emergenti dei torrioni. La rigidità dei volumi è inoltre attenuata dal disegno della facciata, caratterizzata dall’ampio portico d’ingresso, ritmato da colonne tortili e archi moreschi dentellati, sopra il quale si innesta il grande rosone inserito nella parete chiara, il tutto reso ancora più vivace grazie alla fantasiosa varietà dei dettagli architettonici.

04_particolari

05_particolari

06_particolari

Particolari della facciata

La cura del particolare e la finezza di esecuzione, caratteri tipici del Petiti, si possono riconoscere fin dai disegni esecutivi, conservati l’Archivio della Comunità Israelitica di Torino, particolarmente ricchi proprio nello studio di ogni dettaglio sia tecnico che ornamentale, tanto da impressionare favorevolmente anche la letteratura dell’epoca.

07_disegno

Enrico Petiti, particolari delle cupole, piante e sezioni con abachi per il posizionamento delle squame di copertura, s.d. (1883), Archivio della Comunità Israelitica di Torino

Oltre che sui progetti, gli scritti coevi si concentrarono sull’inevitabile confronto con la Mole di Antonelli, decisamente avversata da voci autorevoli come quella di Camillo Boito, e rimpianta invece da altri perché «è forse quanto di più originale, di più nuovo, di più grande si abbia fatto di architettura moderna» (da «L’Italia. Periodico artistico illustrato», II, 16, 1884, p. 126). Antonelli, infatti, rifiutò l’adesione alla consueto repertorio stilistico di pastiches orientaleggianti propri dell’architettura sinagogale dell’epoca, e creò una struttura completamente originale che si poteva adattare a qualsiasi destinazione d’uso. L’architettura del Petiti, al contrario, appare indubbiamente corretta e non priva di originalità nella ricomposizione di elementi della tradizione moresca, ma non può definirsi originale per quanto concerne le soluzioni adottate nell’impianto planimetrico e per il vocabolario stilistico utilizzato, pur tenendo in considerazione le precise imposizioni della committenza.


L’interno

Al suo interno la sinagoga presenta un'ampia sala, lunga 35 metri, alta 16 e larga 22, capace di contenere 1400 persone, ossia pressappoco l’intera comunità ebraica torinese di fine Ottocento. Al piano superiore, lungo tre lati del perimetro, corre il matroneo, tipico elemento che caratterizza gli edifici sinagogali. In origine la sala era ricca di decorazioni e presentava un soffitto a cassettoni, ma il 20 novembre 1942, durante un bombardamento, il tempio fu colpito da uno spezzone incendiario che distrusse il tetto e gli arredi, lasciando in piedi solamente le strutture murarie. Dopo i primi interventi di consolidamento nel settembre 1945, l'interno fu ricostruito e ridecorato nel 1949.

Essendo la sinagoga di dimensioni così considerevoli e risultando ormai sproporzionata alle dimensioni della comunità, nel 1972 furono costruite nei sotterranei due aule più piccole per essere usate nelle funzioni giornaliere, la cui realizzazione venne affidata agli architetti Giorgio Ottolenghi e Giuseppe Rosenthal. Il primo tempietto, di rito italiano, è a forma di anfiteatro e venne ricavato in locali in precedenza adibiti alla cottura delle azzime. Di notevole pregio sono gli arredi sacri, in stile barocco, provenienti dalla sinagoga di Chieri: in particolare, la Tevah – la tribuna da cui si legge la Torah – è decorata in lacca azzurra e oro; mentre l’Aron – l’armadio sacro in cui si ripongono i rotoli della Legge – è dorato e ornato da colonne in finto marmo azzurro con capitelli corinzi.

08_interno_sinagoga_piccola

Interno della sinagoga piccola

Il secondo tempietto sotterraneo, più piccolo del precedente, è diviso con un muretto di mattoni da una sala di preghiera. In questa sala sono presenti sei file di banchi, rivolti a un pregevole Aron settecentesco proveniente da una sinagoga di rito tedesco che si trovava nell'allora ghetto nuovo. Nel 1849 questo mobile fu ridipinto di nero in segno di lutto in seguito alla morte di re Carlo Alberto, e venne successivamente trasferito nella vecchia casa di riposo di piazza Santa Giulia, dove rimase fino al 1963. Sulle due piccole ante sono riprodotte immagini dorate che ricordano Gerusalemme.

Bibliografia

C. Frescot, Commemorazione del compianto socio Enrico Petiti, in «Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», XXXII, 38, 1898, p. 19;

E. Lavagnino, L’arte moderna dai neoclassici ai contemporanei, Torino 1956, I, p. 480;

P. Portoghesi, voce Antonelli, Alessandro, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. III, Roma 1961, pp. 480-483;

M. Leva Pistoi, Torino. Mezzo secolo di architettura, 1865-1915, Torino 1969, p. 160.

Ebrei a Torino. Ricerche per il centenario della sinagoga, 1884-1984, a cura della Comunità Israelitica di Torino, Torino 1884.

F. Levi, Emancipazione e identità ebraica, in Storia di Torino, vol. VI, La città nel Risorgimento, 1798-1864, a cura di U. Levra, Torino 2000, pp. 857-867;

B. Maida, Gli ebrei a Torino nella seconda metà dell’Ottocento, in Minoranze religiose e diritti. Percorsi in cento anni di storia degli ebrei e dei valdesi (1848-1948), a cura di A. Cavaglion, Milano 2001, pp. 111-122.

Alessandro Antonelli (Ghemme (NO), 14 luglio 1798 – Torino, 18 ottobre 1888)

Antonelli compì gli studi prima a Milano presso l’Accademia di Brera, e quindi a Torino, dove si laureò ingegnere architetto nel 1824. Dopo aver lavorato negli uffici tecnici demaniali per quattro anni, nel 1828 si recò a Roma per approfondire lo studio della geometria descrittiva. Rientrato a Torino, dal 1836 al 1857 viene nominato professore di architettura all’Accademia Albertina.

A questa fase risalgono numerose opere, come la sede del comune e il santuario di Boca, la nuova parrocchiale di Castellamonte (progetto incompiuto di cui rimane oggi la cosiddetta Rotonda Antonelliana), l’ospizio degli orfani di Alessandria e i piani regolatori di Novara e di Ferrara. Di particolare interesse è la cupola della basilica di San Gaudenzio a Novara, iniziata nel 1841 e terminata nel 1887, una costruzione di 121 metri interamente in mattoni che per molti versi può essere vista come il prologo della Mole Antonelliana, il suo capolavoro. Alta 167,50 metri e per molto tempo l’edificio in muratura più alto d’Europa, la Mole si caratterizza per una tecnica costruttiva ardita, in cui l’adozione di nervature in ferro permette la massima tensione delle sottilissime murature, portate ai limiti della loro possibilità di resistenza.

09_antonelli

Alessandro Antonelli
10_san_gaudenzio

Alessandro Antonelli, Cupola della basilica di San Gaudenzio a Novara (1841-1887)

Enrico Petiti (Torino, 21 giugno 1838 – Ivi, 2 giugno 1898)

Architetto di stilo eclettico, Petiti si contraddistingue per una grande accuratezza di esecuzione e per una raffinata eleganza, rilevabile dai progetti conservati presso l’Archivio Edilizio della città di Torino, i quali ci consentono di individuare con maggiore chiarezza lo svolgersi della sua arte, visto che gran parte delle sue costruzioni andò distrutta negli ampliamenti della città o fu pesantemente alterata dai rifacimenti successivi.

Dopo aver conseguito nel 1855 la laurea in ingegneria idraulica e architettura civile, iniziò a lavorare nel 1862 esibendo da subito una forte influenza dal gusto neogotico – a quell’epoca imperante –, per avvicinarsi in seguito a soluzioni maggiormente improntate a elementi di matrice rinascimentale, ma caratterizzando sempre le sue fabbriche con il tetto alla francese ad alti spioventi e inserti di ferro battuto di grande pregio. Delle costruzioni da lui realizzate, all’incirca una trentina, si ricordano la palazzina in corso Inghilterra 33, risalente al 1876, la casa di abitazione civile già esistente in via Groppello, del 1877, e la palazzina in corso Massimo d’Azeglio, del 1882, tuttora esistente ma ampiamente rimaneggiata in epoca successiva. Al 1880 risale inoltre un padiglione esterno in ferro e vetro per il Giardinetto del Caffè Romano, realizzato da Pietro Carrera. Si stacca invece dal tono misurato e contenuto della produzione civile il Tempio israelitico, opera per cui Petiti è principalmente ricordato oggi, caratterizzata da una fantasia più libera e sciolta rispetto a tutti gli altri suoi progetti.