Il tempio Valdese di Torino

di Laura GALLO

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I Valdesi a Torino tra Sette e Ottocento

Nel corso dell’Ottocento durante i moti risorgimentali sostenuti dal movimento patriottico nazionale, si assiste alla diffusione di idee liberali: la maggiore libertà di coscienza determina l’affermazione di una maggiore libertà anche nella professione religiosa. Sull’onda di queste idee a Torino si rafforza la comunità valdase, una piccola colonia di protestanti che esercitano soprattutto attività commerciali.

Artefici dello sviluppo di questa comunità sono alcuni valdesi, come Pietro Geymet, discendente da una famiglia di chirurghi militari attivi nei reparti stranieri dell’esercito sabaudo. Geymet, che aveva studiato a Torre Pellice e a Ginevra, nel 1785 diventa pastore della più importante parrocchia valdese, quella di Torre Pellice. Successivamente ricopre prestigiose cariche nell’amministrazione, diventando sottoprefetto di Pinerolo. Anche grazie alle sue relazioni famigliari e, in particolare a quelle intessute dalla sua seconda moglie, Charlotte Peyrot, che avvia a Torino una florida attività commerciale, Geymet getta le basi per la nascita di una comunità religiosa valdese a Torino.

Nel 1825 il conte Friedrich Ludwig von Waldburg-Truchsess, ambasciatore del re di Prussia presso la corte sabauda, ottiene il permesso del governo piemontese di fondare a Torino una cappella destinata alle Legazioni protestanti (prussiana, inglese e olandese), posta presso la propria ambasciata, dapprima in via dell'Ospedale e, dal 1848, nel Palazzo Bellora tra la via della Meridiana e il viale del Re, oggi tra via Carlo Alberto e corso Vittorio Emanuele II. La Cappella era riservata al personale diplomatico, agli stranieri e ai valdesi residenti in città; i cattolici non potevano invece partecipare ai culti. Due anni più tardi, nel 1827, la piccola comunità viene dotata di un ecclesiastico valdese, un pastore con il compito di celebrare le funzioni religiose. Il nuovo cappellano, Amédée Bert, nato a Torre Pellice nel 1809, trova proprio nel conte Von Waldburg-Truchsess, legato in amicizia a Carlo Alberto, un importante sostegno per la comunità valdese. A sostegno della comunità si impegna anche il colonnello e poi generale inglese Charles Beckwith, giunto in Piemonte dall’Inghilterra nel 1827: in questi anni infatti la comunità vede crescere il servizio religioso, con un più ampio numero di culti e con l’introduzione del canto sacro con accompagnamento strumentale.

Il viale del Re

Nel corso dell’Ottocento la vivace attività edilizia torinese si sviluppa a nord lungo l’attuale corso Regina Margherita; a sud lungo il viale del Re, oggi corso Vittorio Emanuele II: proprio qui è prevista un’espansione da Porta Nuova al Po, fino alla zona di San Salvario, secondo un progetto impostato da Carlo Promis (1808-1873) tra il 1850 e il 1851. Il piano di Promis è attento a mantenere una continuità formale con i piani urbanistici del secolo precedente: in particolare le abitazioni hanno un’altezza fissata in 21 metri, per un massimo di cinque piani compresi il piano terreno e il mezzanino. L’impianto urbanistico da lui ideato mostra caratteri di grande modernità: non è aulico come i precedenti voluti dalla corte, ma più laico e vicino alle esigenze del ceto borghese in rapida espansione. Il viale del Re diventa pertanto uno degli assi viari più importanti della città.

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Amédée Bert

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Il generale Charles Beckwith

Il cappellano Bert all’inizio degli anni Quaranta, nonostante la ripresa da parte delle autorità, della repressione antivaldese, si occupa dell’assistenza ai bisognosi e ai malati: a partire dal 1843 dà vita ad un luogo di accoglienza, sito nella casa Bellora, che costituisce il nucleo embrionale del futuro Ospedale evangelico di Torino. Analogamente nello stesso stabile, dal 1841 apre una scuola. Nel 1846 il cappellano ottiene infine che gli evangelici siano seppelliti in un sito loro riservato all’interno del cimitero generale, e non, come in precedenza, negli spazi cimiteriali destinati ai suicidi o ai morti non battezzati.

La vera svolta per l’emancipazione dei valdesi e delle altre minoranze religiose emarginate avviene però a partire dal 1847: promotore di questa iniziativa è il nobile piemontese Roberto d’Azeglio (1790-1862) che, a tale scopo, raccoglie numerose firme, fra cui quelle di Cavour, di Cesare Balbo, di Angelo Brofferio e di Michele Buniva. Per festeggiare le riforme in atto, il 29 dicembre dello stesso anno la Camera di Commercio di Torino organizza un banchetto a cui partecipa anche Amedée Bert che ha così l’occasione di parlare in pubblico della difficile situazione dei protestanti e degli ebrei.

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Roberto d’Azeglio

Roberto d’Azeglio

Il marchese Roberto Tapparelli d’Azeglio (Torino 24 settembre 1790 – 23 dicembre 1862) si forma a Firenze e a Siena dove si trasferisce con la famiglia all’inizio dell’Ottocento, in seguito all’occupazione francese. Dopo il rientro della famiglia a Torino, durante l’età napoleonica, viene avviato alla carriera amministrativa. Le sue idee liberali lo costringono però a lasciare Torino in seguito al fallimento dei moti costituzionali del 1821, in cui si era compromesso al finaco di Santorre di Santarosa. Tornato nella città sabauda nel 1826, viene incaricato, nel 1831, dell’ordinamento e dell’incremento delle collezioni della Regia Pinacoteca, essendosi fatto portavoce presso Carlo Alberto della necessità di aprire una galleria pubblica in cui fossero esposti i numerosi quadri appartenenti al partrimonio privato sabaudo. La Regia Pinacoteca era stata inaugurata nel 1832 nelle sale di Palazzo Madama. Parallelamente all’attività di direttore della pinacoteca, passata poi al fratello Massimo nel 1854, d’Azeglio si impegna in numerose attività filantropiche e politiche, quali l’istituzione di scuole infantili, l’interesse verso la condizione operaia e il sostegno all’emancipazione degli ebrei e dei valdesi.

Il tempio valdese di Torino

Il 17 febbraio del 1848 Carlo Alberto emana le Lettere Patenti (stilate dallo stesso d’Azeglio): con esse la minoranza religiosa valdese viene ammessa a godere i pieni diritti civili e politici del regno. Pochi giorni dopo, il 4 marzo con la promulgazione dello Statuto, fin dall’articolo primo viene ribadita la tolleranza del culto, pur riconoscendo la religione cattolica come “sola religione dello Stato”. Questi eventi provocano grande entusiasmo tra i membri della Comunità evangelica di Torino.

Nel corso dei mesi successivi Charles Beckwith invita inoltre gli evangelici di Torino ad inserirsi come sedicesima parrocchia alle 15 già presenti nelle valli valdesi: la comunità torinese composta da 67 famiglie viene però incorporata nella Chiesa valdese solamente il 29 luglio 1849. Essendo divenuta piuttosto numerosa necessita di un nuovo spazio destinato al culto in una zona centrale della città. Alla fine del 1850, dopo non poche difficoltà causate dalla scarsa disponibiltà del Governo, Vittorio Emanuele II concede l’autorizzazione all’acquisto del terreno e all’edificazione del nuovo tempio. La decisione del re non incontra però i favori della Chiesa cattolica che si oppone alla costruzione dell’edificio e chiede al sovrano di revocare il decreto, fatto che però non avviene.

Grazie all’intervento finanziario di Beckwith e di Giuseppe Malan, tesoriere della Tavola valdese (il Comitato amministrativo centrale), quest’ultima acquista allora per 7.463 lire un terreno sul viale del Re, di fronte a via della Meridiana (l’attuale corso Vittorio Emanuele II, angolo via Principe Tommaso, nei pressi del Valentino): il 29 ottobre 1851 viene posta la prima pietra dell’edificio, alla presenza del corpo diplomatico, della comunità protestante, degli stessi membri della Tavola valdese e di molti pastori scesi per l’occasione della Valli.

Giuseppe Malan

Giuseppe Malan nasce a San Giovanni (l’attuale Luserna San Giovanni), nelle Valli valdesi, il 5 gennaio 1810. I genitori di fede evangelica, lo affidano alla parrocchia di Angrogna, dove riceve la propria formazione religiosa. Inserito nell’industria di tessuti dello zio, viene inviato in alcuni paesi stranieri: grazie a questa esperienza nel 1837 assume la condirezione della fabbrica per la filatura del cotone aperta dallo zio alcuni anni prima a Pralafera. Dopo il matrimonio con Caroline Peyrot, nel 1838 si trasferisce a Torino e risiede nello stabile in cui si trova la primitiva cappella valdese: da questo periodo in poi Malan si impegna come testoriere della Tavola valdese, finanziando anche in prima persona la costruzione di nuove chiese valdesi.

Malan si inserisce poi nelle istituzioni liberali: dal 1850 è il primo valdese a sedere nel Parlamento, conquistandosi inoltre la benevolenza e la stima di Cavour, grazie alle sue capacità diplomatiche. In più occasioni infatti appoggia il primo ministro, che teme che la maggioranza di governo possa essere messa a rischio dagli scontri creati dalla propaganda valdese con le ali cattoliche più conservatrici.

La realizzazione del Tempio, ideato dallo stesso Charles Beckwith, sulla base delle architetture delle chiese anglicane dell’Ottocento, è affidata all’architetto Luigi Formento che traduce in progetto le idee del generale e che calcola il capitolato per l’innalzamento dell’edificio. Questo viene realizzato dall’impresa di un costruttore originario di Netro, nel biellese, Eugenio Gastaldi, allora residente a Luserna, nel Pinerolese, cui già spettano edifici voluti da Beckwith. Nonostante le difficoltà economiche e la continua opposizione dei vescovi e dei cattolici, l’edificio viene inaugurato il 15 dicembre 1853.

La scelta dell’architetto cade su Formento probabilmente perché si tratta di un professionista emergente, che ha già lavorato in provincia e che, più di altri, appare duttile e svincolato dalle rigidità imposte dal proprio ceto professionale: Formento lavora sia per la Chiesa che per i Comuni, anche in aree vicine alle Valli valdesi.

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Tempio valdese, Prospetto verso il viale del Re, disegno firmato da Luigi Formento, 1851, Archivio Storico della Città di Torino, Progetti edilizi

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Tempio valdese, Prospetto laterale verso via della Meridiana, disegno firmato da Luigi Formento, 1851, Archivio Storico della Città di Torino, Progetti edilizi

Luigi Formento

L’architetto nasce a Torino il 28 agosto del 1815: è figlio dell’architetto torinese Giuseppe Formento con cui si forma, laureandosi in architettura nel 1840. Presto Luigi si trova a capo di uno studio moderno e attivo: presso l’Archivio Storico della Città di Torino esistono infatti 248 progetti da lui firmati. Oltre al Tempio valdese, spettano a Formento la chiesa di San Secondo a Torino (1867-1881) e l’Ospedale valdese sorto nel 1869 tra va Berthollet e via Ormea, oltre a numerosi edifici a Buriasco, Vigone, Carmagnola e nel Canavese.

Il Tempio di Torino, rispetto ai modelli delle aule valdesi viene concepito come un edificio più imponente e complesso. La struttura è a tre navate, con navata centrale di dimensioni maggiori dimensioni rispetto alle laterali. All’ingresso si trova un atrio, mentre la parte terminale è chiusa da un’unica abside semicircolare, in cui si aprono tredici finestre, coperta da una calotta a conchiglia. Le navate sono divise le une dalle altre da sei colonne su cui si impostano archi a tutto sesto. La copertura della navata centrale è a botte con unghie profonde e costolonate; la copertura delle navate laterali è costituita da volte a crociera costolonate.

L’esterno presenta, sulla facciata principale, un imponente portale profondamente strombato; nella parte superiore si apre un rosone, sotto cui si trovano sette finestrelle ad arco. Ai lati della facciata svettano due torri ottagonali e cuspidate. I fronti laterali sono caratterizzati da sei contrafforti doppi, cuspidati che si conculdono alle estremità con due torrette a pianta quadrata. Le aperture nella parte più bassa sono monofore, mentre al secondo livello si trovano delle bifore. Completa l’edificio il tetto a capanna ricoperto di pietra di Luserna.

Il primo livello del tempio è nettamente diviso dal secondo mediante una fascia con motivi vegetali, che rappresenta l’unico elemento ornamentale presente all’esterno della costruzione.

Formento, pur accogliendo i suggerimenti del generale Beckwith, offre importanti apporti tecnici alla costruzione, quale, ad esempio, l’utilizzo del lito-cemento per la realizzazione dei fregi del cornicione, al posto della tradizionale terracotta, e l’impasto di calce e polvere di marmo per le colonne dell’interno.

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Venanzio Giuseppe Sella, Veduta dell’abside del tempio, 1854 circa, carta salata, Torre Pellice, Fondazione Centro Culturale Valdese, Archivio Fotografico

Lo stile e il significato del Tempio valdese

Nell’insieme la struttura del Tempio mostra elementi desunti da più stili del passato: si tratta pertanto di un edificio eclettico, che richiama modelli neogotici delle chiese inglesi dei primi anni dell’Ottocento, a loro volta concepite attraverso una rilettura del gotico italiano.

In Inghilterra infatti prima del 1820 si afferma il gothic revival, che caratterizza in origine soprattutto gli edifici privati e che successivamente si estende anche alle chiese. Proprio a partire dal 1818 e fino al 1833, in Inghilterra vengono innalzate chiese finanziate dal Governo frutto del lavoro di apposite Commissini, con spiccati caratteri di economicità: su 214 chiese costruite, 174 sono in stile neogotico. Tuttavia l’adesione sbrigativa e spesso riduttiva ai modelli di edifici cattolici per la realizzazione di chiese destinate al culto anglicano in cui prevale il concetto di “preghiera in comune”, non risulta allora del tutto convincente e suscita numerose polemiche. Nonostante ciò l’interesse per il gotico e per gli edifici medievali non subisce arresti e continua ad essere utilizzato ampiamente per la realizzazione delle chiese anglicane.

Il Tempio di Torino sembra rispondere a scelte figurative dettate dalla volontà di aprire un dialogo fra la chiesa valdese e quella cattolica: per questo motivo presenta forme neogotiche in cui si accentua però maggiormente la funzione rituale collettiva propria della comunità valdese. Le assonanze con i modelli inglesi trovano conferma nella stessa figura di Beckwith, costantemente in contatto con la cultura anglofona di allora. In particolare il Tempio di Torino può essere avvicinato alle opere dell’architetto inglese James William Wild (1814-1892), ad esempio a Christ Church (Streatham, Londra), realizzata tra il 1840 e il 1842, in cui il modello delle antiche basiliche cristiane si fonde con esempi di chiese tedesche coeve.

Rispetto ai templi edificati nelle Valli valdesi, quello di Torino presenta caratteristiche particolari: lo schema a tre navate, con abside terminale vede il pulpito posto al centro dello spazio absidato, permettendo una disposizione dei banchi che avvicina lo spazio interno dell’edificio più a quello delle chiese cattoliche e anglicane che a quello delle chiese valdesi dove generalmente i banchi erano disposti sui tre lati e il pulpito decentrato.

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Christ Church, Streatham, Londra

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James William Wild, Disegno per Christ Church, 1841, Londra, Victoria and Albert Museum

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Italo Hugon, Veduta della facciata del tempio, fotografia scattata in occasione del centenario dell’edificazione, 1953, Torre Pellice, Fondazione Centro Culturale Valdese, Archivio Fotografico

Gli interni dei templi valdesi

La nudità assoluta e la mancanza di decorazioni all’interno dei templi valdesi non solo sottolinea la povertà materiale delle chiese, ma sottende una scelta dettata da precise motivazioni religiose. Nella Chiesa valdese gli elementi fondamentali per la liturgia sono infatti l’assemblea dei fedeli che si riunisce nel tempio e il pulpito da cui parla il pastore: le uniche necessità a cui devono rispondere gli edifici sono pertanto l’accoglienza del più ampio numero di fedeli e l’ascolto del pastore. Fino alla metà dell’Ottocento infatti il pulpito si trovava al centro di uno dei lati lunghi dell’edificio: i banchi dei fedeli lo circondavano per tre lati. Il pulpito dei templi protestanti sembra infatti derivare da quelli smontabili impiegati dai dai predicatori calvinisti per le liturgie pubbliche all’aperto. Inizialmente, sotto il pulpito si trovava poi un banco con il leggio da cui il maestro di scuola leggeva i passi biblici e dirigeva il canto dei Salmi ugonotti. In seguito il pulpito, il banco e la Santa Cena sono stati trasformati in un unico elemento, una sorta di altare su cui si trova la Bibbia aperta. Di fondamentale importanza nelle attività della Comunità sono infatti la lettura e la spiegazione della Bibbia: per questo motivo il testo sacro si trova sempre aperto sul tavolo al centro del luogo di culto. La versione generalmente utilizzata dalla chiese valdesi dell’Ottocento è la Bibbia di Ostervald; la traduzione italiana adottata per il culto italiano è invece la traduzione del riformato lucchese Giovanni Diodati, edita nel 1601. Il pulpito nella seconda metà del XIX secolo viene spostato dal centro di uno dei lati lunghi al centro dell’abside, uscendo quindi dallo spazio destinato alla comunità, ed entrando in quello “sacrale” dell’abside. I membri della comunità sono tutti rivolti verso il pulpito: il tempio valdese pertanto tende sempre di più ad assomigliare ad una chiesa. La disposizione dei banchi segue un ordine gerarchico: vicino al pulpito siedono generalmente gli anziani e i membri più importanti della comunità. Altro elemento fondamentale dell’arredo del tempio è la tavola della Santa Cena, che si teneva, nell’Ottocento otto volte all’anno: anch’essa non ha particolari forme e generalmente il suo aspetto dipende dal donatore o dalle finanze disponibili per realizzarla.

All’interno del tempio valdese sono poi presenti la galleria e la cantoria, necessarie ad aumentare il numero dei fedeli che possono essere contenuti dall’edificio. A partire dalla metà dell’Ottocento con l’inserimento dell’organo o dell’armonium per accompagnare il canto della comunità, la galleria diventa a tutti gli effetti una cantoria in cui è ospitata la corale.

Anche i colori delle pareti presenti all’interno dei templi non hanno particolari significati: generalmente dominano le tinte chiare: il grigio, il bianco, l’avorio. In questo modo si favorisce la luminosità dello spazio interno. Anche per gli esterni le tinte più utilizzate sono il grigio, il canarino, il bianco, il nocciola: spesso possono essere accostate due tinte (bianco e canarino, bianco e grigio…) in modo da creare effetti di contarsto.

Su quasi tutti i templi valdesi sulla facciata si trova lo stemma valdese: lo stemma mostra una candela che arde in un candeliere, circondata da sette stelle su fondo blu o azzurro, accopagnata dal motto “lux lucet in tenebris”, circondata da rami di quercia e alloro o di palma.

Il tempio valdese, nella sua semplicità disadorna è pertanto, prima di tutto, il luogo di riunione dell’assemblea dei fedeli, in cui ci si incontra per pregare Dio e per ascoltarne la Parola.

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Interno del tempio di Pra del Torno

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Lo stemma valdese sulla facciata del tempio del Ciabàs

Bibliografia di orientamento

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