5. I political criteria negli Accordi
di associazione.
Nel periodo precedente il Trattato
di Amsterdam, l'importanza dei c.d. parametri politici nei rapporti dell'Unione
con gli Stati terzi ed, in particolare, con quelli dell'Europa centro-orientale
è emerso non solo nella prospettiva dell'adesione di futuri Stati membri, ma
anche in vista della previsione di forme istituzionalizzate di relazioni con
essi.
Le vicende successive alla caduta
del muro di Berlino e all'instaurazione di nuovi ordinamenti nell'area orientale
del continente sono state sin dall'inizio seguite con estrema attenzione e
favore da parte della Comunità e poi dell'Unione che, soprattutto attraverso le
conclusioni dei Consigli europei, ha espresso il suo pieno appoggio verso i
processi di "restaurazione" della democrazia avviati nell'area e si è disposta a
sostenere anche finanziariamente, con la predisposizione di appositi programmi,
i sistemi economici ispirati al libero mercato cui quasi ovunque si iniziava a
dare vita
[1].
Le prime forme di "relazioni
istituzionalizzate" fra gli ordinamenti dell'Europa centro-orientale e l'Unione
si sono tradotte quindi, a partire dal 1991, nella stipulazione dei c.d. Accordi
di associazione che, previsti dagli atti istitutivi delle Comunità come
strumenti per concordare forme di cooperazione e zone di libero scambio in
ambito economico, hanno dato vita, con i Paesi dell'Est, ad una fattispecie
parzialmente diversa, caratterizzata dalla presenza della componente politica e
dalla finalità, forse inizialmente avvertita solo da parte degli Stati
associati, di una loro successiva adesione
[2].
Il ricorso agli accordi di
associazione come passaggio intermedio in vista dell'adesione, pur non essendo
stato concepito, per quelli degli anni '90, con quella finalità, viene invece
utilizzato proprio in tal senso per l'allargamento agli Stati balcanici, dei
quali solo la Croazia e la Macedonia sono per ora prossime a superare la fase
dell'Accordo per proseguire, la prima e avviare, la seconda, quella dei veri e
propri negoziati di adesione.
Oltre ai diversi contenuti di natura
economica e alla previsione di organi misti (composti da rappresentanti dello
Stato associato e dell'Unione), competenti nelle materie in essi disciplinate,
quasi tutti gli Accordi degli anni 90 si sono caratterizzati per il richiamo,
nelle disposizioni iniziali del loro testo, a valori e obiettivi in cui non si
può non identificare il nucleo dei criteri politici di Copenaghen, che sono
stati del resto formulati quasi contemporaneamente alla stipulazione dei
documenti di associazione. Se infatti i primi accordi, conclusi nel 1991 con
Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, non contenevano, se non nel Preambolo,
menzione degli aspetti di tipo politico-istituzionale, tutti quelli successivi,
stipulati fra il 1993 e il 1996, ne facevano cenno sia nel Preambolo, sia tra i
principi posti alla base delle relazioni tra l'Unione e lo Stato associato
[3].
Anche nel
caso degli Accordi di stabilizzazione e associazione, come vengono chiamati gli
atti stipulati nel 2001 con la Croazia e la ex Repubblica jugoslava di Macedonia
(nell'ambito del più generale Processo di Associazione e Stabilizzazione che
comprende anche la ex Repubblica federale di Jugoslavia - poi Serbia e
Montenegro ed ora i due Stati indipendenti di Serbia e Montenegro -, la Bosnia
Erzegovina e l'Albania), alle previsioni di tipo economico e alla costituzione
di organi competenti nelle questioni previste dagli Accordi si affiancano
diversi contenuti di carattere politico, che spesso impongono accanto ai vincoli
già propri degli accordi precedenti, altri specificamente legati alle vicende
belliche che hanno coinvolto alcuni degli Stati interessati (soprattutto il
rispetto degli Accordi di Dayton, il ritorno dei profughi e dei rifugiati e la
collaborazione con il Tribunale dell'Aja)
[4].
[1]
L'appoggio e l'incoraggiamento della Comunità europea verso i processi
di democratizzazione avviati in Europa centro-orientale vengono più
volte espressi dai Consigli europei a partire dalla fine degli anni '80.
Si vedano, in particolare, le conclusioni dei Consigli europei di
Hannover (giugno 1988), Strasburgo (dicembre 1989), in cui la Comunità
dichiara di voler fornire, senza aspettative di vantaggio unilaterale,
il proprio supporto ai Paesi "che hanno intrapreso la via delle riforme
democratiche", Dublino (aprile e giugno 1990), Roma (ottobre e dicembre
1990) e Lussemburgo (giugno 1991).
[2]
Gli Accordi europei vengono stipulati sulla base dell'art. 310 del
Trattato sulla Comunità europea.
[3]
Proprio in relazione al loro contenuto politico, parte della dottrina ha
ritenuto che gli Accordi stipulati negli anni 90 con i PECO dessero vita
ad una fattispecie parzialmente diversa da quella che caratterizzava gli
accordi stretti dalla Comunità europea in precedenza. Sugli Accordi con
i Paesi dell'Europa centro-orientale v.
amplius D. Tosi,
La
préparation du quatrième élargissement de l'Union Européenne: une vue
d'ensemble de sa dernière phase, in
Est-Ovest, 2001, 6, 81;
P.C. Műller-Graff,
Legal framework for relations between the European
Union and Central and Eastern Europe: general aspects, in M.
Marescaau (cur),
Enlarging the European Union, Relations between the
EU and Central and Eastern Europe, cit., 31; E. Letta,
L'allargamento dell'Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2003, 24; F.
Hoffmeister,
General principles of the Europe agreements and the
association agreements with Cyprus, Malta and Turkey, in A. Ott e K.
Inglis (cur),
op. cit., in particolare 349-356 e P. Acunzo,
Gli Accordi europei di "seconda generazione", in
http://www.eurit.it/gfe/allargam.html. Nella previsione, accanto a
quello economico, di un contenuto più strettamente "politico", l'esempio
di tali Accordi è poi stato seguito dall'Unione anche nella redazione di
atti di associazione con Stati terzi. Emblematico, in proposito, il
contenuto dell'Accordo di Cotonou, stipulato nel 2000 con 77 Paesi
dell'area africana, del Pacifico e caraibica, che prevede a propria
volta il rispetto di una serie di principi di carattere democratico
(definiti "elementi essenziali") come condizione per il godimento dei
diritti derivanti dall'Accordo.
[4]
In realtà, interpretando quanto enunciato in proposito dalla stessa
Commissione europea, taluni ritengono che gli Accordi di Stabilizzazione
e Associazione ideati per gli Stati dell'Europa Sud-Orientale diano vita
ad una fattispecie ancora diversa. Rispetto a quelli di Associazione
stipulati con i Paesi dell'Europa centro-orientale, essi attribuiscono
inoltre un peso notevole e decisivo alla politica regionale.
Sul punto v.,
amplius,
J. Marko, J. Wilhelm,
The Balkans and the Newly Independent States.
Stabilisation and
Association Agreements, in
A. Ott, K. Inglis (cur),
op. cit., 165-174 e S. Gozi,
I
Balcani e la Grande Europa: tra allargamento e vicinato, in S.
Gambino (cur),
Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche,
Giuffré, Milano, 2003, 363, ss. Più in generale, poi, si può riscontrare
che i rapporti avviati con i Paesi dell'area balcanica sono stati
caratterizzati sin dall'inizio dalla c.d. condizionalità politica ed
economica, che subordina il mantenimento delle relazioni e soprattutto
l'erogazione degli aiuti da parte dell'Unione al raggiungimento graduale
di determinati progressi in ambito politico ed economico. Le linee
generali di tale processo sono state elaborate dal Consiglio Affari
Generali dell'Unione nelle "Conclusioni del Consiglio sul principio di
condizionalità al fine di sviluppare le relazioni dell'Unione europea
con taluni Paesi dell'Europa sudorientale", in Boll. UE 4-1997, punto
2.2.1.