9. Il caso
della Turchia.
9.1. A
fronte della relativa rapidità con cui si stanno evolvendo i rapporti con la
Repubblica croata, che nel giro di pochi anni dovrebbe passare dall'avanzamento
della candidatura alla conclusione delle trattative, sorge spontaneo invece il
riferimento al caso della Turchia, che pur avendo stretto i primi contatti con
l'Unione sin da tempi ben più remoti, ha avviato i negoziati di adesione solo il
3 ottobre 2005 (proprio insieme alla Croazia).
Di fronte alla
proposta di adesione avanzata dalla Turchia nel 1987, la Commissione europea
aveva risposto infatti nel suo parere del 1989 che non sussistevano i
presupposti per avviare i negoziati. Benché antecedente al Consiglio europeo di
Copenaghen e allo stesso Trattato di Amsterdam, il parere della Commissione
motivava il suo giudizio negativo, oltre che sulle condizioni economiche della
Turchia, anche sulla base della sua situazione politica, ritenendo che,
nonostante gli sforzi compiuti, il Paese non aveva ancora raggiunto nel campo
della tutela dei diritti umani e delle minoranze il livello richiesto in una
democrazia.
Dalla seconda metà
degli anni 90, le relazioni con la Turchia hanno ripreso ad evolversi e a fronte
della prospettiva dell'allargamento a 10 nuovi candidati, il Consiglio europeo
di Lussemburgo (1997) ha deciso di estendere a questo Stato i criteri applicati
agli altri.
Ad eccezione della
condivisione di alcuni strumenti, il Consiglio europeo ha concordato però per la
Turchia una strategia di pre-adesione parzialmente differenziata, stabilendo che
la situazione del Paese non fosse ancora matura per l'avvio dei negoziati.
Il successivo
Consiglio europeo di Helsinki (1999) ha stabilito di considerare la Turchia come
candidata all'adesione mentre il vertice di Copenaghen del 2002 ha rimesso alla
riunione del dicembre del 2004 l'assunzione di una decisione definitiva
sull'avvio dei negoziati. Solo in tale occasione il Consiglio europeo, riunito a
Bruxelles, ha infine concordato, sulla base della valutazione favorevole
espressa in merito dalla Commissione europea nel rapporto dell'ottobre, che
anche per la Turchia si potessero intraprendere le trattative finalizzate
all'accesso.
Nonostante la
ferma opposizione di alcuni Stati membri (soprattutto dell'Austria), che sino
all'ultimo hanno tentato di far prevalere, come possibili soluzioni per la
questione delle relazioni fra l'Unione e la Turchia, ipotesi alternative
all'adesione
tout court, il 3 ottobre 2005 hanno così preso il via, pur
con molte cautele
[1],
le trattative finalizzate all'ingresso di Ankara nell'Unione.
9.2. Per
quanto concerne la preparazione all'adesione, dal 1998 anche per la Turchia è
stato avviato il processo di redazione annuale di rapporti, il primo dei quali
ha confermato che la situazione politica del Paese continuava a costituire un
ostacolo ad una sua prospettiva di ingresso.
I problemi che la
Commissione europea ravvisava nel caso turco risultavano ancora parzialmente
diversi da quelli riscontrati nei Paesi dell'Europa centro-orientale e nella
stessa Croazia.
Se infatti
l'aspetto della tutela delle minoranze poteva essere considerato una sorta di
"nota debole" comune, con la presenza di un gruppo nazionale, che in Turchia era
quello curdo, in condizioni di maggiore discriminazione rispetto agli altri, lo
stesso livello minimo di tutela dei diritti non raggiungeva in tale ordinamento
le soglie richieste, mentre il funzionamento del sistema costituzionale
presentava problemi ancora significativi nella rispondenza a quei parametri di
stabilità istituzionale, democrazia e stato di diritto richiesti a Copenaghen.
A questo proposito
un giudizio particolarmente negativo è stato attribuito infatti al ruolo di
condizionamento sugli altri organi costituzionali che svolgeva nel sistema il
Consiglio di Sicurezza Nazionale, organo a composizione parzialmente militare.
Anche la Turchia
poi, come alcuni ordinamenti balcanici oggi, veniva invitata a risolvere le
controversie che, ancora aperte, minavano i rapporti di "buon vicinato" con gli
altri Stati membri (spesso considerati ulteriore requisito per l'adesione) e, in
particolare, la questione di Cipro.
9.3. Negli
ultimi quattro anni anche in Turchia è stato peraltro avviato un ampio processo
di riforma, che ha investito tanto il piano legislativo quanto quello
costituzionale, coinvolgendo molti aspetti dell'ordinamento e intervenendo anche
su quelli segnalati dalla Commissione (le relazioni tra potere civile e
militare, il ruolo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, l'indipendenza del
giudiziario, i diritti umani, soprattutto quelli relativi alla libertà di
espressione, le misure di tutela della minoranza curda).
Pur continuando a
rilevare diverse lacune del sistema turco, in relazione soprattutto alle
modalità di garanzia dei diritti umani e ribadendo peraltro l'intento
dell'Unione di seguire con estrema attenzione il corso delle riforme politiche,
nel rapporto del 2004 la Commissione ha dato atto dei notevoli progressi
compiuti dal Paese, almeno a livello normativo, esprimendo un giudizio
complessivamente positivo.
Proprio la
valutazione sostanzialmente favorevole contenuta in tale documento ha costituito
il principale elemento sulla cui base il Consiglio europeo, riunito a Bruxelles
il 16 e 17 dicembre 2004, ha concordato anche per la Turchia una data di
apertura dei negoziati (differendo invece di molti anni quella dell'adesione
vera e propria).
Il caso della
Turchia, quindi, in relazione al cui esito permangono ancora molte incertezze,
nonostante le recenti e decisive svolte, rappresenta un esempio di applicazione
dei political criteria di Copenaghen ad una realtà parzialmente diversa
da quella (l'Europa centro-orientale) per la quale tali parametri erano stati
elaborati.
Se però la
Croazia, che negli anni precedenti l'avvio dei contatti con l'Unione pur
presentava forti problemi di affermazione della democrazia, è potuta così
rapidamente pervenire alla previsione di una data di accesso, la Turchia, posta
di fronte agli stessi parametri e a dispetto di un ben più lungo periodo di
relazioni con l'Unione, ha raggiunto a stento quei livelli minimi che hanno
consentito, pur con molte cautele, l'avvio dei negoziati, lasciando aperti molti
interrogativi.