Come abbiamo detto, la
Regola benedettina è
sicuramente il capolavoro che ha assicurato a Benedetto un ruolo significativo
nella storia della Chiesa e del mondo occidentale in genere. Come ha sostenuto
papa Pio XII nell’enciclica
Fulgens radiatur, Benedetto sembra "non tanto
portare in Occidente dall’Oriente le regole della vita monastica, quanto
adattarle e proporzionarle genialmente alle inclinazioni, alle necessità, alle
condizioni delle popolazioni dell’Italia e di tutta l’Europa".
"Ciò che si coglie con immediatezza è la profonda umanità
di cui è pervasa la
Regola, che è prima testimonianza non solo della
conoscenza che Benedetto aveva della natura umana, dei suoi limiti e delle sue
debolezze, ma anche della delicatezza del suo spirito, che, diretta dalla
carità, lo porta alla comprensione, generosa e prudente, anche se ferma e
decisa, della necessità dei suoi figli. Uomo di preghiera, favorito da singolari
doni dello Spirito, Benedetto fu un contemplativo che viveva come immerso nel
divino; eppure la sua anima restava sempre in contatto d’amore con i deboli e
con i miseri; sapeva chinarsi sulla povertà dei suoi figli con tenerezza e con
un’accondiscendenza paziente e affettuosa" (introduzione a San Gregorio Magno,
Benedetto da Norcia, Tipografia Editrice Santa Scolastica, 1980, p. 28).
Benedetto, nella
Regola, riesce a coniugare la dimensione dello spirito
(
la preghiera, la celebrazione della liturgia, l’opus Dei) alla
dimensione sociale (il lavoro, la cultura, l’
accoglienza e l’assistenza dei
fratelli, ...). "Dai precetti della
Regola – scrisse Daniel Rops
– uscirà il tipo compiuto, e possiamo dire, completo, del monaco, che è insieme
uomo di preghiera e di ascesi, uomo d’azione e di efficacia. Lo spirito
benedettino non cesserà di ricordare, a chiunque cerchi la via, i due grandi
principi di ogni sforzo cristiano: che noi siamo sulla terra e dobbiamo agire
nelle impure condizioni della natura, ma che tutto deve compiersi in vista del
cielo."
Estremamente importante, in questa prospettiva, è
l’affermazione della dignità del
lavoro: il monaco benedettino non vede
nell’attività fisica una sorta di "maledizione" riservata alle persone di
condizione servile, come faceva il mondo classico, ma un mezzo di promozione
della persona. Si dice, infatti, nella
Regola, al capitolo 48:
"L’oziosità è nemica dell’anima. Per questo i fratelli devono essere occupati,
in tempi determinati, nel lavoro manuale e in altre ore alla lettura divina.
Pensiamo, pertanto, che le due occupazioni siano ben ripartire in questo modo:
da Pasqua fino alle calende di ottobre, al mattino siano occupati nei lavori
necessari da quando escono da prima fino a circa l’ora quarta. Dall’ora quarta
fino a circa l’ora sesta inoltrata si tengano liberi per la lettura. Dopo Sesta,
alzatisi da tavola, riposino nei loro letti in assoluto silenzio, o, se qualcuno
vuol leggere per conto suo, legga pure, ma in modo da non disturbare gli altri.
Si celebri Nona con un po’ di anticipo, a metà dell’ora ottava, e di nuovo
ritornino al lavoro che debbono fare, fino al Vespro. Se poi le condizioni del
luogo o la povertà rendono necessario che i monaci si occupino loro stessi del
raccolto, non ne siano rattristati, perché proprio allora sono veri monaci,
quando vivono del lavoro delle loro mani come i nostri padri e gli apostoli.
Tutto però si deve fare con equilibrio, tenendo conto dei deboli." (San
Benedetto Abate,
Regula monasteriorum, Abbazia di Viboldone, 1981)
Il lavoro manuale, in primo luogo coltivazione dei campi e
lavoro artigianale, diviene anche copia di manoscritti e
lavoro intellettuale, indispensabile per la
lectio divina (studio attento e meditazione
delle Sacre Scritture e dei commentari dei Padri della Chiesa), che richiede
necessariamente l’uso di libri.
Molto interessante risultano, poi, nella
Regola le
indicazioni relative al
regime alimentare, ispirate non ad un rigorismo fine
a se stesso, ma alla ricerca di una misura che, pur nella rinuncia ai piaceri
del cibo propria delle esperienze monastiche, permetta in ogni caso il lavoro e
non sia impossibile da praticare: "Se poi le condizioni del luogo o il peso del
lavoro o il caldo estivo renderanno necessario aumentare la razione, il
superiore ne avrà la facoltà, vigilando il ogni caso che non si arrivi alla
sazietà e all’ubriachezza." (
Regola, 40) Nella
Regola si parla
anche dell’uso del vino da parte dei monaci: in effetti la diffusione del
monachesimo in Europa si accompagna alla diffusione della coltivazione della
vite. I monaci coltivano la vite anche in condizioni climatiche difficili, per
ottenere il vino necessario per la celebrazione eucaristica e per la vita del
monastero.
In un momento storico di crisi come quello rappresentato dalla fine
del mondo tardo antico e dalle invasioni barbariche, che spezzano quell’unità
politica e culturale che l’Impero romano aveva rappresentato per l’Europa
occidentale, la diffusione della
Regola, le fondazioni monastiche che
abbracciano tutto l’Occidente, conservano, nella frammentazione dei
particolarismi, valori di fondo nelle diverse realtà locali e contribuiscono a
creare un’Europa che si riconosce in valori comuni. Il cristianesimo,
sviluppatosi all’ombra del Mediterraneo, viene a contatto con regioni lontane,
come l’Irlanda, la Germania, la Scandinavia, si radica in queste regioni,
subisce forme di adattamento alle culture locali, dà origine ad un mondo che,
pur nelle incertezze e nelle ambiguità, definirà se stesso come "cristianità".